sabato 14 settembre 2019

L’OSSESSA DI PIACENZA (QUARTA PARTE)


L’OSSESSA DI PIACENZA
Intervista col diavolo
Cronaca di Alberto Vecchi
(QUARTA PARTE)

GLI STREGONI

Al sesto esorcismo, avvenuto il 6 giugno, l’esorcista chiese all’ossessa:
“Per quanto tempo sei stato confinato in questo corpo?”.
“Per tutta la vita”. Ed era sua intenzione di farla morire presto. Alludeva al mandante, un Don Rodrigo da strapazzo, un compagnone violentemente innamorato della signora, ancora ben noto ai sopravvissuti.
“In che giorno e in che mese avrebbe dovuto morire?”.
“Qui di novembre”.
“All’ottavo esorcismo, avvenuto l’11 giugno, fu chiesto:
“Esistono veramente gli stregoni?”.
“Sì”.
“Che cosa fanno?”.
“Sono persone capaci di far del male agli altri”.
“Traggono potere dal demonio?”.
“Sì”.
“Hanno comunicazione diretta col demonio?”.
“Sì”.
“Che cosa è necessario per essere stregoni?”.
Con molta importanza, lo spirito, facendo cadere le parole dall’alto, rispose:”Tanti libri, tante bacchette, tante cose …”.
“A che cosa servono?”.
“Sono tutti comando”.
“Uno stregone può essere buono p è sempre cattivo?”.
“Anche buono”.
“Buono in che senso?”.
“Buono a vista di tutti; ma, interiormente, no”. Terribile risposta!
“Gli stregoni hanno venduto l’anima al demonio?”.
“Quasi”.
“Quanti stregoni ci sono nel piacentino?”.
“Sette”.
“Dove si trovano”.
“Non lo posso sapere”.
“Dimmelo”.
“Non posso”.
“Mi hai pur detto i nomi dei primi tre”. Si trattava dei tre stregoni pagati dal don Rodrigo perché congiurassero contro la signora.
“Ho detto il nome di quelli che hanno fatto il male. Gli altri stanno a casa sua (sic)”. E non ne uscì di più.
Questi colloqui narrati così alla svelta debbono in realtà essere immaginati come continuamente spezzati in luoghi, spossanti alterchi, in continui tentativi di tergiversazione e di inganno nelle risposte dello spirito, in frequenti scongiuri dell’esorcista, il che trascinava il colloquio per ore e ore.
“Quanti ossessi ci sono oggi nel piacentino?”, chiese poi l’esorcista.
“Più di trenta”.
“Come spiegano i medici queste ossessioni?”.
“Niente in tutto”.
“Dì la verità”.
“Non capiscono niente con la loro scienza. Le spiegano come forme di pazzia”.
“Nei manicomi ce ne sono molti di ossessi?”.
“Tanti”.
“E nel ,manicomio di Piacenza?”.
“Ce ne sono due”.
“Dove?”.
“Nel reparto donne”.
“Come si chiamano”.
“Non te lo posso dire”.
“Ti impongo di dirmelo”.
“ Non insistere, perché non posso. Ti darei dei nomi che non esistono”.
Dopo una lunga serie di botte e risposte, i P. Pier Paolo dovette desistere anche su questo punto. Ma gli premeva sapere un’altra cosa.
“Che cosa deve fare questo corpo per non essere più invaso?”.
“Deve darsi a quell’uomo”.
“Taci, spirito immondo, e rispondi solo alla mia domanda”.
“Deve abbracciare quell’uomo”.
Il suicidio respinto innamorato poteva contento di tanto alleato.

