PICCOLO
CATECHISMO
DELLA VITA D'ORAZIONE
di P.Gabriele di S.M. Maddalena O.C.D.
INDICE
I L'orazione nella vita contemplativa
II Il metodo dell'orazione mentale
III Preparazione e lettura
IV La meditazione e il colloquio
V Le difficoltà dell'orazione
VI La presenza di Dio
PREFAZIONE
Questo "piccolo catechismo", pubblicato in un
primo tempo sulla rivista Vita Carmelitana, fu accolto con vera gioia dalle
anime pie che vi trovarono luce e conforto.
E non poteva essere diversamente, poiché contiene la
sostanza degli insegnamenti con i quali, da circa quattro secoli, la Riforma
teresiana dell'Ordine Carmelitano ammaestra le anime nella vita di orazione.
Sono gli insegnamenti di santa Teresa di Gesù e di san Giovanni della Croce,
raccolti e sviluppati dai loro figli ed arricchiti da lunga e diuturna
esperienza, i quali, rimasti finora quasi del tutto nascosti tra le mura del
chiostro, vengono
messi in queste pagine alla portata di tutte le anime
pie. Questo "piccolo catechismo" infatti è una divulgazione dell'idea
e del metodo teresiano di orazione mentale, idea e metodo troppo sconosciuti e dei
quali tuttavia si è potuto constatare tante volte il benefico influsso.
Più volte i lettori di Vita Carmelitana esposero il
desiderio di vedere raccolte in un libriccino le lezioni pubblicate nella
Rivista; per soddisfare questo desiderio abbiamo preparato la presente
edizione.
Abbiamo creduto opportuno introdurre nel testo delle
lezioni alcune leggere modifiche che lo rendono più adatto alle condizioni
delle persone pie che vivono nel secolo, ma non è stato cambiato nulla che riguardi
la sostanza.
Voglia la santa Madre Teresa dì Gesù, la grande Maestra
della vita di orazione, ottenere l'abbondanza delle benedizioni celesti a tutti
coloro che leggeranno quest'opuscolo che si propone di nutrire le anime "col
pane della sua celeste dottrina". (Orazione liturgica della Santa).
L'Autore
Roma, 2 febbraio 1943.
CAPITOLO I
L'ORAZIONE NELLA VITA CONTEMPLATIVA
1. Che cosa è la vita cristiana?
La vita cristiana è la vita umana vissuta in conformità
agli insegnamenti di N.S. Gesù Cristo, secondo i quali dobbiamo ordinare tutte
le nostre azioni a gloria di Dio, amandolo ed osservando le sue sante leggi.
L'anima cristiana vive quindi "per Iddio".
2. Che cosa è la vita contemplativa?
La vita contemplativa è una forma di vita cristiana in
cui si intende vivere non solamente "per Iddio",
ma anche "con Dio". Non è riservata al
religiosi, ma può essere vissuta benissimo anche nel secolo.
Essa si concentra tutta nella ricerca dell'intimità
divina e moltiplica perciò, durante il giorno, i così detti "esercizi
spirituali". Questi sono specialmente esercizi di orazione, i quali devono
essere accompagnati da esercizi di mortificazione, perché, dice santa Teresa di
Gesù, grande Maestra della vita contemplativa, "orazione e comodità non
vanno d'accordo".
3. Quale è il posto dell'orazione nella vita
contemplativa?
Nella vita contemplativa l'orazione occupa il primo posto
e, praticamente, la vita contemplativa è vita di orazione. Perciò gli Ordini
contemplativi consacrano, molto tempo alla preghiera. Nella Regola del Carmelo,
Ordine eminentemente contemplativo, il precetto centrale è quello dell'orazione
continua:
"Stia ognuno nella propria cella, meditando dì e notte
nella legge del Signore e vegliando in orazione".
Infatti i religiosi carmelitani hanno molti esercizi di
orazione: due volte al giorno praticano l'orazione mentale, assistono alla
Santa Messa, recitano l'Ufficio divino, attendono alla presenza di Dio durante
il giorno, senza parlare degli esercizi personali di devozione.
4. Che cosa è l'orazione?
L'orazione è una conversazione con Dio, in cui noi Gli
manifestiamo i desideri del nostro cuore.
L'orazione può essere vocale o mentale.
5. Che cosa è l'orazione vocale?
L'orazione vocale è quella in cui noi recitiamo una
formula che esprime i nostri desideri; come, per esempio, il Pater noster
insegnatoci da Gesù nel quale noi facciamo a Dio sette domande. Noi recitiamo questa
formula con l'intenzione di onorare Dio. Spesse volte non pensiamo
particolarmente al senso
delle parole che pronunciamo, ma questo non impedisce che
la nostra sia orazione, purché la mente rimanga rivolta al Signore col
desiderio di onorarlo. Con simile desiderio di render loro onore,
l'orazione si può fare anche ai Santi.
6. Che cosa è l'orazione mentale?
Questa consiste nel parlare a Dio "col cuore",
non più con formule preparate o imparate a memoria, ma in modo spontaneo.
7. Che cosa diciamo a Dio nell'orazione mentale?
Anche in questa forma di orazione possiamo manifestare a
Dio tutti i desideri che abbiamo in cuore; però, secondo gli insegnamenti di
santa Teresa di Gesù, un'anima contemplativa preferirà dirgli che Lo ama, o
che, almeno, desidera amarlo.
8. Perché parlare specialmente di amore con Dio?
Perché l'amore è la sostanza della vita contemplativa.
Secondo santa Teresa le anime contemplative devono divenire grandi amiche,
amiche intime del Signore; e l'amore, appunto, fa fiorire l'amicizia e introduce
nell'intimità. Inoltre, santa Teresa vuole che, andando all'orazione, siamo
convinti che Iddio ci invita ad amarlo, e che noi andiamo a rispondere al suo
invito.
9. Bisogna anche "pensare" nell'orazione?
Non è possibile amare senza avere qualche pensiero
sull'oggetto amato.
Per amare Dio, bisogna pensare a Lui. Tuttavia il
pensiero di Dio potrà variare molto, secondo i casi. Sarà una riflessione
alquanto prolungata sull'amore di Dio per noi. ma potrà essere anche un
semplice ricordo dell'amabilità del Signore e della sua bontà. Quindi,
nell'orazione pensiamo soltanto per amare, per nutrire l'amore. Santa Teresa
infatti dice che l'orazione consiste "non nel molto pensare, ma nel molto
amare".
10. Che cosa è l'amore?
Vi è l'amore sensibile e vi è l'amore di volontà.
L'amore sensibile consiste in un sentimento che ci porta
affettuosamente verso una persona e ci fa provare piacere alla sua presenza o
al ricordo di lei.
L'amore di volontà consiste nel "voler bene" ad
una persona, per libera scelta e determinazione della nostra volontà. Quando
poi quest'amore prende tutta l'anima, allora si vuole appartenere alla persona amata
e consacrare deliberatamente a lei tutta la propria vita.
