L’OSSESSA
DI PIACENZA
Intervista col diavolo
Cronaca di Alberto Vecchi
(SECONDA PARTE)
Il primo
esorcismo di Padre Pier Paolo Veronesi
sulla
donna ossessa di Piacenza
Il Padre Pier Paolo
Veronesi, quasi per tranquillizzare la propria ansia, volle che agli esorcismi
assistessero varie persone : non sarebbe stato da solo alle eventuali furie
dell’ossessa. Inoltre chiese a un confratello, il Padre Giustino, che conosceva
la stenografia, di voler fissare su carta lo svolgersi dei dialoghi.
Alle ore 14 del 21 maggio
ebbe luogo il primo raduno per l’esorcismo. La signora, pallida, elegante, giunse
seguita dal marito, dalla madre, da un amico di casa e da due signorine. Furono
ricevuti da P. Pier Paolo, dal Padre Giustino e dal dottor Lupi.
La sala degli esorcismi, a
S. Maria di Campagna, è situata al primo piano del Santuario. E’ una bella,
spaziosa sala, dagli ampi finestroni a lungo battuti dal sole. Sul fondo della
sala, un piccolo altare portatile, sul quale fu esposta, tra due candelieri, la
teca del Santo legno della Croce. Davanti all’altare furono poste due sedie,
che avrebbero dovuto servire da genuflessorio all’esorcista e al suo assistente
per le preghiere preparatorie. Un poco più indietro, una poltroncina di vimini
per l’ossessa, e ai lati della poltroncina, in semicerchio, altre sedie per gli
assistenti e i testimoni. A destra dell’altare, la poltrona del medico; a
sinistra, il banco dello stenografo e un piccolo tavolo con sopra la stola, la
cotta, il Rituale romano, l’aspersorio e il secchiello dell’acqua santa.
La signora fu fatta sedere.
Ai suoi lati si disposero, in piedi, gli assistenti, pronti per qualsiasi
evenienza; le signore, un poco pallide, occuparono le sedie in semicerchio. Due
Padri, in ginocchio davanti al piccolo altare, incominciarono a recitare le
litanie dei santi; poi, come prescrive il Rituale, si volsero verso l’ossessa e
continuarono a recitare le preghiere preparatorie, che sono lunghissime.
Quando i due sacerdoti
arrivarono allo scongiuro potentissimo, l’ossessa, che sino allora era rimasta
seduta, sbadigliando e stirandosi le braccia come fosse una belva che sta per
sfegliarsi, subito alle parole dell’esorcismo: “Exorcizo te, immundissime
spiritus, omne phantasma, omnis legio”, improvvisamente unite le mani alla
punta dei piedi, si slanciò con mirabile eleganza in aria, e piombò poi,
snodandosi come una biscia, in mezzo alla sala, rimanendovi sdraiata.
Il corpo della donna era
totalmente trasformato. Il suo volto poi era orribile. Immediatamente accennò a
scagliarsi contro l’esorcista, gridandogli con voce tonante: “Ma chi sei tu,
che osi venire a combattere con me? Non sai che io sono Isabò, che ho le ali
lunghe e i pugni robusti?”
E scaricò all’indirizzo del
sacerdote un cumulo di ingiurie. L’esorcista, rotto dall’emozione, sulle prime
si sentì come annientato; ma poi una forza nuova lo invase, e si sentì forte di
uno spirito combattivo che egli non seppe umanamente spiegarsi.
Impose allo spirito di
tacere: “Io, sacerdote di Cristo, impongo a te, chiunque tu sia, e te lo
impongo per i misteri dell’incarnazione, della passione e della risurrezione di
Gesù Cristo, per la sua salita al cielo, per la sua venuta al giudizio
universale, di star fermo, di non far male né a questa creatura di Dio, né ai
circostanti, né alle cose loro, e di ubbidire in tutto ciò che io ti comando”.
E, finito lo scongiuro, nel
silenzio assoluto, in mezzo all’ansia dei presenti, incominciava il terribile
interrogatorio, in cui avrebbero dovuto tenacemente a lottare il sacerdote e lo
spirito, l’uno per farsi ubbidire, e l’altro per gettare in faccia all’avversario
la sua sillaba preferita:NO.