ESLENDER

Gli esorcismi si susseguivano inesorabilmente. Lo spirito era pur sempre altezzoso, ma non così sicuro di sé come le prime volte. Nei momenti più critici l’esorcista ricorreva all’invocazione del Trisagio e brandiva la teca del santo legno della croce. Alla vista della Croce, l’ossessa indietreggiava, inorridita, e volgeva il capo indietro, emettendo un ruggito sordo e selvaggio, mentre sul volto le si dipingeva un ghigno spaventoso. Gli occhi avevano un lampeggiare sinistro. Ed essa, improvvisamente, si volgeva e cercava, ma inutilmente, di lanciarsi contro il legno con rabbia, con odio, con desiderio violento di abbatterla e di distruggerla. Ma il desiderio d’odio dello spirito cozzava sempre come contro delle barriere insuperabili.
“Che dobbiamo fare per farti uscire più presto?” aveva chiesto P. Pier Paolo alla fine dell’ottavo esorcismo.
Nel silenzio profondo della sala, lo spirito, con calma, con solennità, aveva risposto: “Pregare”.
E infatti con la preghiera erano state combattute le forme del male. Pare che alcuni compagni dello spirito – forze, come egli le chiamava – fossero già stati costretti ad andarsene. Tra questi, molto potente, Eslender. (I nomi dei demoni erano stati attribuiti loro dagli stregoni).
Al nono esorcismo il Padre chiese : “Dov’è andato Eslender?”.
“Nel corpo di Gilda” rispose. (Si trattava della sorella dell’ossessa).
“Perché?”.
“Perché non l’avevi destinato”.
“Tu menti: io l’avevo destinato”.
“Allora non sei stato capace: io sono più forte di te”
Affermò l’ossessa.
“Non è vero”.
“Ma io sono più svelto a pensare di te. Quando stavi per confidarlo, io l’avevo già mandato”.
“E’ andato solo o con dei compagni?”.
“Solo”.
“T’impongo di revocare l’ordine immediatamente”.
“Ma io” disse lo spirito scuotendo la testa e agitandosi tutto “io non ci penso più. Ora ci sta bene. Sta a lui uscire. Non sono mica io che debbo comandarlo”.
“In nome di Dio ti comando di far uscire Eslender immediatamente. E’ uscito?”.
“No”.
Il sacerdote afferrò la Croce, lo sollevò il alto contro l’ossessa e gridò: “Per questa Croce, per quel Dio che un giorno su questa Croce diede la vita, tutto se stesso, per strapparci dal tuo potere, fa uscire immediatamente Elender. E’ uscito?”.
Questa volta lo spirito ruggì a denti stretti: “Sì, è uscito, ma è ancora in casa”.
“Che fa in quella casa?”.
“Parla lingue straniere smania, urla. Hanno chiamato quel sacco di carbone di don Pallarini (l’arciprete di S, Giorgio Piacentino, parroco della Gilda)”.
“E l’arciprete che fa?”.
“Leggete l’ufficio”.
“Ma Eslender è ancora in casa?”.
“Don Pallaroni l’ha confinato in un cane, ma non ne è stato capace, perché non ha detto il nome del cane. Ha ben detto che benedirà quella casa, ma forse non sarà capace, perché non sa che cosa deve fare”.
Mentre Isabò insultava l’arciprete, da S. Giorgio, Eslender – come più tardi disse la madre dell’ossessa – insultava in frataccio di S. Maria di Campagna.
In effetti, nella casa di S. Giorgio Piacentino, accadevano le più strane cose. La Gilda frequentemente faceva dei gran discorsi in tedesco, lingua da lei mai conosciuta.
Poi la mania dei discorsi in tedesco si trasferiva improvvisamente nel fratello, e allora ricominciava lui. Di notte, impetuosi soffi improvvisamente spegnevano le lampade a petrolio. Le porte, le finestre si spalancavano e sbattevano. Il fratello non riusciva a dormire per il gran rumore di catene e di ferri vecchi che lo intontiva. Una volta invitò il capolega del paese, un giovanottone grande e grosso che rideva di queste storie, a dormire nella sua camera. Il capolega accettò. Anche quella notte vi fu una confusione maledetta.
Il fratello scappò al piano di sopra, e il capolega, forse perché non pratico della casa, non trovò di meglio che saltar giù dalla finestra nella strada. Inoltre, la sorella si mostrava più arrendevole a tentazioni lascive. Si vestiva in modo molto procace ed er tutta un atteggiamento di voluttà.
Osservata a distanza, la cosa poteva sembrare curiosa, ma quelli che si trovarono in mezzo probabilmente ci si divertivano un poco meno. Come quando l’esorcista si sentì dire da Isabò: “Tu hai paura di vedermi”.
“E chi non dovrebbe aver paura?” Rispose.
“Questa notte a mezzanotte ti comparirò vicino al letto”.
“Non voglio vedere la tua brutta faccia”.
“Allora mi mostrerò dall’altra parte” sghignazzò lo spirito col suo vocione baritonale, mentre gli astanti rabbrividivano.
Per tutta la sua vita, dall’ora in poi, il P. Pier Paolo dormì con la luce accesa in camera. Quella sghignazzata gli si era fermata nel sangue come qualcosa di freddamente metallico.