11. Quale è il vero amore in una persona umana?
L'amore di volontà; perché la volontà è quanto in noi vi
è di più personale. Nella volontà risiede la nostra libertà, e con questa
appunto noi ci diamo a Dio. Per questo Iddio chiede all'uomo proprio il "dono
della sua volontà". In questo dono totale consiste la piena consacrazione
dell'uomo a Dio.
L'amore sensibile è un complemento di importanza molto
secondaria. Non dipende, del resto, da noi provarlo, mentre dipende da noi
amare con la volontà.
12. Perché desideriamo naturalmente l'amore sensibile?
Lo desideriamo per la sua dolcezza e perché ci apporta
conforto e consolazione. Ma appunto perché spesso, nell'amore sensibile,
cerchiamo noi stessi, mentre con l'amore di volontà cerchiamo Dio, Egli sovente
sopprime in noi l'amore sensibile, per farei camminare più decisamente con la
sola volontà.
13. Di quale amore dobbiamo amare Iddio nell'orazione?
Certamente d'un amore di volontà, essendo questo più
importante. Se l'amore sensibile, vi si aggiunge, invece di cercarvi il nostro
compiacimento, profitteremo del suo aiuto per rafforzare la nostra volontà nel
darci a Dio. Mancando l'amore sensibile proseguiremo con la sola volontà.
14. Come potrò occuparmi per un'ora intera di questa
conversazione amorosa col Signore?
Al principio della vita di orazione, molte anime vi
incontrano grandi difficoltà e provano noia oppure sentono di dissiparsi.
Bisogna quindi sapere che il "far orazione" è cosa che "si
impara". Appunto per insegnare questo, i teologi carmelitani, dediti allo
studio della vita di orazione, hanno costruito il loro
"metodo di orazione mentale".
A.M.D.G.
CAPITOLO II
IL METODO DELL'ORAZIONE MENTALE
1. Che cosa si intende per metodo di orazione mentale?
Un metodo di orazione è l'insegnamento che ci spiega la
maniera di fare l'orazione agevolmente. Infatti ci indica i vari atti che
dobbiamo fare l'un dopo l'altro per riuscir meglio in questo santo esercizio.
2.Esiste un metodo di orazione mentale nell'Ordine
carmelitano?
Si, nell'Ordine carmelitano troviamo un metodo di
orazione fin dagli inizi della Riforma teresiana. Fu esposto e lo troviamo
difatti nelle due più antiche Istruzioni dei Novizi, in quella spagnola (1591)
e in quella italiana (1605).
3. Quale è l'origine di questo metodo?
Questo metodo trae l'origine immediata dagli insegnamenti
di santa Teresa di Gesù e di san Giovanni della Croce; la sua forma definitiva
e concreta, però, fu data dai loro discepoli.
Di questo metodo daremo ora una spiegazione generale, per
tornare sulle varie sue parti nelle lezioni seguenti.
4. Quante parti distingue il nostro metodo nell'orazione
mentale?
Abitualmente distinguiamo sei o sette parti o atti
nell'esercizio dell'orazione mentale cioè: la preparazione - la lettura - la
meditazione (col colloquio affettivo) - il ringraziamento - l'offerta – la domanda.
5. Tante distinzioni non sono forse una complicazione?
Questa distinzione delle parti non complica la pratica
dell'orazione mentale. Difatti le due prime non sono ancora l'orazione, ma ne
costituiscono come la porta d'ingresso; le tre ultime parti, poi, sono puramente
complementari e facoltative, cioè verranno tralasciate appena non ne avremo più
bisogno;
l'orazione si riduce quindi sostanzialmente alla
meditazione, accompagnata da una conversazione intima col Signore (colloquio
affettivo).
6. In qual modo intendere bene il metodo carmelitano di
orazione?
Per intendere bene il metodo carmelitano bisogna tener
presente l'idea dell'orazione mentale come è presentata da santa Teresa; ossia
che l'orazione consiste in una conversazione intima col Signore, nella quale
Gli parliamo specialmente di amore, rispondendo al suo invito ad amarlo.
Le varie parti dell'orazione hanno per scopo di condurci
agevolmente a questa conversazione amorosa con Lui.
7. Come giova la preparazione a questo scopo?
La preparazione deve servire a metterci vicini al
Signore; non si può difatti parlare intimamente con una persona se non
essendole vicino. Dovremo quindi metterci alla presenza di Dio con fede viva e nell'atteggiamento
umile di un'anima che si riconosce figlia di Dio.
8. A che cosa deve servire la lettura?
La lettura serve a procurarci un soggetto per la
conversazione affettuosa col Signore. conversazione che può nutrirsi della
considerazione di tutti i misteri della santa fede e dei vari doni e grazie da
noi ricevuti dal Signore: infatti, in tutto ciò si manifesta l'amore di Dio
verso di noi; ma poiché non è possibile parlare ogni volta di tutti questi
argomenti insieme, con l'a lettura possiamo scegliere il soggetto di cui vogliamo
presentemente occuparci, e rendere più facile la nostra considerazione,
seguendo le spiegazioni e le riflessioni del libro.
9. Perché "meditare"?
La meditazione o riflessione personale che noi facciamo
sul dono divino o sul mistero che abbiamo scelto nella lettura, serve a un
duplice scopo: l'uno intellettuale e l'altro affettivo. Lo scopo intellettuale è
di intendere meglio l'amore di Dio, per noi, come si manifesta nel mistero o
nel dono divino che consideriamo, e così convincerci sempre più dell'invito
d'amore rivolto da Dio all'anima nostra. Lo scopo affettivo consiste nel
muovere la volontà all'esercizio dell'amore ed alla sua manifestazione,
rispondendo all'invito divino. La meditazione appare
quindi come la preparazione immediata alla conversazione affettuosa col
Signore.
10. Come si passa dalla meditazione al colloquio
affettivo?
Questo passaggio non si deve fare in un momento preciso,
quasi matematicamente determinato, ma in modo del tutto spontaneo. Facendo le
proprie riflessioni alla presenza di Dio e vedendo così più chiaramente quanto
questo Dio ci ama, l'anima si sente facilmente spinta a dirgli a sua volta
parole di amore. Anzi accade spesso che le riflessioni che faceva prima con se
stessa, le continui per qualche tempo rivolgendo la parola al Signore e questo
giova a farle prendere una coscienza più viva del suo amore per lei. Finalmente
però l'anima lascia ogni considerazione per abbandonarsi pienamente all'esercizio
dell'amore ed alla sua manifestazione, passa cioè ai colloquio affettivo. In
questo l'anima
dice e ripete in mille maniere a Dio che Lo ama, che
desidera amarlo di più, che desidera provargli il suo amore.
11. E' importante questo colloquio?
Il colloquio è importantissimo ed è la parte centrale
dell'orazione. In esso infatti si realizza direttamente il concetto che santa
Teresa aveva dell'orazione mentale che consiste in una conversazione intima col
Signore, nella quale rispondiamo al suo amore per noi. Perciò l'anima, nella
stia orazione, potrà occupare in esso molto tempo e anche tutta l'ora.