A TU PER TU CON SATANA
“In nome di Dio, chi sei?” chiese con autorità l’esorcista.
“Isabò” urlò l’ossessa, svegliandosi dal suo silenzio,
rossa in faccia e con gli occhi sbarrati.
“Che cosa significa Isabò?”.
“Tu hai dei nemici che …”.
“Che cosa significa Isabò?”.
Lo spirito aveva tentato di
deviare subito il discorso, ma arrestato dalla seconda domanda del sacerdote,
mordendosi le mani e le braccia, e tentando di afferrare l’abito dell’esorcista,
gridò:”Significa essere fatturato così bene da non potersene più distaccare”.
“Che potere hai?”.
“Il potere che mi danno”.
“Che potere ti danno?”.
“Tante forze”.
“Da chi ricevi queste forze?”.
“Dalla persona in cui sa scongiurarmi”.
“Ma che italiano è questo?”.
L’ossessa ebbe come un
fremito di sdegno:”Non sono italiano, io” urlò sarcasticamente, E uscì in una
tempesta di ingiurie, che si rinnoverà moltissime volte durante tutti gli
esorcismi.
Il sacerdote continuò imperterrito: “Donde vieni?”.
“Ma tu mi comandi come fossi il tuo servo”.
“Dimmi donde vieni”.
“No”.
“In nome di Dio, di quel Dio che tu ben conosci, dimmi
donde vieni”.
Lo spirito, udito
pronunziare il nome di Dio, girò altrove la faccia, come un toro infuriato che
avesse ricevuto una bastonata sul muso, e rimase immobile, tra un sinistro
silenzio, per parecchi secondi.
“In nome di Cristo” ripeté
il sacerdote “per il suo Sangue, per la sua morte, dimmi donde vieni”.
“Dai deserti lontani”.
“Sei solo o hai dei compagni?”.
“Ho dei compagni”.
“Quanti?”.
“Sette”, rispose, dopo molti
tentativi di tergiversazione. Questi compagni avevano nomi strani anch’essi.
IL MALEFICIO
Era impressionante il vedere
come rapidamente l’ossessa mutasse l’espressione del volto e della voce: ora
violento, ora sprezzante, ora sarcastico, sempre però ribelle e altero.
Tuttavia, pur tra tutti i suoi atteggiamenti eccessivi, conservava una dignità,
una compostezza d’abiti singolare. Inoltre, mai le uscì di bocca, oltre alle
solite ingiurie, una vera volgarità di espressione.
“Perché sei entrato in
questo corpo?” Chiese a un certo punto il sacerdote.
“Per un forte amore non corrisposto”.
“Non corrisposto da chi?”.
“Sei un imbecille”.
“Rispondi, chi non ha corrisposto a questo amore?”.
“Questo corpo” urlò lo
spirito, dandosi un formidabile pugno sul petto.
“E perché non ti ha corrisposto?”.
Fiera, sdegnosa, suonò alta
una risposta incredibile:”Perché ciò non è giusto”.
“Dunque questo corpo è una tua vittima”.
La conseguenza tratta dal P.
Pier Paolo fu sottolineata da una risata orribile. L’ossessa rideva, ma questa
volta a bocca chiusa, e assumendo un muso da maiale la cui vista gelò tutti in
un brivido di spavento.
“Quando sei entrato in questo corpo?”.
Costretto da molti
scongiuri, tra violentissimi sobbalzi, che misero a dura prova i muscoli degli
assistenti, lo spirito rispose:”Nel 1913, il 23 aprile, alle ore 5 pomeridiane”.
Cosa tenebrosa! Egli era
entrato nel corpo di quella, in seguito allo scongiuro di uno stregone, per
mezzo di un bicchiere di vino, di un poco di carne di salame, e di qualche
goccia di sangue.
“Davvero?” chiese l’esorcista.
“Per mezzo di salame e d’un
bicchiere di vino bianco contemporaneamente a delle parole”.
Era evidentemente il caso di
chiedere quali fossero le parole magiche; ma in una confusione così spaventosa,
con lo spirito che si agitava, urlava, minacciava continuamente, il P. Pier
Paolo se ne dimenticò.
“Hai invaso solo questo corpo o anche i membri della
famiglia?”.
“Anche i membri della famiglia”.
“Dammene una prova”.