NONO ESORCISMO FECE VACILLARE SATANA

E’ interessante la costatazione, a chi si sia interessato di questi casi, di una personalità spiccatissima in ognuno di questi spiriti. Ognuno ha delle caratteristiche inconfondibilmente proprie. Nel nostro caso, Isabò si distingueva per l’orgoglio e la follia di negazione, mentre Eslender assomigliava al diavolo furbo della favola che consiglia mille pazzie e fa buttare giù dalla finestra acqua santa e libri da Messa: ciò che infatti faceva fare alla sorella dell’ossessa.
Durante il nono esorcismo, avvenuto il 14 giugno, il sacerdote chiese: “Dove sono i tuoi compagni?”.
“Non lo so” rispose lo spirito.
“In questa stanza ce ne sono?”.
“Sì”.
“Quanti?”.
“Due”.
“Ebbene, li caccio”.
“Ebbene, cacciali. Che importa a me di questo?”.
“Li caccio nel deserto. Hai capito?”.
“E cacciali nel deserto”.
Evidentemente, nutriva una discreta dose di indifferenza, se non addirittura di disprezzo per i suoi compagni.
Un’altra volta il Padre ripeté l’intimazione: “Vattene!”.
“Tu credi di potermi trattare come un cane” rispose lo spirito “ma ti sbagli: non sono mica Eslender”.
Era pieno di orgoglio incredibile. Spesso riusciva a imporre la superiorità sua di spirito:”Se hai paura, và a letto” sghignazzò una volta in faccia all’esorcista. Insisteva molto su questo tasto della paura, e naturalmente aveva buon gioco.
Durante il decimo esorcismo, Isabò esclamò trionfalmente:”Sai? Mi sono impossessato di N.N,”.
“Non ti credo: dammene un segno”.
“Io te lo do, ma non come intendi tu”.
“Dà un segno visibile a me e ai circostanti”.
“Niente circostanti: darò un segno solo a te”.
“Quale?”.
“Và all’inferno. Non voglio questo segno”.
Lo spirito rise ironicamente. “Allora che cosa vuoi?”.
“Dammi un segno”.
A quest’ultima imposizione, il corpo dell’ossessa si gonfiò lentamente, il suo viso si accese di un colore rosso cuoio, poi, con uno sforzo enorme, la bocca si aperse ed emise un suono forte, insistente, simile a quello di una sirena.
“E’ questo il segno?” chiese il sacerdote.
“Sì”.
“Che segno è?”.
“Il fischio di una sirena”.
“Non mi basta. Voglio un segno più manifesto”.
“Ti farò sentire una voce forte”.
“Che voce?”.
“Una voce”. E si mise a cantare con una voce stridula, che lacerava le orecchie.
“Lasciare stare; e dammi un segno più evidente”.
“Allora ti darò il segno che ti avevo promesso”.
“Quale?2.
“Ti comparirò di notte vicino al letto”.
“Taci!” urlò l’esorcista. E, dietro suggerimento del Padre Giustino, si rivolse alle donne e disse: “Impongo allo spirito di comparirmi qui. Avete coraggio?”.
“Sì”, risposero le donne. Allora si rivolse all’ossessa e ripigliò: “Tu vuoi comparirmi di notte; e io ti impongo di comparirmi qui, alla presenza di tutti. Avanti!”.
Nel fremito dell’attesa l’esorcista si era irrigidito sull’attenti, e teneva ben forte nel pugno il manico dell’aspersorio; con l’acqua santa avrebbe tracciato una insuperabile linea di difesa contro le eventuali velleità del demonio. Era un momento drammatico.
“Comparisci qui” ripetè il sacerdote nel silenzio altissimo della sala. “Comparisci qui” disse la terza opaca, rispose: “Non mi è concesso”. E un evidente fremito smascherò il suo orgoglio infranto.
Lo spirito era abilissimo nel girar gli ostacoli, ma talvolta doveva scontrarsi in imposizioni più forti della sua volontà. Come quando il Padre gli chiese: “Che si deve fare per evitare i malefizi?”. Esso si ribellò con forza a più riprese, ma poi fu costretto a rispondere: “Tenere sul petto una croce benedetta”. E si vedeva a chiari segni la profonda lotta che doveva sostenere per combattere una potenza superiore alla sua, e soprattutto nel soccombere a questa superiorità del Ministero di Dio.