12. Quale scopo hanno le ultime tre parti dell'orazione?
Le ultime tre parti o atti dell'orazione, cioè, il
ringraziamento, l'offerta e la domanda, servono a prolungare più agevolmente la
nostra conversazione affettuosa col Signore. Non sono infatti altro che atti
affettivi più determinati, cioè vari modi di manifestare il nostro amore.
13. Quale è il nostro atteggiamento in queste parti?
Nel ringraziamento manifestiamo al Signore la nostra
umile gratitudine per i doni da Lui ricevuti.
Nell'offerta, spinti dalla riconoscenza amorosa, vogliamo
dare anche, noi qualche cosa al Signore.
Nella domanda, o preghiera, umilmente convinti della
nostra indigenza e fragilità, e desiderosi tuttavia
di amare veramente il Signore, chiediamo il suo aiuto per
riuscirvi ed esser fedeli ai propositi formati
nell'offerta. Questi atti sono quindi, veramente, un
prolungamento del colloquio affettivo, nato
spontaneamente dalla meditazione.
14. Si deve osservare un ordine determinato nel seguire
queste parti dell'orazione?
L'ordine indicato sopra è quello più logico; ma
nell'orazione si può usare una grande libertà: possiamo
ordinare queste parti come riesce più spontaneo. Anzi,
possiamo riprendere più volte la stessa parte.
Ciò vale anche per la meditazione e il colloquio
affettivo che possono, anche frequentemente, alternarsi
in una stessa orazione.
15. Sono necessarie le ultime parti?
No, questi atti sono facoltativi. Infatti un'anima che
può occuparsi sufficientemente nel colloquio
affettivo senza ricorrere ad essi, lo può fare senz'altro.
Ma, al principio della vita d'orazione,
l'attenzione dell'anima è spesso aiutata da una certa
varietà di atti; e in questo caso l'anima farà bene a
ricorrere ad essi.
CAPITOLO III
PREPARAZIONE E LETTURA
1. Vi sono forme varie di preparazione all'orazione?
Gli autori carmelitani sovente distinguono una duplice
preparazione: la preparazione "prossima" con la
quale l'anima si mette in immediato contatto con Dio per
iniziare l'intima conversazione con Lui, e la
preparazione "remota" con cui l'anima dispone
le sue potenze a raccogliersi agevolmente in Dio.
2. Cosa si richiede perché le potenze dell'anima siano
disposte a raccogliersi?
E' necessario che esse non siano assorbite eccessivamente
dalle creature, e che venga coltivata la
tendenza che hanno ad occuparsi di Dio. A procurare
queste condizioni giovano i due elementi che
costituiscono la preparazione remota. Il primo elemento,
poiché si tratta di allontanare un ostacolo, è
"negativo"; il secondo, diretto a procurare una
qualità, è "positivo".
3. Quale è l'elemento negativo della preparazione remota?
Fuggire le distrazioni dello spirito e gli attacchi del
cuore. Perché la pratica dell'amore di Dio sia facile,
bisogna avere un cuore libero; questo richiede un grande
distacco dalle crea. ture. Chi vuole amare
molto, deve riservare a Dio il vigore e la tenerezza del
suo affetto e non disperderlo nelle persone e
nelle cose, che facilmente avvincono un cuore non
custodito. D'altronde, la libertà dello spirito non si
raggiunge senza una grande mortificazione dei sensi che
sono finestre aperte sulle cose terrene, e della
memoria che, con i ricordi, ci riporta nel mondo; anzi lo
spirito stesso deve evitare i pensieri inutili.
Bisogna quindi sorvegliare il cuore e lo spirito.
4. Quale è l'elemento Positivo della preparazione remota?
L'esercizio della presenza di Dio, che cercheremo di
rendere continuo,
per quanto sarà possibile. Con questo santo esercizio,
che raccoglie in Dio il nostro pensiero e la nostra
volontà, noi conserviamo un certo contatto con Dio, anche
tra le occupazioni più materiali, e
conversiamo sovente con Liti durante il giorno. La
fedeltà a questa pratica crea, quindi, in noi una certa
facilità a parlare con Dio, come pure a metterci in un
più intimo contatto con Lui, nel che consiste la
preparazione prossima.
5. Quale atteggiamento spirituale, giova di più all'anima
per questo contatto con Dio?
L'atteggiamento di un'umile confidenza, che ci mette
innanzi a Dio nella posizione che maggiormente
ci conviene. Dio, infatti, è nostro Padre, e vuole che
trattiamo con lui da bambini impotenti. Desteremo
in noi il senso della nostra indigenza, col ricordo dei
numerosi falli che palesano la nostra miseria.
Lungi però dal rinchiudere! in noi stessi o dallo
scoraggiarci alla vista della nostra pochezza,
cercheremo rifugio nelle braccia di Gesù, che ci ha
insegnato: "Senza di me non potete far nulla",
invitandoci così a ricorrere a Lui. Perciò santa Teresa
ci invita ad esaminare, al principio dell'orazione,
la nostra coscienza, quindi a recitare il Confiteor e a
cercare poi la compagnia di Gesù.
6. Quale è il modo più pratico per mettere l'anima vicina
a Dio?
Qualunque forma della "presenza di Dio" è utile
a questo, purché si eserciti con particolare
applicazione e intensità. Tuttavia due forme sembrano
specialmente indicate per l'orazione: il mettersi
alla presenza della santissima Eucaristia (difatti
facciamo l'orazione innanzi al santissimo Sacramento),
e il raccogliersi nel proprio interno, attendendo alle
Tre Persone divine che abitano nell'anima in grazia
e si offrono ad essa per essere conosciute e amate.
Per cominciare quindi il colloquio con "Dio
presente" ricorderemo il soggetto scelto nella lettura.
7. In che tempo si deve fare questa lettura?
Preferibilmente prima di andare all'orazione, cioè nel
quarto d'ora che le nostre leggi ci concedono per
prepararci. Se però non avremo potuto prima, potremo
farla al principio dell'orazione. Anzi, nelle
comunità religiose, si usa fare una breve lettura ad alta
voce all'inizio dell'esercizio di orazione mentale.
8. A che serve la lettura "in comune"?
Essa ha lo scopo di offrire un soggetto di meditazione a
chi ne fosse sprovvisto. Non vi è però obbligo
alcuno di servirsi del punto che viene letto. Abitualmente,
infatti, le anime vengono all'orazione col
soggetto precedentemente preparato dalla lettura fatta
individualmente. Ma se, talora, il punto che vien
letto ci attrae più che il soggetto scelto, possiamo
cambiare al momento, usando in ciò la più grande
libertà.
9. La lettura deve sempre servire a preparare un soggetto
di meditazione?
Tale è il suo fine precipuo, e ciò la distingue dalla
cosiddetta "lettura spirituale", che ha uno scopo più
largo: quello cioè di istruire nelle cose dello spirito.
