L’OSSESSA
DI PIACENZA
Intervista col diavolo
Cronaca di Alberto Vecchi
(QUARTA PARTE)
GLI
STREGONI
Al sesto esorcismo, avvenuto
il 6 giugno, l’esorcista chiese all’ossessa:
“Per quanto tempo sei stato confinato in questo corpo?”.
“Per tutta la vita”. Ed era
sua intenzione di farla morire presto. Alludeva al mandante, un Don Rodrigo da
strapazzo, un compagnone violentemente innamorato della signora, ancora ben
noto ai sopravvissuti.
“In che giorno e in che mese avrebbe dovuto morire?”.
“Qui di novembre”.
“All’ottavo esorcismo, avvenuto l’11 giugno, fu chiesto:
“Esistono veramente gli stregoni?”.
“Sì”.
“Che cosa fanno?”.
“Sono persone capaci di far del male agli altri”.
“Traggono potere dal demonio?”.
“Sì”.
“Hanno comunicazione diretta col demonio?”.
“Sì”.
“Che cosa è necessario per essere stregoni?”.
Con molta importanza, lo
spirito, facendo cadere le parole dall’alto, rispose:”Tanti libri, tante
bacchette, tante cose …”.
“A che cosa servono?”.
“Sono tutti comando”.
“Uno stregone può essere buono p è sempre cattivo?”.
“Anche buono”.
“Buono in che senso?”.
“Buono a vista di tutti; ma, interiormente, no”.
Terribile risposta!
“Gli stregoni hanno venduto l’anima al demonio?”.
“Quasi”.
“Quanti stregoni ci sono nel piacentino?”.
“Sette”.
“Dove si trovano”.
“Non lo posso sapere”.
“Dimmelo”.
“Non posso”.
“Mi hai pur detto i nomi dei
primi tre”. Si trattava dei tre stregoni pagati dal don Rodrigo perché
congiurassero contro la signora.
“Ho detto il nome di quelli
che hanno fatto il male. Gli altri stanno a casa sua (sic)”. E non ne uscì di
più.
Questi colloqui narrati così
alla svelta debbono in realtà essere immaginati come continuamente spezzati in
luoghi, spossanti alterchi, in continui tentativi di tergiversazione e di
inganno nelle risposte dello spirito, in frequenti scongiuri dell’esorcista, il
che trascinava il colloquio per ore e ore.
“Quanti ossessi ci sono oggi nel piacentino?”, chiese poi
l’esorcista.
“Più di trenta”.
“Come spiegano i medici queste ossessioni?”.
“Niente in tutto”.
“Dì la verità”.
“Non capiscono niente con la loro scienza. Le spiegano
come forme di pazzia”.
“Nei manicomi ce ne sono molti di ossessi?”.
“Tanti”.
“E nel ,manicomio di Piacenza?”.
“Ce ne sono due”.
“Dove?”.
“Nel reparto donne”.
“Come si chiamano”.
“Non te lo posso dire”.
“Ti impongo di dirmelo”.
“ Non insistere, perché non posso. Ti darei dei nomi che
non esistono”.
Dopo una lunga serie di
botte e risposte, i P. Pier Paolo dovette desistere anche su questo punto. Ma
gli premeva sapere un’altra cosa.
“Che cosa deve fare questo corpo per non essere più
invaso?”.
“Deve darsi a quell’uomo”.
“Taci, spirito immondo, e rispondi solo alla mia
domanda”.
“Deve abbracciare quell’uomo”.
Il suicidio respinto innamorato poteva contento di tanto
alleato.
ESLENDER
Gli esorcismi si susseguivano
inesorabilmente. Lo spirito era pur sempre altezzoso, ma non così sicuro di sé
come le prime volte. Nei momenti più critici l’esorcista ricorreva
all’invocazione del Trisagio e brandiva la teca del santo legno della croce.
Alla vista della Croce, l’ossessa indietreggiava, inorridita, e volgeva il capo
indietro, emettendo un ruggito sordo e selvaggio, mentre sul volto le si
dipingeva un ghigno spaventoso. Gli occhi avevano un lampeggiare sinistro. Ed
essa, improvvisamente, si volgeva e cercava, ma inutilmente, di lanciarsi
contro il legno con rabbia, con odio, con desiderio violento di abbatterla e di
distruggerla. Ma il desiderio d’odio dello spirito cozzava sempre come contro
delle barriere insuperabili.