IL DOTTORE NON E’ PRESENTE
In effetti gli esorcismi indebolivano sempre più la forza del demonio. Dal nono esorcismo in poi, talvolta pareva che lo spirito stentasse a trovare la parola per la risposta, e nello sforzo eccessivo sembrava un balbuziente, Allora, dalla bocca contratta, e anche dalle narici dilatate, uscivano come degli scoppi secchi, simili al rumore che fanno i sassi quando una ruota d’automobile li preme di sbieco e li fa saltare lontano. Ma cercava sempre di nascondere la sua debolezza con un tono di burbanza.
“Se vuoi che esca” ripeté al decimo esorcismo: “và a chiamare quel tuo compagno che non crede”.
“Non crede a che cosa? Alla tua esistenza?”.
“No, non crede che io sia in questo corpo”. E aveva ragione. Un confratello di P. Pier Paolo aveva espresso forti dubbi sulla realtà dell’ossessione.
“Fin qui non c’è nulla di male” rispose il Padre.
“Dov’è?”.
“In convento”.
“Dove?”.
“In camera”.
“In quale?”.
“Nella quarta”.
“Cominciando da quale parte del corridoio?”.
“Allora” esclamò sprezzante lo spirito con una alzata di spalla “sarebbe come dirti in nome”.
A questo punto, i presenti tutti udirono arrivare il dott. Lupi. Quella volta egli non era stato puntuale all’appuntamento, e, per quanto l’avessero atteso, avevano dovuto iniziare l’esorcismo senza di lui. Si distingueva benissimo il suo passo un poco trascinato, mentre egli saliva su per le ampie scale di legno, e i colpi del suo bastoncino battevano su su per ogni gradino.
Per un naturale atto di deferenza fu sospeso l’esorcismo. Si aspettò che entrasse il dottore. Arrivato alla doppia porta che separava la scala dalla scala, il dottore aprì la prima e afferrò la maniglia della seconda, e fece per entrare.
“Avanti, avanti, sig. Dottore!” invitarono i due frati.
Il dottore volgeva e rivolgeva la maniglia, apriva e chiudeva la porta, ma non si faceva vedere.
“Avanti, signor dottore!”. E il dottore sempre con il solito gioco. Volgeva e rivolgeva la maniglia, apriva e chiudeva la porta, ma non si decideva a entrare.
“Che voglia scherzare?” chiese uno.
Allora il P. Giustino si alzò dal banco, corse all’uscio, lo spalancò. “Non c’è nessuno” disse.
Tutti si alzarono in fretta e scesero le scale. Al pian terreno, la grossa porta di quercia, tutta ferrata, era chiusa a chiave come al solito. Non l’aprirono. Al di là della porta era fisso di guardia, durante gli esorcismi, Frate Antonio. Non si voleva che alcuno potesse entrare di nascosto nel convento e curiosasse. Frate Antonio, guardiano coscienzioso, era al suo posto.
“E’ venuto il dott. Lupi?” gli dissero “No”.
“L’hai visto?”.
“No”.
“E’ venuto qualcun altro?”.
“No”.
“Sei sempre stato al tuo posto?2.
“Naturalmente!”. Il fraticello era offeso da tutte quelle domande. “Perché?”. Ma nessuno ebbe il coraggio di rispondere. Erano stati beffati da qualche invisibile burlone. Eslender forse?