La lettura di cui parliamo, invece, serve a proporci
immediatamente una verità, che penetreremo con la
riflessione, per riportare una convinzione più
profonda dell'amore di Dio per noi.
Tuttavia, nelle anime che non fanno più l'orazione in
forma meditativa, ma che sono giunte all'orazione
che santa Teresa chiama "di raccoglimento", o
più in alto ancora, la lettura non serve più a scegliere un
soggetto, ma piuttosto a raccogliere l'anima,
disponendola soavemente a gustare nell'orazione il riposo
in Dio.
10. Quali libri dobbiamo scegliere, di preferenza per
fare questa lettura?
Ciò dipende dallo scopo della lettura.
Quando si tratta di trovare un soggetto di meditazione,
potranno servire, oltre ai libri che sono apposite
"raccolte" di tali soggetti, tutti i libri
spirituali che mettono in luce le molteplici manifestazioni
dell'amore di Dio per noi. Sarà bene però che ci serviamo
di libri già conosciuti.
11. Possiamo fare la, nostra lettura anche sulle
"vite dei Santi"?
Neppure queste sono escluse, particolarmente perché molte
anime si sentono commosse più
dall'esempio (lei Santi, i quali hanno vissuta la
dottrina spirituale, che da una esposizione speculativa di
essa. Bisogna badare però a non leggere spinti dalla
curiosità e a non prolungare inutilmente la nostra
lettura. Perciò non conviene leggere come preparazione
alla meditazione una vita "nuova", che questo
eccita troppo l'immaginazione. Sarà meglio contentarsi,
possibilmente, di qualche profilo sintetico di
una figura studiata anteriormente.
12. Come dobbiamo leggere?
Bisogna leggere, prima di tutto, con attenzione, poiché
lo scopo della lettura è di "trovare" un soggetto
di conversazione col Signore. Perciò bisogna leggere
anche con una certa lentezza, altrimenti i soggetti
adatti ci sfuggiranno; inoltre con "devozione e
raccoglimento" perché questa buona disposizione dei
cuore, accentuando in noi la "ricerca" di
qualche cosa di utile per l'anima, ci rende più attenti e più
"sensibili" alle buone idee. Potremo allora più
facilmente prevedere i temi fecondi ed anche preparare
in qualche modo gli alletti elle vogliamo esprimere e i
propositi che vogliamo fare.
Tutto ciò senza troppo "legarci", poiché lo
scopo della lettura non è questo, ma piuttosto di aiutarci
semplicemente, secondo i nostri bisogni.
Aggiungiamo ancora che la lettura, se vien fatta in
comune, deve essere breve, per non dare noia a
coloro che non se ne servono, e questi sono molti.
13. Possiamo riprendere la lettura durante l'orazione?
Questo non è escluso. Potrà anzi essere indicato in
qualche occasione particolare. Santa Teresa, infatti,
non andava mai all'orazione senza portare il libro con
sé. Potremo talvolta trovare! così distratti che il
modo più pratico per ritornare al Signore sarà di volgere
la mente a qualche buon pensiero, con la
lettura. Anche quando nella meditazione e nello stare col
Signore l'attenzione è resa difficile da un po'
dì stanchezza, è spesso opportuno tenere sotto gli occhi
il nostro tema di meditazione. Questo è un
aiuto esterno per la nostra attenzione. Si badi però di
non trasformare l'orazione in una semplice lettura.
Essa deve rimanere almeno una lettura meditata, nella
quale ci fermiamo per dare posto agli affetti e ai
propositi. Allora la lettura stessa diviene uno strumento
della nostra conversazione con Dio.
CAPITOLO IV
LA MEDITAZIONE E IL COLLOQUIO
1. La meditazione è trattata sempre nello stesso modo
negli autori carmelitani?
Negli autori carmelitani si può notare qualche differenza
nel modo di presentare la meditazione, ma
nella sostanza convengono tutti. Alcuni ne parlano senza
distinguere i vari elementi; altri distinguono
dalla riflessione meditativa il colloquio affettivo, al
quale la riflessione conduce e chiamano questo
colloquio "contemplazione". Altri infine, nella
stessa parte meditativa, distinguono la rappresentazione
e la riflessione.
Chi non classifica esplicitamente questi vari elementi,
vi fa tuttavia qualche allusione.
Possiamo quindi affermare che, in maggioranza, gli autori
carmelitani distinguono tre elementi nella
meditazione:
1) la rappresentazione, opera dell'immaginazione;
2) la riflessione, opera dell'intelligenza;
3) il colloquio, opera principalmente della volontà.
2. In che cosa consiste la rappresentazione?
E' un'attività dell'immaginativa con la quale formiamo
"dentro di noi", cioè senza avere presenti gli
oggetti, una specie di quadro o di rappresentazione del
mistero che vogliamo meditare o, secondo i
casi, degli oggetti sensibili dai quali la nostra
riflessione si innalza a Dio.
3. A che cosa deve servire la rappresentazione?
Il suo scopo è di rendere più facile il lavoro della
riflessione che naturalmente si appoggia alle
rappresentazioni dell'immaginazione. Intatti riesce
facile pensare alla flagellazione tenendone dinanzi
un'immagine, la quale ha il vantaggio di fissare in
qualche modo la fantasia; poiché questa, senza un
oggetto su cui possa posarsi, facilmente divaga, mentre
la fissità della conoscenza immaginativa aiuta a
sua volta quella della conoscenza intellettiva.
4. È sempre necessaria la rappresentazione?
Gli autori carmelitani non insistono molto sulla
necessità di questo elemento della meditazione, ma
piuttosto ci indicano in qual modo possa esserci utile.
Questa utilità è evidente quando si tratta di
considerare la vita di Cristo o dei Santi. Anche nella
considerazione dei misteri più astratti, come per
esempio degli attributi divini, l'intelligenza può
partire dalle cose sensibili rappresentate
dall'immaginazione. Così possiamo, dalle bellezze della
natura, innalzarci a Dio, suprema bellezza.
I teologi carmelitani distinguono, riguardo a questo, i
vari casi in cui si può trovare chi medita. Alcune
persone hanno un'immaginazione viva, capace di rappresentare
le cose con facilità altre invece si
sentono quasi incapaci di costruire una figura qualunque.
Le prime faranno bene a usare questa loro
facilità di rappresentazione, mentre alle ultime giova
sapere che questo non è un esercizio da farsi ad
ogni costo. Le rappresentazioni immaginative, per essere
utili, non devono essere molto perfette; una
rappresentazione piuttosto vaga può bastare all'intento.
5. In che modo si deve formare la rappresentazione?
Possiamo indicare tre regole:
1° Bisogna certamente impiegarvi la nostra attenzione,
altrimenti non si fa nulla di serio, ma non
occorre tuttavia eccitare troppo l'immaginativa quasi per
vedere "al vivo" il soggetto che vogliamo
meditare. Specialmente le persone che hanno
l'immaginazione troppo viva cerchino di procedere con
grande semplicità, perché altrimenti l'immaginazione
potrebbe trarle in inganno e far loro credere che si
tratti di qualche "visione".
