I NOVISSIMI
IL GIUDIZIO PARTICOLARE
Capitolo III
1.
che cos'è il
giudizio particolare?
Intanto, è forse bene avvisare che si lasciano al lato
opzioni teologiche che non sono la fede. Vi sono studiosi che, giustamente,
parlano di assenza di tempo - del nostro tempo- dopo la morte. E’ che - non si sa se conseguentemente sovrappongono
giudizio particolare, giudizio universale, resurrezione dei morti, ecc. come se
tutto avvenisse in un istante.
Ignoriamo. Certo, nell'aldilà - esprimiamoci così - non
si ritrovano minuti, ore, giorni, settimane,. Mesi, anni, secoli, millenni,
come li misuriamo noi. Ma nell'aldilà non ci si imbatte soltanto con l'eternità
di Dio, che è pienezza di vita assoluta immutabile; si incontra anche il persistere di enti finiti
come siamo noi, persone umane, per non parlare degli Angeli. Le quali persone
umane, pur nella beatitudine raggiunta - o no - , continuano ad esistere, durano
in un tempo qui a noi, lungo vita terrena, non è dato di sperimentare di
conoscere.
Accontentiamoci, allora, di usare dei concetti che ci
sono familiari - gli unici comprensibili
- , con la riserva di una diversità che ci sfugge. Il giudizio particolare, dunque.
Distinto da quello universale.
Non c'è da immaginare chissà cosa: uno scranno di
giudice, col giudice seduto sopra, la giuria, il pubblico ministero, gli
avvocati di difesa, gli spettatori, ecc. O forse sì, come vedremo. Ma
trasferendo l'avvenimento su un altro piano. E tralasciando almeno lo scranno.
Quando uno muore, la sua anima si separa dal corpo e l'io compare davanti al
Signore in una luminosità senza veli e senza angoli nascosti o nascondibili.
Allora, la persona messa a tu per tu con la verità di
Dio, non ha bisogno di discussioni e di sentenze. Si vede come è veduta dagli occhi davanti ai
quali nulla è oscuro. Si giudica da sé, in qualche modo. Felicemente o
tragicamente, non può non giudicarsi da sé. O meglio: con lo sguardo di Dio.
Quasi di riverbero. Si scorge in comunione o in opposizione a Dio, o bisognosa
di purificazione, prima di essere ammessa nell'intimità beatificante della vita
trinitaria sperimentata in modo immediato.
Curiosità comprensibili: e quando e dove avviene il
giudizio particolare? Pure qui, non esiste motivo di fantasticare. Il giudizio
sulla persona avviene quando e dove la persona muore.
Non ci si dovrà stupire neppure quando si concretizza
la scena seconda verità. A valutare sarà Cristo presente: colui al quale è
stato dato ogni giudizio perché è venuto non condannare, ma a salvare il mondo.
Lo spirito ci assisterà come “difensore” e, attraverso
il Signore Gesù, ci condurrà al Padre. Anche gli angeli parteciperanno: quelli
buoni che ci hanno assistito e quelli cattivi che ci hanno tentate male. Anche
la Madonna e i santi ci giudicheranno. Maria, che ci ha seguito come madre lungo
la vita con la sua mediazione, e che ci attende impaziente. E poi, gli Apostoli
che siedono a giudicare le tribù d’Israele diventate l'umanità. E poi, i Santi.
Non solo quelli da calendario, da martirologio e da canonizzazione o da
beatificazione, ma anche quelli ignoti che pur han vissuto nella grazia, magari
con noi. La mamma. Il papà. I nonni. Qualche fratello. Gli amici. Tutti coloro
che ci hanno preceduto nel segno della fede e dormono il sonno della pace.