Risaliti in sala fu ripreso l’esorcismo. Era l’esorcismo del Sanctus. Lo spirito si agitava freneticamente, deformando in modo pauroso il volto dell’ossessa. Con quegli occhi grifagni, con quel ceffo sul quale si leggeva odio, ferocia, vendetta, diventò orribile.
Finito lo scongiuro, il sacerdote intimò di rigettare.
L’ossessa fu sul catino.
“Rigetta!”.
“Non posso!”.
“In nome di dio, in nome della Madonna …”.
“Lasciami stare!” si raccomandò con voce accorata lo spirito.
“No. Ti voglio tormentare come hai tormentato duramente sette anni questa creatura”.
“Lasciami stare. Non è colpa mia se l’ho tormentata. Mi hanno cacciato qui”.
“Per il sangue di Cristo, per la morte di Cristo, rigetta!”.
L’ossessa finalmente ubbidì.
“Che cosa abbiamo ottenuto?”.
“Hai fatto uscire una quantità di palla”. Si trattava del bolo malefiziato.
“E poi?”.
“Cosa vuoi?”.
“E quella bava)”.
“E la palla”.
“Quanta ancora ne resta?”.
“Più di un terzo2.
“Perché in questi giorni hai fatto soffrire questa creatura?”.
“Perché mi fai insegnare a te?”.
“Domando perché l’hai tormentata”.
“Io non ho nulla: soltanto il mio dovere”.
“Cioè’”.
“Come debbo fare?” scattò con impazienza. “Fermo non posso stare”.
“Ma la forza di cantare, di ballare, è ancora in te, sì o no?”.
“No”.
“E allora non può essere tuo merito il farla cantare, ballare e smaniare durante i giorni che separano un esorcismo dall’altro”.
“Lo so non c’è questa forza in te?”.
“No”.
“Come ti chiami?”.
“Isabò”.
“Chi ti ha imposto questo nome?”.
“Il mio principale”.
“E chi è il tuo principale?”.
“N.N. (il primo dei tre stregoni altra volta nominati)”.
“Prima come ti chiamavi?”.
“Non avevo nome”.
“Chi eri?”.
“Come mi mettevano” suonò la stana risposta.
“Non eri uno spirito beato?”.
“Un male”.
“Che cosa soffri?”.
Ma lo spirito non rispose più nulla. Pareva spossato.
O forse non voleva patire questa estrema umiliazione. Data l’ora tarda il Padre credette bene di chiudere l’esorcismo. Infatti lo spirito sembrava essersi chiuso in un mutismo cocciuto. “A te, immondo spirito, comando per i giorni seguenti, di … (una sghignazzata lo interruppe, ed era cosa mirabile la pronta varietà di atteggiamenti che l’ossessa assumeva) … star fermo, di non …”.
“Di non mostrarmi a te” (e rideva).
“Di non …”.
“Di non far male” (e rideva, e cantava).
“Ma cos’è questo?” chiese infastidito il sacerdote.
“Tu hai sempre una gran paura di vedermi. Eppure bisogna che mi decida a comparirti di notte in fondo al letto”.
“No” In nome di dio, in nome della santa Chiesa dimmi la verità”.
A queste parole l’ossessa spalancò gli occhi e si irrigidì quasi sull’attenti.
“Farai male?”.
“No”.
“Farai paura?”.
“Un poco”.
“A chi?”.
Lo spirito rispose con parole dolci: “A te”.
“Dove?”.
“Dove mi trovo”.
“I nome di Dio, della Madonna …”.
“No, no”.
“Farai male?”.
“Ma sta sicuro”.
“Davvero?”.
Stanco e irritato, lo spirito urlò: “Nooo!”.
E così si concluse il decimo esorcismo.

Dal libro: E’ lui a far paura al demonio

(Continua … 5 Parte)