2° Per quanto riguarda la "perfezione" della
rappresentazione, non è consigliabile giungere a
determinarne i dettagli. Gli autori carmelitani hanno
anzi notato che a una persona dotata di poca
immaginazione può bastare una rappresentazione piuttosto
schematica. Più utile è una rappresentazione
alquanto determinata, perché fissa più facilmente il
pensiero. Gli autori carmelitani non parlano mai
della così detta "applicazione dei sensi".
3° Non bisogna consacrare molto tempo a formare la
rappresentazione; bastano alcuni istanti, ma
naturalmente, potremo tenerla presente per tutto il tempo
della meditazione e, se possiamo farlo, ciò
sarà anche utile, perché gioverà ad evitare distrazioni.
Concludiamo dicendo che, senza essere propriamente
necessaria, la rappresentazione è spesso utile, e
l'anima che vi riesce è bene non si privi del suo aiuto.
Chi invece vi trovasse piuttosto impaccio
potrebbe tralasciarla e cominciare senz'altro con la
riflessione.
6. È importante la riflessione o
"considerazione"?
La riflessione è il primo degli elementi direttamente
costitutivi della meditazione, che indica
propriamente un certo lavoro discorsivo
dell'intelligenza. Resta fermo però che anche questo elemento
deve essere subordinato al seguente, cioè alla
conversazione affettuosa con Dio, che deve trovare nella
meditazione il fondamento e lo stimolo.
7. Deve durare molto questo lavoro dell'intelligenza?
La sua subordinazione alla conversazione affettuosa
indica che deve durare solo quanto basta per
condurre l'anima a questa conversazione, cioè fino a
produrre nell'anima un'attuale convinzione di
essere amata da Dio e invitata a riamarlo. Sarebbe
tuttavia un errore credere che possiamo interrompere
o smettere la riflessione appena sentiamo qualche pio
affetto, che potrebbe subito svanire lasciandoci
nel vuoto; bisogna invece insistere alquanto, finché la
volontà si sia sicuramente mossa, così da poter
rimanere almeno per qualche tempo nel suo atteggiamento
affettuoso.
8. Questa riflessione deve essere fatta
"metodicamente"?
Si potrà farlo. Anzi santa Teresa, seguendo in ciò altri
autori contemporanei, consiglia nella
meditazione della Passione di Gesù di considerare:
"Chi soffre? Che cosa soffre? Perché? Con quali
disposizioni?". Non è però necessario che vi sia
tanto ordine nel nostro modo di concatenare gli
argomenti, e si può senza danno passare con libertà da un
pensiero a un altro, purché conduca allo
scopo di farei intendere meglio l'amore di Dio per noi,
che si manifesta nel mistero meditato.
9. Come faranno le anime che "non possono
meditare"?
A queste anime che, per una certa mobilità dell'immaginazione
e del pensiero, hanno grandissima
difficoltà a fermarsi su un'idea determinata per
approfondirla con riflessioni alquanto ordinate, santa
Teresa insegna un altro modo per concatenare alcuni
pensieri che eccitano l'amore. Consiste nel
recitare molto lentamente una preghiera vocale
sostanziosa, fermandosi a considerare con attenzione il
senso delle parole e prendendone occasione per formare
alcune riflessioni ed esprimere affetti.
10. Quando si inizia il colloquio affettivo?
Può iniziarsi appena l'anima ha potuto accendere in se
stessa la viva convinzione di dover rispondere
con l'amore all'amore di Dio per lei. Tutto dipende
quindi dalla facilità con cui un'anima si mette in
questa necessaria disposizione. Questa facilità poi si
può acquistare con la pratica.
11. Che cosa si dice in questo colloquio?
L'anima, principalmente, esprime a Dio la sua volontà di
amarlo e di dimostrargli il suo amore;
prendendo lo spunto da un mistero particolare, vi si
riferirà in mille maniere e il colloquio assumerà
così le forme più varie. Si noti che l'anima può
esprimere il suo amore non solo alla santissima Trinità,
ma anche direttamente a Gesù; e può anche parlare
affettuosamente con i Santi.
12. In che modo si fa questo colloquio?
Si può fare nel modo più vario. Possiamo esprimere il
nostro affetto con parole pronunciate
vocalmente; ma si può fare anche in un modo puramente
"interiore", cioè con espressioni del cuore e
della volontà. Queste espressioni possono essere brevi e.
succedersi con una certa frequenza, oppure
prolungarsi alquanto, non ripetendosi che a intervalli
abbastanza lunghi; anzi l'anima può anche
contentarsi di fare amorosamente compagnia a Dio.
13. La conversazione deve essere continua?
Possiamo rispondere di si intendendo che l'anima debba
rimanere in conversazione col Signore, ma non
nel senso che debba continuamente "parlare".
Anzi gli autori carmelitani insegnano espressamente che,
da parte dell'anima, questa conversazione non deve essere
troppo verbosa o agitata, ma piuttosto
pacifica e spesse volte interrotta, quasi a permettere
all'anima di ascoltare la risposta di Dio.
14. Iddio parla in questo colloquio?
Se noi fossimo soli a parlare, il nostro non sarebbe un
"colloquio"; d'altronde santa Teresa ha insegnato
che Iddio parla all'anima quando essa Lo prega di cuore.
Non si deve credere però che Dio faccia
sentire la sua voce in modo materiale. Egli risponde
all'anima mandandole grazie di luce e di amore,
con citi l'anima intende meglio le vie di Dio e si sente
maggiormente accesa ad entrarvi con generosità.
L'ascoltare dell'anima consiste quindi nell'accettare
queste grazie e nel fermarvisi cercando di
approfittarne.
15. Perché questo colloquio viene chiamato
"contemplazione"?
Perché nel momento in cui parla con Dio e Lo sta
ascoltando, l'anima non continua a ragionare come
faceva durante la meditazione, ma si accontenta di
attendere in modo generale al mistero che, con la
meditazione, è arrivata a intendere meglio, oppure guarda
semplicemente Gesù o il Padre celeste con
cui parla. In questo semplice sguardo si verifica la
nozione tradizionale della "contemplazione"
(semplice sguardo che penetra nella verità). E siccome
nel colloquio Iddio suole comunicare all'anima
la sua luce, anche sotto questo aspetto si verifica in
esso in qualche modo ciò che in un senso più pieno
è proprio della vera contemplazione, cioè un'infusione di
luce celeste.
16. Quanto può prolungarsi questo colloquio?
Non vi sono limiti; può occupare anche interamente il
tempo dell'orazione. Anzi, la semplificazione
dell'orazione consiste proprio nel farsi più rare le
riflessioni per dare maggior posto agli affetti e nel
prendere anche questi a poco a poco una forma più quieta,
con atti prolungati. Agli inizi, però. non è
facile per l'anima fermarsi tanto tempo nella sola
espressione del suo amore; perciò allora può ricorrere
agli ultimi atti dell'orazione, ossia al ringraziamento,
all'offerta e alla domanda.