Dormo nel vegliano. Con la gioia di chi riceve una persona cara per la quale
hanno pregato. Che hanno aspettato con impazienza. E avranno negli occhi un
rapido sospiro. Non ci si dovrà stupire di queste presenze. E perché la nostra
vita scorre sotto lo sguardo di tutto il paradiso. Non ci confessiamo anche
agli angeli e ai Santi? E perché il silenzio dei morti non significa lontananza,
ma prossimità tale da non poterli più scorgere. A cominciare dal Signore Gesù,
pur risorto. Ed alla Vergine, pur Assunta anche col corpo. E poi, via via,
gradatamente. Facendo valere i vincoli di sangue, ma anche quelli della carità,
che leggano ancor di più. Non bisognerà sognare il “cielo” come un luogo
lontano e inaccessibile ed estraneo a noi. Il “cielo” è una dimensione arcana
che ci avvolge, che ci accompagna, ci soccorre, ci riceve con premura e affetto.
In “cielo”. Meglio: coloro che lo
abitano; vale a dire, che sono in Dio e che tacitamente ma profondamente ci
sono vicini.
2.
Quale sarà il
contenuto del giudizio?
Al vespro della vita, saremo giudicati sull'amore.
E qui il pensiero corre subito al capitolo
venticinquesimo del Vangelo di Matteo: avevo fame e mi avete dato da mangiare,
avevo sete e mi avete dato da bere, ero malato, carcerato, ecc. Oppure no. Venite, benedetti dal Padre mio.
Via da me, maledetti.
Certo, l'amore al prossimo sarà un test infallibile. Non
possiamo amare Dio che non si vede, se non amiamo il fratello vicino che si
vede. E tuttavia, in quella direzione al prossimo va intuita tutta la legge fin
nelle sue minuzie. Vanno colti tutti i messaggi che Dio ci ha inviato lungo
l'intera esistenza. Dio, che, in Gesù Cristo e nello Spirito, è come in agguato
a ogni crocicchio di strade. L'amore è impaziente, esigente, determinato,
testardo. La preghiera ordinata è prolungata: Dio, il primo servito. L'attenzione
ai poveri: ai poveri non solo di soldi, ma di certezza di non essere inutili, di
motivi per vivere, di speranza, ecc. E poi tutti i comandamenti e i precetti. Fino
a quegli appelli che Dio lancia nella normalità di giorni qualsiasi e che
potrebbero ribaltare l'esistenza .
Sarà un Amore vivente a giudicarci sull'amore. Constateremo,
senza possibilità di sotterfugi e di mascherature, se l'avremo accolto o respinto. La giustizia è come
dentro questo Amore che nonno troneggia e non si impone, ma si offre in una
debolezza che può essere scansata o schiacciata quasi con disinvoltura.
Lo stile di Dio non è quello fracassone è paludato,
che scardina le porte del cuore. E’ quello di un’Onnipotenza che si fa Onnifragilità
e bussa. Entra soltanto se gli si apre dall'interno.
E vertiginosa questa iniziativa di tenerezza che
rispetta la libertà fino a lasciarsi uccidere. Ma è proprio questa iniziativa
di tenerezza che diviene esigentissima: sulla misura in cui si è donata: sino
alla fine.
Ed è misericordia che non si stanca di perdonare. Va
da sé che ciascuno sarà giudicato in base ai doni che ha ricevuto. Come della
parabola dei talenti, dove vige la proporzione, non l'assoluto. E anche l'aver nascosto l'unico talento per
paura, sarà colpa. La colpa di chi blocca la freschezza debordante della
risposta alla dilezione di Dio. La colpa della neghittosità, del disinteresse,
della svagatezza. Un amore che non cresce, si estenua. Muore.
Va da sé, ancora, che ciascuno sarà giudicato in base
alla Fede, alla speranza, alla carità, alla appartenenza alla chiesa, alla
pratica religiosa, ecc. è riuscito a ricevere da Dio e a vivere come risposta a
Dio. Con la fedeltà di cui è stato capace.
Va da sé, ancora, che anche l’ateo trova Dio oltre la
morte. L’ha davvero negato lungo l’esistenza terrena, o ne ha rifiutato una
caricatura? C’è un odio allo stato puro verso Dio? Ci può essere indifferenza
Per tutta la vita?
