giovedì 6 dicembre 2018

I NOVISSIMI - IL GIUDIZIO PARTICOLARE - CAPITOLO III


I NOVISSIMI


IL GIUDIZIO PARTICOLARE

Capitolo III

1.   che cos'è il giudizio particolare?

Intanto, è forse bene avvisare che si lasciano al lato opzioni teologiche che non sono la fede. Vi sono studiosi che, giustamente, parlano di assenza di tempo - del nostro tempo-  dopo la morte. E’ che -  non si sa se conseguentemente sovrappongono giudizio particolare, giudizio universale, resurrezione dei morti, ecc. come se tutto avvenisse in un istante.
Ignoriamo. Certo, nell'aldilà - esprimiamoci così - non si ritrovano minuti, ore, giorni, settimane,. Mesi, anni, secoli, millenni, come li misuriamo noi. Ma nell'aldilà non ci si imbatte soltanto con l'eternità di Dio, che è pienezza di vita assoluta immutabile;  si incontra anche il persistere di enti finiti come siamo noi, persone umane, per non parlare degli Angeli. Le quali persone umane, pur nella beatitudine raggiunta - o no - , continuano ad esistere, durano in un tempo qui a noi, lungo vita terrena, non è dato di sperimentare di conoscere.
Accontentiamoci, allora, di usare dei concetti che ci sono familiari -  gli unici comprensibili - , con la riserva di una diversità che ci sfugge. Il giudizio particolare, dunque. Distinto da quello universale.
Non c'è da immaginare chissà cosa: uno scranno di giudice, col giudice seduto sopra, la giuria, il pubblico ministero, gli avvocati di difesa, gli spettatori, ecc. O forse sì, come vedremo. Ma trasferendo l'avvenimento su un altro piano. E tralasciando almeno lo scranno. Quando uno muore, la sua anima si separa dal corpo e l'io compare davanti al Signore in una luminosità senza veli e senza angoli nascosti o nascondibili.
Allora, la persona messa a tu per tu con la verità di Dio, non ha bisogno di discussioni e di sentenze. Si  vede come è veduta dagli occhi davanti ai quali nulla è oscuro. Si giudica da sé, in qualche modo. Felicemente o tragicamente, non può non giudicarsi da sé. O meglio: con lo sguardo di Dio. Quasi di riverbero. Si scorge in comunione o in opposizione a Dio, o bisognosa di purificazione, prima di essere ammessa nell'intimità beatificante della vita trinitaria sperimentata in modo immediato.
Curiosità comprensibili: e quando e dove avviene il giudizio particolare? Pure qui, non esiste motivo di fantasticare. Il giudizio sulla persona avviene quando e dove la persona muore.
Non ci si dovrà stupire neppure quando si concretizza la scena seconda verità. A valutare sarà Cristo presente: colui al quale è stato dato ogni giudizio perché è venuto non condannare, ma a salvare il mondo.
Lo spirito ci assisterà come “difensore” e, attraverso il Signore Gesù, ci condurrà al Padre. Anche gli angeli parteciperanno: quelli buoni che ci hanno assistito e quelli cattivi che ci hanno tentate male. Anche la Madonna e i santi ci giudicheranno. Maria, che ci ha seguito come madre lungo la vita con la sua mediazione, e che ci attende impaziente. E poi, gli Apostoli che siedono a giudicare le tribù d’Israele diventate l'umanità. E poi, i Santi. Non solo quelli da calendario, da martirologio e da canonizzazione o da beatificazione, ma anche quelli ignoti che pur han vissuto nella grazia, magari con noi. La mamma. Il papà. I nonni. Qualche fratello. Gli amici. Tutti coloro che ci hanno preceduto nel segno della fede e dormono il sonno della pace. Dormo nel vegliano. Con la gioia di chi riceve una persona cara per la quale hanno pregato. Che hanno aspettato con impazienza. E avranno negli occhi un rapido sospiro. Non ci si dovrà stupire di queste presenze. E perché la nostra vita scorre sotto lo sguardo di tutto il paradiso. Non ci confessiamo anche agli angeli e ai Santi? E perché il silenzio dei morti non significa lontananza, ma prossimità tale da non poterli più scorgere. A cominciare dal Signore Gesù, pur risorto. Ed alla Vergine, pur Assunta anche col corpo. E poi, via via, gradatamente. Facendo valere i vincoli di sangue, ma anche quelli della carità, che leggano ancor di più. Non bisognerà sognare il “cielo” come un luogo lontano e inaccessibile ed estraneo a noi. Il “cielo” è una dimensione arcana che ci avvolge, che ci accompagna, ci soccorre, ci riceve con premura e affetto. In “cielo”.  Meglio: coloro che lo abitano; vale a dire, che sono in Dio e che tacitamente ma profondamente ci sono vicini.