17. Perché ringraziare Dio?
Molti motivi spingono l'anima ad esprimere la sua
gratitudine al Signore. Da Lui abbiamo ricevuto
tanto, anche personalmente, sia nell'ordine naturale che
in quello soprannaturale! L'essere nati da
genitori cattolici e subito battezzati, l'essere stati
educati nella vera religione e specialmente l'aver
ricevuto la vocazione allo stato religioso, sono benefici
gratuiti del Signore, per i quali non potremo
mai ringraziarlo abbastanza. Ma poi, di quante grazie il
Signore ci circonda continuamente! Anche lo
stesso esercizio di orazione che stiamo compiendo è un
suo invito a penetrare maggiormente nella
nostra vocazione. Di tutto dobbiamo mostrarci
riconoscenti. Aggiungete a ciò tutta la bontà del Signore
verso le persone per le quali dimostriamo interesse: i
nostri cari, i nostri benefattori, le persone affidate
alle nostre cure! Possiamo infine ringraziare non solo il
Signore, ma anche Maria Santissima e i Santi
per la loro intercessione in nostro favore.
18. Che cosa possiamo "offrire a Dio"?
Avendo ricevuto tutto dal Signore, è lodevole da parte
nostra offrirci interamente a Lui, protestando di
voler impiegare tutte le nostre forze al suo servizio.
Essendo poi la nostra santa professione una
consacrazione di tutta la nostra vita a Dio, potremo
anche opportunamente rinnovarla. Non bisogna
tuttavia contentarci di queste offerte generali che, per
la loro indeterminatezza, non esercitano sempre
un grande influsso sul nostro modo di agire. E' bene
perciò scendere a qualche proposito particolare e
offrire al Signore la nostra volontà di praticare una
virtù determinata, di lottare generosamente contro
una tentazione, di accettare di cuore una prova o una
sofferenza. Con questi propositi particolari
mettiamo l'orazione in maggiore contatto con la nostra
vita quotidiana. Perciò è consigliabile per tutti
terminare l'orazione con un proposito pratico, anche se
l'anima non fa la così detta "offerta".
19. Per chi bisogna pregare?
La nostra grande indigenza ci spinge a ricorrere
continuamente alla preghiera. Gesù, avendo insegnato
che "senza di Lui non possiamo far nulla", ha
aggiunto: "Domandate e riceverete, bussate e vi
apriranno". Il nostro progresso spirituale dipende
quindi moltissimo dalla preghiera che perciò faremo
con insistenza e fiducia. Dobbiamo inoltre pregare anche
per gli altri, per le loro necessità temporali e
spirituali, specialmente per la loro salvezza e santità.
Ci interesseremo non solo delle singole anime, ma
anche della società cristiana, degli Ordini religiosi,
della nostra famiglia spirituale, della santa Chiesa.
Sapendo però che le anime care al Signore sono più
potenti sul suo Cuore, desiderosi di ottenere molto
da Lui, cercheremo di renderci a Lui grati con una vita
distaccata dal mondo e diretta unicamente a
cercare la sua intimità. In questo modo l'anima
realizzerà l'ideale proposto da santa Teresa alle sue
figlie: divenire amiche intime del Signore, che si
servono di questa amicizia per far scendere sul mondo
le grazie divine.
CAPITOLO V
LE DIFFICOLTÀ DELL'ORAZIONE
1. Quali sono le principali difficoltà che si incontrano
nell'orazione?
Siccome l'orazione consiste nell'innalzare la propria
mente a Dio, ossia nell'occuparsi di Lui col
pensiero e con l'affetto, le difficoltà nell'orazione
sorgono da tutto ciò che impedisce o rende più
difficile questa duplice applicazione della nostra mente.
Riguardo alla conoscenza si incontrano le
"distrazioni", riguardo all'affetto le
"aridità".
2. Che cosa si intende per "distrazione"?
Intendiamo per distrazione l'inframmettenza,
nell'orazione, di pensieri incompatibili con l'esercizio che
stiamo compiendo, i quali ci spingono ad occuparci di
altra cosa. Questa comparsa di pensieri estranei e
anche contrari al raccoglimento dell'intelligenza in Dio
può avvenire in duplice modo: volontariamente
e involontariamente. Vi è grande differenza tra un modo e
l'altro.
3. In che cosa consiste la distrazione volontaria?
La distrazione volontaria consiste nell'introduzione
voluta, o nell'ammissione consentita di pensieri che
fanno deviare la nostra intelligenza dall'oggetto divino
in cui stava occupata. Distraendosi
volontariamente, l'anima sospende o almeno interrompe
l'orazione. Facendolo senza un sufficiente
motivo, si rende anche colpevole di irriverenza verso il
Signore. Piuttosto che una difficoltà, la
distrazione volontaria nell'orazione è quindi una
infedeltà. Se invece il pensiero inopportuno che si
presenta alla mente non viene accettato, la distrazione
si dice involontaria.
4. Quali sono le cause delle distrazioni involontarie?
Dobbiamo riconoscere una duplice causa: la prima
"occasionale", la seconda "naturale". La prima è
costituita dalle impressioni dei nostri sensi; la seconda
dalle tendenze intime della nostra natura, che
generano in noi spontaneamente immagini e pensieri.
Secondo la loro origine, possiamo quindi
distinguere le distrazioni in "esterne" e
"interne".
5. Si possono evitare le distrazioni nell'orazione?
Le distrazioni esterne si possono in gran parte evitare
con l'attenta custodia dei sensi e, specialmente,
scegliendo per pregare un luogo ritirato, come consiglia
N. S. Gesù Cristo nel santo Vangelo. Possiamo
specialmente evitare molte distrazioni causate dagli
occhi tenendoli chiusi, oppure fissandoli su di un
oggetto religioso o sullo stesso libro di meditazione. E'
molto più difficile invece evitare le distrazioni
interne.
6. Donde viene questa speciale difficoltà?
La particolare difficoltà di evitare le distrazioni
interne deriva dalla spontaneità delle tendenze naturali
che sono come il fondo intimo del nostro essere. Si
manifestano con la facile comparsa di immagini e
di pensieri riguardanti le cose che amiamo, oppure
temiamo. Quando la nostra attenzione è fissa
sull'oggetto della nostra considerazione, questo mondo
interno di tendenze spontanee rimane più o
meno nell'oscurità, ma appena diminuisce la forza
dell'attenzione esso tende a farsi vivo. Allora
appaiono nella nostra coscienza pensieri e ricordi che
possono anche contrastare molto con l'atto
dell'orazione che stiamo compiendo.