3.
Ci sarà
libertà di scelta, dopo?
Dopo la morte no.
La libertà, all’istante del morire si fisserà per
sempre nel bene o nel male che ha scelto come assoluto.
L’esistenza terrena – un’esistenza ancora in divenire –
può cambiare oggetto d’amore. Può decidere per la santità più eccelsa o per la
dannazione più ingrata e ostinata. Oscilla. E a essa, è data la capacità di
scegliere tra la luce e le tenebre, tra Dio e l’impossibile nulla.
La libertà può astenersi dal decidere il proprio
destino?
No. Dio non è facoltativo. E in questo sta la
responsabilità della vita. Anche il disinteresse è decisione contro. Poiché
nell’intimo abbiamo un insopprimibile bisogno di Dio. Possiamo assecondare
questa esistenza. La possiamo contrariare. Non la possiamo distruggere. Siamo vuoto
che chiede d’essere colmato. Siamo attesa che invoca d’essere esaudita.
A noi la nostra sorte. E’ nelle nostre mani. Forse non
si dovrà nemmeno immaginare atomisticamente una molteplicità di scelte,
ciascuna a sé stante. La vita ha un orientamento di fondo che è formato e si
esprime in decisioni singole, in gesti singoli. Ma tali decisioni e tali gesti
sono coordinati così che il bene o il male diventa sempre più facile, quasi istintivo.
La dolcezza del giogo pesante, Il peccato frutto del peccato.
Senza negare la possibilità di revisione. Ma anche
senza affermarla con necessità disinvoltura ad ogni momento.
Ciò significa che ci si può convertire negli istanti
più impensati: anche in punto di morte. Ma non si potrà far affidamento su
questa estrema istanza per condurre un’esistenza opaca o sciagurata. In tal
modo ci si burla di un amore che si consuma per noi.
E lasciamo aperta la strada al miracolo. Dio agisce
ben oltre le nostre misure.
Si potrebbe pensare che, se la nostra libertà si
stabilisce per sempre al momento della morte nell’orientamento che ha preso,
proprio il momento della morte sia l’atto di libertà più completo e più puro.
Può essere. C’è da augurarsi che sia.
Ma Chi ci assicura che l’istante del passaggio nell’eternità
– del passaggio fisico, se si può dire – sia cosciente e sia libero come
vorremmo? E allora, pur sapendo di parlare dell’egmatico, non ci si dovrebbe
convincere che vi sono nella vita decisioni che condiziona per sempre? E quando
collocare questa decisione? Potremmo anche ignorarlo.
Lo scorrere del tempo ci appare così da gestire con
insistensità costante e crescente. La vigilanza di cui parla il Vangelo. Che
non si riferisce soltanto alla morte, la quale può giungere inattesa. La morte
che subita viene. Si riferisce anche all’attimo che si sta vivendo, che passa,
e che può determinare la beatitudine o la dannazione. Si danno conversioni a
piacere? Ad appuntamento? O non è piuttosto il mistero di Dio che stabilisce
questi incontri? E che incalza? È che non ci abbandona, se non è da noi
abbandonato? Ma, appunto, non riusciamo ad abituarci ad abbandonare Dio?
4.
È possibile
una coscienza certa e tranquilla?
Verrebbe, d’istinto, di rispondere di sì. Non siamo
noi deliberare e ad operare? Non ci possiamo guardar dentro per vedere quasi ad
occhio nudo chi siamo? Se viviamo in grazia o in peccato?
Fosse così facile lo scandaglio del cuore.
Il fatto è che non ci è concesso tanto agevolmente di
conoscerci.
Per vari motivi.
Perché soltanto dalle opere riusciamo a risalire all’io
che le compie. La saggezza della confessione “Tridentina”.
Perché siamo troppo inclini alla slealtà nel valutarci.