“Quando questo corpo sta male, anche la famiglia è
indisposta”.
“Caso di telepatia”.
“Imbecille!”.
“Quanto tempo hanno impiegato per farti entrare in questo
corpo?”.
“Sette giorni”.
“In che luogo fu commesso il delitto?”.
“In una casa qui a Piacenza”.
“In quale casa?”.
“Non chedere” gridò allarmato lo spirito; “non si può”.
“E allora vattene”.
“No”.
Il sacerdote rinnovò l’esorcismo: “Vattene!”.
“Mai!”. Fu come uno schianto.
“T’impongo di uscire!”.
“ Non esco. Sono Isabò”. E
in un impeto di ribellione si sbarazzò degli assistenti, e con le mani adunche,
con gli occhi lampeggianti, si slanciò contro il sacerdote, gli afferrò l’abito.
Gli strappò la stola, dilaniò questa con furore, gridando: “Hanno impiegato
sette giorni per farmi entrare, e tu vuoi farmi partire da questo corpo con un
solo esorcismo?”.
Era un momento critico.
Tutti erano in moto. Solo il dottore stava fermo, impassibile, con gli occhi
fissi sulla scena. Il sacerdote benedì l’ossessa con l’acqua santa, e quella,
contorcendosi, raggomitolandosi.
“Quando uscirai?”.
Un’espressione di profonda
amarezza mutò il volto dell’ossessa: “Come debbo fare se, mentre tu lavori
perché io vada, altri stanno lavorando perché resti?”.
“Esci!” disse l’esorcista,
ponendo il lembo della sua stola sulla spalla della signora.
Appena sentito il contatto
della stola, la donna, che era sdraiata supina per terra, strisciò via sul
pavimento come una biscia; pazza di terrore urlò: “Levatemi questo peso!”.
“Fermati!” comandò l’esorcista.
Ma l’ossessa non obbedì e continuò a fuggire gridando:”Levatemi questo peso!
Levatemi questo Peso!”.
Le scene si facevano sempre
più orribili, sempre più agghiaccianti. Ma poi lo spirito fu costretto a
rispondere: “Uscirò quando avrò rigettato la palla che ho nel ventre”. Si
trattava della palla di salame col quale era stato compiuto il maleficio.
“Rigetta!”.
L’ossessa, con un balzo
formidabile, fu sul catino, già preparato, e rigettò qualcosa. Da notarsi che l’ossessa
non ebbe mai, durante gli esorcismi, a rigettare i cibi mangiati durante i
precedenti pasti; quando rigettava, essa rigettava soltanto la roba presa per
maleficio nel 1913.
“Dimmi, immondo spirito, le parole che ti fanno soffrire
di più”.
Il sacerdote voleva
costringere l’ossessa a rigettare tutta la roba malefiziata. Essa si rivolse
verso l’esorcista con terrore, e non rispose. Ma quando le fu reiterata la
domanda, con uno scatto indescrivibile di spavento e di ribellione, urlò:”No!”.
Era decisa a combattere. E combatté duramente, finché, dopo un momento di
incertezza e paura profonda, non ebbe finalmente a scandire, nel silenzio
profondo della sala: “Sanctus! Sanctus! Sanctus!”.
In effetti il trisagio la
annientava. Quando il sacerdote invitò tutti gli astanti a recitarlo, il corpo
dell’ossessa si agitò violentemente, balzò ripetutamente in aria, emettendo
urla spaventose. Era una scena impressionante. Un piccolo coro di voci si
raccomandava a Dio, e, potentissima, la voce dello spirito, urlava e
minacciava. Persino il dottore, era balzato in piedi, pallido, attento.
Ma l’esorcismo era ormai
durato troppe ore, e la signora era addirittura sfinita. Dopo aver imposto allo
spirito di non far male ad alcuno, il sacerdote pose fine all’esorcismo. Era
ormai notte.
“Non farò niente di male a questo corpo, né alla sua
famiglia”.
Lo spirito fissò cupamente
gli occhi sul sacerdote. Poi, improvvisamente animato, girò gli occhi attorno,
in alto, sulle pareti, come se seguisse una cavalcata di spettri. Un brivido lo
scosse, ed egli rientrò nel mistero.
Dal libro: E’ lui a far
paura al demonio
(Continua la 3 P.)