7. Si può ovviare alle distrazioni interne?
Sì, è possibile, almeno in certo modo, porvi rimedio, sia
direttamente che indirettamente. La maniera di
resistere direttamente a queste distrazioni è di
riportare deliberatamente la nostra attenzione sull'oggetto
religioso che stavamo considerando, o semplicemente su
Dio, facendo un atto di fede e di amore. Il
modo indiretto è di intensificare la nostra vita
spirituale, la quale, facendosi più profonda, acquista una
nuova energia soprannaturale che solleciterà la tendenza
attuale della nostra mente verso Dio,
contrastando le tendenze naturali distraenti. S'intende
che tale risultato non si raggiungerà molto presto,
ma sarà il frutto di una lunga applicazione alla vita
spirituale.
8. Le distrazioni interne sono forse, a volte,
"inevitabili"?
Possono esserlo, appunto per la loro spontaneità.
Specialmente quando un'anima prova difficoltà nel
fissare la sua attenzione, le distrazioni interne possono
essere molto irruenti, insistenti e noiose. Questa
difficoltà di fissare l'attenzione può derivare da una
causa accidentale, oppure da una disposizione
abituale, come nel caso di certi temperamenti molto
mobili. Se però l'anima continua a provare
dispiacere nel vedersi distratta e fa quanto può per
rimanere attenta a Dio, queste distrazioni penose,
lungi dall'essere nocive all'anima, si trasformano per
essa in uno strumento di purificazione morale e
sono un'occasione di merito soprannaturale.
9. Che cosa si intende per aridità?
L'aridità è la soppressione del conforto che l'anima
prova sovente nella vita spirituale, specialmente nei
primi tempi dopo la sua conversione a una vita migliore.
Infatti, l'anima che prende coscienza di
possedere una vita spirituale più intensa, ne prova una
certa gioia, essendo legge psicologica che
l'uomo goda quando sa di possedere un gran bene. La vita
spirituale intensa però non consiste in questo
conforto, perché la vera devozione consiste unicamente
nella prontezza della volontà nel servizio di
Dio.
10. L'aridità è un male?
L'entità morale dell'aridità dipende dalla causa che la
produce. Se nell'anima sparisce il conforto, ma
sussiste nella volontà la decisione di darsi tutta al
Signore, lungi dall'essere un male, l'aridità potrà
essere occasione di bene. Se invece l'aridità deriva
dall'indebolimento della volontà, essa segna un
regresso nella vita spirituale.
11. Vi sono quindi aridità colpevoli?
Sì certamente, e sono quelle che hanno origine dalla
nostra infedeltà. Questa può essere maggiore o
minore. L'anima chiamata da Dio a una vita generosa e
mortificata, che, dopo aver corrisposto per
qualche tempo, diventa gretta e si dà alla ricerca delle
piccole soddisfazioni umane, non è più fedele
all'invito del Signore, ma perde il suo fervore primitivo
e rimane con la volontà indebolita. Molto più
infedele però è l'anima che cade nella tiepidezza
commettendo a occhi aperti dei peccati veniali.
Naturalmente tale anima non può esprimere con forza il
suo amore al Signore appunto perché esso non
è rimasto forte e cade quindi nell'aridità. L'unica via
per rimediarvi è di correggersi, ritornando alla
generosità primitiva.
12. Vi sono aridità che hanno cause indipendenti dalla
propria volontà?
Senza dubbio ve ne sono; difatti, le circostanze stesse in
cui si svolge la vita umana sono occasioni di
aridità. Esse possono causare in noi un senso di disagio
che ci priva di ogni conforto negli esercizi
spirituali; stanchezza fisica e sonnolenza,
indisposizioni fisiche, preoccupazioni penose e assorbenti,
piccoli urti e incomprensioni sono in noi tante occasioni
di pesantezza, di snervamento, di oppressione,
che mettono lo spirito in uno stato penoso, il quale
toglie ogni gaudio pacifico e tranquillo. In questa
forma di aridità l'anima deve pazientare, sapendo che
sopportandola per amor di Dio offre a Lui un
gratissimo sacrificio che prova la realtà del suo amore.
13. L'aridità può provenire anche da Dio?
Certamente sì, e anche nel caso precedente dobbiamo dire
che l'aridità proviene da Dio, poiché tutte le
circostanze della vita sono regolate dalla Divina
Provvidenza. Ma talvolta la soppressione del conforto
che l'anima sente nell'orazione è più direttamente opera
di Dio, e precisamente quando Egli mette
l'anima nell'impossibilità di meditare con l'aiuto dell'immaginazione
e di esercitarsi come prima in atti
sentiti di amore. Questo è un fenomeno molto comune nelle
anime. interiori, dopo qualche tempo di
fervorosa applicazione alla vita di orazione. San
Giovanni della Croce insegna che con questa specie di
aridità il Signore invita le anime a una forma più
semplice di orazione che egli chiama "contemplazione
iniziale".
14. Come deve comportarsi l'anima in questa aridità?
L'anima non deve insistere nel voler continuare la
meditazione come spesso si crede obbligata a fare;
deve invece tralasciarla semplicemente e applicarsi a
rimanere tranquilla alla presenza di Dio,
attendendo a Lui con un semplice sguardo di fede e
desiderando ad ogni costo di fargli piacere. A poco
a poco questo sguardo di fede si farà più facile e più
amoroso e da uno stato di penosa aridità, l'anima
passerà gradualmente a un pacifico riposo in Dio.
15. Come può l'anima sapere che la sua aridità proviene
da Dio?
Segno che l'aridità proviene da Dio è che in essa l'anima
persevera ad applicarsi alle virtù e agli esercizi
di devozione, pur non provandovi altro che disgusto.
Naturalmente, essendo in questo tempo l'esercizio
delle virtù molto più difficile, l'anima vi riesce meno;
ma gli sforzi ripetuti dimostrano che la sua
volontà è rimasta decisa. Simile aridità non procede
quindi da una colpevole debolezza di volontà, ma è
opera del Signore.
16. Quale scopo ha Dio nel mandare, l'aridità all'anima?
Con questa prova Iddio intende liberare l'anima dalle
fanciullaggini della sensibilità, per trasportarla sul
piano più puro e più solido della volontà. Infatti, non
trovando più alcun pasto per la sua vita spirituale
tra le belle rappresentazioni e le dolci emozioni di
prima (quando tutto le andava bene), l'anima si vede
costretta ad aggrapparsi con la volontà agli esercizi di
fede e di amore. Essendo questa anche la volontà
di Dio, ]'opera della grazia viene incontro allo sforzo
dell'anima la quale farà indubbiamente grandi
progressi nella sua vita spirituale che diverrà molto più
"sostanziosa" di prima. L'aridità mandata dal
Signore, oltre che una prova, è quindi una grandissima
grazia, alla quale l'anima, lungi dallo
scoraggiarsi, deve cercare di corrispondere con
generosità.
CAPITOLO VI
LA PRESENZA DI DIO
1. Che cosa è la presenza di Dio?
La presenza di Dio è un esercizio di vita spirituale
destinato a mantenerci in contatto con Dio nelle
nostre varie occupazioni quotidiane. Essa si può dire,
un'orazione mentale che si prolunga durante
l'intera giornata. Come l'orazione mentale, è composto di
un duplice elemento: pensiero ed affetto; si
tratta infatti di pensare a Dio e di tenere l'affetto
orientato verso di Lui.