Anzi, ci facciamo orrore, se dobbiamo registrare in noi le mezze misure, le
svogliatezze, le neghittosità, le biglietterie, i tradimenti che portiamo in
animo.
Possiamo conoscerci e accettarsi come siamo, senza
spavento, senza schifo - pardon, ma è vero -, soltanto se siamo certi che un Altro
ci conosce e ci accetta, e non prova paura poiché la paura l'ha già tutta assunta,
gustata e superata sulla Croce.
Il che è quanto dire che apprendiamo la nostra condizione
non quando scaldagliamo il nostro intimo solipsisticamente, ma quando ci
lasciamo squadernare il cuore sotto lo sguardo di Dio. La menzogna, il trucco,
il velario, gli angoli bui sono tanto a portata di mano, che quasi non ci
accorgiamo neppur più di ingannarci. Dai peccati nascosti, liberami O Signore.
Nascosti anche a me stesso. La preghiera, piuttosto, è l'esame di coscienza più
felice e corretto. Forse l'unico consentito. Il metterei davanti al Signore e
chiedergli come e chi siamo. Il metterei davanti al Signore e sapere che gli
crede in noi più di quanto noi crediamo in noi stessi e ci ama più di quanto ci
amiamo ed è desideroso di perdonarci più di quanto noi siamo desiderosi di
essere perdonati.
Ecco, l'invocazione della misericordia rimane l'ultima
parola l'autocoscienza. Il sentire il peso greve e affannoso del peccato, ma
l'esser certi che il Signore ha un cuore più grande del nostro. Non a caso,
riflettendo sulla morte, viene subito in mente il sacramento della penitenza.
Il dirsi fiducioso. L’esprimere le proprie brutture che dovrebbero allontanare
Dio, ma con la sicurezza che Dio ci accoglie e ci rinnova. Fossimo dei
criminali. Fossimo dei gretti astuti, tentati di giustificarsi, ma pure
convinti che non possiamo liberarci dal peccato con le sole nostre forze; e che
il Signore non ci ributta indietro, nemmeno dopo l'ennesimo tradimento.
Non a caso, chi muore cosciente,in umiltà, ha sulle
labbra parole di pentimento. Gesù mio, misericordia. Che poi altro non è che il
riassunto della preghiera cristiana: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi
pietà di me peccatore.
E’ questa, della preghiera e del sacramento della
Penitenza, l'anticipazione più vera del giudizio particolare. L'offrirsi così,
perdendosi in un amore che perdona. In un amore che placa ogni terrore. Che
acquieta ogni dubbio. Ci si lascia amare. E ci si dà per quel niente che si è.
Un niente che si è inarcato nella ribellione della colpa, ma ora si piega nella
ricezione del dono; nella consegna del dono di sé. E va a capire come Dio goda
ad accogliere questi sgorbi che siamo. Quegli ingrati. Quei distratti. Quei
banali. Quelli ribelli. Ma capaci di lasciarci usare misericordia, se Dio ci
aiuta.
5.
La retribuzione
è immediata?
Uso la parola retribuzione perché è quella solitamente
usata. Anche se sa un po' di “diritto” che non abbiamo. Poiché tutto è dono del
rapporto con Dio.
Ebbene, sì. E’ immediata la comunione perfetta e
beatificante con Dio. Ho la dannazione, Dio non voglia; o meglio, non vogliamo
noi. Dopo la morte. All'istante della morte.
A meno che non siamo pronti né per il paradiso né per
l'inferno, poiché non ci siamo lasciati salvare pienamente; non abbiamo
risposto con tutte le forze alla direzione di Dio.
Allora si apre l'attesa della purificazione. Che, però
è già certezza della gloria.
C'è da chiedersi se, consapevoli delle nostre grettezze,
questa attesa non sia sorte di molti. Ma qui occorre essere caduti. Dio vede
macchie anche negli angeli. Dio perdona Senza riserve. Tutto e sempre. La
difficoltà nasce da noi.