“Che dobbiamo fare per farti
uscire più presto?” aveva chiesto P. Pier Paolo alla fine dell’ottavo
esorcismo.
Nel silenzio profondo della sala, lo spirito, con calma,
con solennità, aveva risposto: “Pregare”.
E infatti con la preghiera
erano state combattute le forme del male. Pare che alcuni compagni dello
spirito – forze, come egli le chiamava – fossero già stati costretti ad
andarsene. Tra questi, molto potente, Eslender. (I nomi dei demoni erano stati
attribuiti loro dagli stregoni).
Al nono esorcismo il Padre chiese : “Dov’è andato
Eslender?”.
“Nel corpo di Gilda” rispose. (Si trattava della sorella
dell’ossessa).
“Perché?”.
“Perché non l’avevi destinato”.
“Tu menti: io l’avevo destinato”.
“Allora non sei stato capace: io sono più forte di te”
Affermò l’ossessa.
“Non è vero”.
“Ma io sono più svelto a pensare
di te. Quando stavi per confidarlo, io l’avevo già mandato”.
“E’ andato solo o con dei compagni?”.
“Solo”.
“T’impongo di revocare l’ordine immediatamente”.
“Ma io” disse lo spirito
scuotendo la testa e agitandosi tutto “io non ci penso più. Ora ci sta bene.
Sta a lui uscire. Non sono mica io che debbo comandarlo”.
“In nome di Dio ti comando di far uscire Eslender
immediatamente. E’ uscito?”.
“No”.
Il sacerdote afferrò la
Croce, lo sollevò il alto contro l’ossessa e gridò: “Per questa Croce, per quel
Dio che un giorno su questa Croce diede la vita, tutto se stesso, per
strapparci dal tuo potere, fa uscire immediatamente Elender. E’ uscito?”.
Questa volta lo spirito ruggì a denti stretti: “Sì, è
uscito, ma è ancora in casa”.
“Che fa in quella casa?”.
“Parla lingue straniere
smania, urla. Hanno chiamato quel sacco di carbone di don Pallarini
(l’arciprete di S, Giorgio Piacentino, parroco della Gilda)”.
“E l’arciprete che fa?”.
“Leggete l’ufficio”.
“Ma Eslender è ancora in casa?”.
“Don Pallaroni l’ha
confinato in un cane, ma non ne è stato capace, perché non ha detto il nome del
cane. Ha ben detto che benedirà quella casa, ma forse non sarà capace, perché
non sa che cosa deve fare”.
Mentre Isabò insultava
l’arciprete, da S. Giorgio, Eslender – come più tardi disse la madre
dell’ossessa – insultava in frataccio di S. Maria di Campagna.
In effetti, nella casa di S.
Giorgio Piacentino, accadevano le più strane cose. La Gilda frequentemente
faceva dei gran discorsi in tedesco, lingua da lei mai conosciuta.
Poi la mania dei discorsi in
tedesco si trasferiva improvvisamente nel fratello, e allora ricominciava lui.
Di notte, impetuosi soffi improvvisamente spegnevano le lampade a petrolio. Le
porte, le finestre si spalancavano e sbattevano. Il fratello non riusciva a
dormire per il gran rumore di catene e di ferri vecchi che lo intontiva. Una
volta invitò il capolega del paese, un giovanottone grande e grosso che rideva
di queste storie, a dormire nella sua camera. Il capolega accettò. Anche quella
notte vi fu una confusione maledetta.
Il fratello scappò al piano
di sopra, e il capolega, forse perché non pratico della casa, non trovò di
meglio che saltar giù dalla finestra nella strada. Inoltre, la sorella si
mostrava più arrendevole a tentazioni lascive. Si vestiva in modo molto procace
ed er tutta un atteggiamento di voluttà.
Osservata a distanza, la
cosa poteva sembrare curiosa, ma quelli che si trovarono in mezzo probabilmente
ci si divertivano un poco meno. Come quando l’esorcista si sentì dire da Isabò:
“Tu hai paura di vedermi”.