2. Quale è l'elemento principale della presenza di Dio?
L'elemento principale non è il pensiero, come molti
credono, bensì l'affetto, come nell'orazione
mentale; il pensiero serve a orientare il cuore, ossia la
volontà verso Dio, ma poi con la volontà l'anima
si unisce più intimamente al Signore e indirizza a lui
tutto il suo operare. È del resto più facile rimanere
lungamente in contatto con Dio per mezzo della volontà
che non con l'intelletto.
3. Onde proviene questa differenza?
La differenza nell'applicazione dell'intelletto e della
volontà deriva dal fatto che praticamente non è
possibile pensare a Dio in modo ininterrotto, dato che,
spesse volte, le nostre occupazioni richiedono
tutta la nostra attenzione e che non abbiamo la
possibilità di pensare contemporaneamente a due cose
diverse. Invece, anche mentre l'intelligenza è
interamente occupata nel lavoro che stiamo compiendo, il
cuore può rimanere orientato verso il Signore perché,
anche se il lavoro per sua natura fosse distraente,
potremmo sempre farlo per Lui, per compiere cioè la sua
volontà e per glorificarlo.
4. Come terremo orientato più facilmente il nostro cuore
verso Dio?
Possiamo farlo alimentando direttamente l'affetto con
piccoli esercizi affettivi, come sono le orazioni
giaculatorie, le pie invocazioni, l'offerta delle nostre
azioni, le domande di aiuto celeste, ossia per
mezzo di brevissime conversazioni con Dio in cui Gli
manifestiamo il nostro amore e la nostra fiducia.
Questo però non ci sarà possibile se il pensiero del
Signore non si presenterà spesse volte alla nostra
niente.
5.Vi è qualche modo per richiamare frequentemente il
pensiero di Dio alla nostra intelligenza?
Vi sono per questo vari metodi; anzi le diverse
"forme" dell'esercizio della presenza di Dio vengono
abitualmente distinte secondo i mezzi usati per
richiamare il pensiero di Dio alla mente. Così
distinguiamo la pratica della presenza di Dio
"esterna", quella "immaginaria", e quella
"intellettuale".
6. In che cosa consiste la pratica della presenza di Dio
"esterna"?
Consiste nel servirci di un oggetto a noi esterno per
pensare frequentemente al Signore. Un crocifisso
che portiamo sempre con noi, mettendocelo dinanzi durante
il lavoro, baciandolo, venerandolo, terrà
vivo in noi il ricordo di N. S. Gesù Cristo e ci darà
occasione di parlare affettuosamente con Lui. Così
pure il ricordo della presenza eucaristica nella cappella
della casa che abitiamo, alla quale ritorniamo
continuamente col pensiero, può giovare moltissimo a
mantenerci in contatto col Signore e a far sì che
ci intratteniamo con Lui, Lo stesso si dica di pie
immagini, ecc.
7. In che cosa consiste la pratica della presenza di Dio
"immaginaria"?
Questa pratica consiste nel rappresentarci con
l'immaginazione che il Signore, la Madonna o qualche
Santo siano molto vicino a noi e ci accompagnino
dappertutto; noi cerchiamo di rivolgerci ad essi con
brevi parole spontanee oppure con qualcuno dei diversi
esercizi affettivi cui abbiamo sopra accennato.
Non tutte le persone però riescono bene in questo modo di
praticare la presenza di Dio, che richiede
una immaginazione vivace e un'intera padronanza di essa.
8. Una tale rappresentazione non manca forse di verità?
In nessun modo, perché se la santissima Umanità di
Cristo, o la Madonna, o i Santi non ci sono
fisicamente presenti, sono tuttavia presenti
spiritualmente, per la ragione che i Santi e la Madonna ci
vedono nell'essenza divina che contemplano, e così sono
in relazione con noi, e che l'Umanità di Cristo
esercita su di noi un influsso anche fisico nella
comunicazione della grazia. Questa relazione
"spirituale" noi possiamo benissimo
"rappresentarcela" immaginando di essere in compagnia del
Signore o dei Santi.
9. Possiamo quindi fare l'esercizio della presenza di Dio
anche rivolgendoci ai Santi?
Sì, evidentemente; perché anche il ricordo della Madonna
e dei Santi giova ad orientare il nostro cuore e le nostre azioni verso il
Signore, e in questo orientamento della volontà consiste l'elemento più sostanziale
della presenza di Dio.
10. Che cosa è la pratica della presenza di Dio
"intellettuale"?
La pratica della presenza di Dio
"intellettuale" è quella con cui richiamiamo alla mente il ricordo di
Dio mediante un pensiero di fede. L'anima ricorda, per esempio, la presenza
continua della santissima Trinità in lei e cerca di piacere agli Ospiti divini;
oppure considera come i suoi doveri siano per lei
manifestazione del volere divino e si unisce
continuamente a questa divina volontà; con la luce soprannaturale
"vede" che tutte le circostanze della sua vita sono disposte dalla
divina Provvidenza e ripete al suo Padre celeste: "Sono contenta di
tutto"; oppure, sapendo che Dio la vede sempre, cerca di
fare ogni cosa nel modo che può renderla più gradita allo
sguardo divino, ecc.
11. Quale è la forma migliore dell'esercizio della
presenza di Dio?
La forma migliore di questo esercizio è quella che ci va
più a genio, e ciò non si determina "a priori" o col ragionamento, ma
con l'esperienza. Si noti, tuttavia, che nella pratica della presenza di Dio
non dobbiamo attaccarci in modo esclusivo a una forma determinata, ma possiamo
benissimo variare secondo le circostanze. Abitualmente, però, dobbiamo
preferire una forma particolare di questo esercizio e sceglieremo quella che a
noi si è dimostrata più utile. Possiamo quindi usare anche qui di una santa
libertà.
12. L'esercizio della presenza di Dio si può unire alle
azioni naturali più comuni e anche a quelle che ci sono di sollievo?
Indubbiamente; troveremo anzi in questo esercizio il modo
più pratico per santificare queste azioni.
Anche nei pasti possiamo innalzare il nostro cuore a Dio,
e invece di cercare soddisfazione nel cibo, studiarci di mangiare con santa
indifferenza allo scopo di ristorare le nostre forze per riprendere con maggiore
decisione il servizio di Dio. San Paolo lo insegna: "Sia che mangiate, sia
che beviate fate tutto a gloria di Dio". Lo stesso si dica delle nostre
ricreazioni che dobbiamo offrire al Signore, avendo in esse lo scopo di
acquistare nuove energie che impiegheremo per la sua gloria. Anzi, dobbiamo ordinare
a questo fine lo stesso riposo al quale dobbiamo prepararci facendone
esplicitamente l'offerta al Signore. Così l'esercizio della presenza di Dio ci
permetterà indubbiamente di vivere durante tutta la
giornata la nostra vita di amore.