2.            Quale sarà il contenuto del giudizio?

Al vespro della vita, saremo giudicati sull'amore.
E qui il pensiero corre subito al capitolo venticinquesimo del Vangelo di Matteo: avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero malato, carcerato, ecc.  Oppure no. Venite, benedetti dal Padre mio.
Via da me, maledetti.
Certo, l'amore al prossimo sarà un test infallibile. Non possiamo amare Dio che non si vede, se non amiamo il fratello vicino che si vede. E tuttavia, in quella direzione al prossimo va intuita tutta la legge fin nelle sue minuzie. Vanno colti tutti i messaggi che Dio ci ha inviato lungo l'intera esistenza. Dio, che, in Gesù Cristo e nello Spirito, è come in agguato a ogni crocicchio di strade. L'amore è impaziente, esigente, determinato, testardo. La preghiera ordinata è prolungata: Dio, il primo servito. L'attenzione ai poveri: ai poveri non solo di soldi, ma di certezza di non essere inutili, di motivi per vivere, di speranza, ecc. E poi tutti i comandamenti e i precetti. Fino a quegli appelli che Dio lancia nella normalità di giorni qualsiasi e che potrebbero ribaltare l'esistenza .
Sarà un Amore vivente a giudicarci sull'amore. Constateremo, senza possibilità di sotterfugi e di mascherature, se l'avremo  accolto o respinto. La giustizia è come dentro questo Amore che nonno troneggia e non si impone, ma si offre in una debolezza che può essere scansata o schiacciata quasi con disinvoltura.
Lo stile di Dio non è quello fracassone è paludato, che scardina le porte del cuore. E’ quello di un’Onnipotenza che si fa Onnifragilità e bussa. Entra soltanto se gli si apre dall'interno.
E vertiginosa questa iniziativa di tenerezza che rispetta la libertà fino a lasciarsi uccidere. Ma è proprio questa iniziativa di tenerezza che diviene esigentissima: sulla misura in cui si è donata: sino alla fine.
Ed è misericordia che non si stanca di perdonare. Va da sé che ciascuno sarà giudicato in base ai doni che ha ricevuto. Come della parabola dei talenti, dove vige la proporzione, non l'assoluto.  E anche l'aver nascosto l'unico talento per paura, sarà colpa. La colpa di chi blocca la freschezza debordante della risposta alla dilezione di Dio. La colpa della neghittosità, del disinteresse, della svagatezza. Un amore che non cresce, si estenua. Muore.
Va da sé, ancora, che ciascuno sarà giudicato in base alla Fede, alla speranza, alla carità, alla appartenenza alla chiesa, alla pratica religiosa, ecc. è riuscito a ricevere da Dio e a vivere come risposta a Dio. Con la fedeltà di cui è stato capace.
Va da sé, ancora, che anche l’ateo trova Dio oltre la morte. L’ha davvero negato lungo l’esistenza terrena, o ne ha rifiutato una caricatura? C’è un odio allo stato puro verso Dio? Ci può essere indifferenza Per tutta la vita?

3.            Ci sarà libertà di scelta, dopo?

Dopo la morte no.
La libertà, all’istante del morire si fisserà per sempre nel bene o nel male che ha scelto come assoluto.
L’esistenza terrena – un’esistenza ancora in divenire – può cambiare oggetto d’amore. Può decidere per la santità più eccelsa o per la dannazione più ingrata e ostinata. Oscilla. E a essa, è data la capacità di scegliere tra la luce e le tenebre, tra Dio e l’impossibile nulla.
La libertà può astenersi dal decidere il proprio destino?
No. Dio non è facoltativo. E in questo sta la responsabilità della vita. Anche il disinteresse è decisione contro. Poiché nell’intimo abbiamo un insopprimibile bisogno di Dio. Possiamo assecondare questa esistenza. La possiamo contrariare. Non la possiamo distruggere. Siamo vuoto che chiede d’essere colmato. Siamo attesa che invoca d’essere esaudita.
A noi la nostra sorte. E’ nelle nostre mani. Forse non si dovrà nemmeno immaginare atomisticamente una molteplicità di scelte, ciascuna a sé stante. La vita ha un orientamento di fondo che è formato e si esprime in decisioni singole, in gesti singoli. Ma tali decisioni e tali gesti sono coordinati così che il bene o il male diventa sempre più facile, quasi istintivo. La dolcezza del giogo pesante, Il peccato frutto del peccato.
Senza negare la possibilità di revisione. Ma anche senza affermarla con necessità disinvoltura ad ogni momento.
Ciò significa che ci si può convertire negli istanti più impensati: anche in punto di morte. Ma non si potrà far affidamento su questa estrema istanza per condurre un’esistenza opaca o sciagurata. In tal modo ci si burla di un amore che si consuma per noi.
E lasciamo aperta la strada al miracolo. Dio agisce ben oltre le nostre misure.
Si potrebbe pensare che, se la nostra libertà si stabilisce per sempre al momento della morte nell’orientamento che ha preso, proprio il momento della morte sia l’atto di libertà più completo e più puro.
Può essere. C’è da augurarsi che sia.
Ma Chi ci assicura che l’istante del passaggio nell’eternità – del passaggio fisico, se si può dire – sia cosciente e sia libero come vorremmo? E allora, pur sapendo di parlare dell’egmatico, non ci si dovrebbe convincere che vi sono nella vita decisioni che condiziona per sempre? E quando collocare questa decisione? Potremmo anche ignorarlo.
Lo scorrere del tempo ci appare così da gestire con insistensità costante e crescente. La vigilanza di cui parla il Vangelo. Che non si riferisce soltanto alla morte, la quale può giungere inattesa. La morte che subita viene. Si riferisce anche all’attimo che si sta vivendo, che passa, e che può determinare la beatitudine o la dannazione. Si danno conversioni a piacere? Ad appuntamento? O non è piuttosto il mistero di Dio che stabilisce questi incontri? E che incalza? È che non ci abbandona, se non è da noi abbandonato? Ma, appunto, non riusciamo ad abituarci ad abbandonare Dio?

4.            È possibile una coscienza certa e tranquilla?

Verrebbe, d’istinto, di rispondere di sì. Non siamo noi deliberare e ad operare? Non ci possiamo guardar dentro per vedere quasi ad occhio nudo chi siamo? Se viviamo in grazia o in peccato?
Fosse così facile lo scandaglio del cuore.
Il fatto è che non ci è concesso tanto agevolmente di conoscerci.
Per vari motivi.
Perché soltanto dalle opere riusciamo a risalire all’io che le compie. La saggezza della confessione “Tridentina”.
Perché siamo troppo inclini alla slealtà nel valutarci. Anzi, ci facciamo orrore, se dobbiamo registrare in noi le mezze misure, le svogliatezze, le neghittosità, le biglietterie, i tradimenti che portiamo in animo.
Possiamo conoscerci e accettarsi come siamo, senza spavento, senza schifo - pardon, ma è vero -, soltanto se siamo certi che un Altro ci conosce e ci accetta, e non prova paura poiché la paura l'ha già tutta assunta, gustata e superata sulla Croce.
Il che è quanto dire che apprendiamo la nostra condizione non quando scaldagliamo il nostro intimo solipsisticamente, ma quando ci lasciamo squadernare il cuore sotto lo sguardo di Dio. La menzogna, il trucco, il velario, gli angoli bui sono tanto a portata di mano, che quasi non ci accorgiamo neppur più di ingannarci. Dai peccati nascosti, liberami O Signore. Nascosti anche a me stesso. La preghiera, piuttosto, è l'esame di coscienza più felice e corretto. Forse l'unico consentito. Il metterei davanti al Signore e chiedergli come e chi siamo. Il metterei davanti al Signore e sapere che gli crede in noi più di quanto noi crediamo in noi stessi e ci ama più di quanto ci amiamo ed è desideroso di perdonarci più di quanto noi siamo desiderosi di essere perdonati.
Ecco, l'invocazione della misericordia rimane l'ultima parola l'autocoscienza. Il sentire il peso greve e affannoso del peccato, ma l'esser certi che il Signore ha un cuore più grande del nostro. Non a caso, riflettendo sulla morte, viene subito in mente il sacramento della penitenza. Il dirsi fiducioso. L’esprimere le proprie brutture che dovrebbero allontanare Dio, ma con la sicurezza che Dio ci accoglie e ci rinnova. Fossimo dei criminali. Fossimo dei gretti astuti, tentati di giustificarsi, ma pure convinti che non possiamo liberarci dal peccato con le sole nostre forze; e che il Signore non ci ributta indietro, nemmeno dopo l'ennesimo tradimento.
Non a caso, chi muore cosciente,in umiltà, ha sulle labbra parole di pentimento. Gesù mio, misericordia. Che poi altro non è che il riassunto della preghiera cristiana: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore.
E’ questa, della preghiera e del sacramento della Penitenza, l'anticipazione più vera del giudizio particolare. L'offrirsi così, perdendosi in un amore che perdona. In un amore che placa ogni terrore. Che acquieta ogni dubbio. Ci si lascia amare. E ci si dà per quel niente che si è. Un niente che si è inarcato nella ribellione della colpa, ma ora si piega nella ricezione del dono; nella consegna del dono di sé. E va a capire come Dio goda ad accogliere questi sgorbi che siamo. Quegli ingrati. Quei distratti. Quei banali. Quelli ribelli. Ma capaci di lasciarci usare misericordia, se Dio ci aiuta.

5.            La retribuzione è immediata?

Uso la parola retribuzione perché è quella solitamente usata. Anche se sa un po' di “diritto” che non abbiamo. Poiché tutto è dono del rapporto con Dio.
Ebbene, sì. E’ immediata la comunione perfetta e beatificante con Dio. Ho la dannazione, Dio non voglia; o meglio, non vogliamo noi. Dopo la morte. All'istante della morte.
A meno che non siamo pronti né per il paradiso né per l'inferno, poiché non ci siamo lasciati salvare pienamente; non abbiamo risposto con tutte le forze alla direzione di Dio.
Allora si apre l'attesa della purificazione. Che, però è già certezza della gloria.
C'è da chiedersi se, consapevoli delle nostre grettezze, questa attesa non sia sorte di molti. Ma qui occorre essere caduti. Dio vede macchie anche negli angeli. Dio perdona Senza riserve. Tutto e sempre. La difficoltà nasce da noi.