“E chi non dovrebbe aver paura?” Rispose.
“Questa notte a mezzanotte ti comparirò vicino al letto”.
“Non voglio vedere la tua brutta faccia”.
“Allora mi mostrerò
dall’altra parte” sghignazzò lo spirito col suo vocione baritonale, mentre gli
astanti rabbrividivano.
Per tutta la sua vita,
dall’ora in poi, il P. Pier Paolo dormì con la luce accesa in camera. Quella
sghignazzata gli si era fermata nel sangue come qualcosa di freddamente
metallico.
NONO
ESORCISMO FECE VACILLARE SATANA
E’ interessante la
costatazione, a chi si sia interessato di questi casi, di una personalità
spiccatissima in ognuno di questi spiriti. Ognuno ha delle caratteristiche
inconfondibilmente proprie. Nel nostro caso, Isabò si distingueva per
l’orgoglio e la follia di negazione, mentre Eslender assomigliava al diavolo
furbo della favola che consiglia mille pazzie e fa buttare giù dalla finestra
acqua santa e libri da Messa: ciò che infatti faceva fare alla sorella
dell’ossessa.
Durante il nono esorcismo,
avvenuto il 14 giugno, il sacerdote chiese: “Dove sono i tuoi compagni?”.
“Non lo so” rispose lo spirito.
“In questa stanza ce ne sono?”.
“Sì”.
“Quanti?”.
“Due”.
“Ebbene, li caccio”.
“Ebbene, cacciali. Che importa a me di questo?”.
“Li caccio nel deserto. Hai capito?”.
“E cacciali nel deserto”.
Evidentemente, nutriva una
discreta dose di indifferenza, se non addirittura di disprezzo per i suoi
compagni.
Un’altra volta il Padre ripeté l’intimazione: “Vattene!”.
“Tu credi di potermi
trattare come un cane” rispose lo spirito “ma ti sbagli: non sono mica
Eslender”.
Era pieno di orgoglio
incredibile. Spesso riusciva a imporre la superiorità sua di spirito:”Se hai
paura, và a letto” sghignazzò una volta in faccia all’esorcista. Insisteva
molto su questo tasto della paura, e naturalmente aveva buon gioco.
Durante il decimo esorcismo,
Isabò esclamò trionfalmente:”Sai? Mi sono impossessato di N.N,”.
“Non ti credo: dammene un segno”.
“Io te lo do, ma non come intendi tu”.
“Dà un segno visibile a me e ai circostanti”.
“Niente circostanti: darò un segno solo a te”.
“Quale?”.
“Và all’inferno. Non voglio questo segno”.
Lo spirito rise ironicamente. “Allora che cosa vuoi?”.
“Dammi un segno”.
A quest’ultima imposizione,
il corpo dell’ossessa si gonfiò lentamente, il suo viso si accese di un colore
rosso cuoio, poi, con uno sforzo enorme, la bocca si aperse ed emise un suono
forte, insistente, simile a quello di una sirena.
“E’ questo il segno?” chiese il sacerdote.
“Sì”.
“Che segno è?”.
“Il fischio di una sirena”.
“Non mi basta. Voglio un segno più manifesto”.
“Ti farò sentire una voce forte”.
“Che voce?”.
“Una voce”. E si mise a
cantare con una voce stridula, che lacerava le orecchie.
“Lasciare stare; e dammi un segno più evidente”.
“Allora ti darò il segno che ti avevo promesso”.
“Quale?2.
“Ti comparirò di notte vicino al letto”.
“Taci!” urlò l’esorcista. E,
dietro suggerimento del Padre Giustino, si rivolse alle donne e disse: “Impongo
allo spirito di comparirmi qui. Avete coraggio?”.
“Sì”, risposero le donne.
Allora si rivolse all’ossessa e ripigliò: “Tu vuoi comparirmi di notte; e io ti
impongo di comparirmi qui, alla presenza di tutti. Avanti!”.
Nel fremito dell’attesa
l’esorcista si era irrigidito sull’attenti, e teneva ben forte nel pugno il
manico dell’aspersorio; con l’acqua santa avrebbe tracciato una insuperabile
linea di difesa contro le eventuali velleità del demonio. Era un momento
drammatico.
“Comparisci qui” ripetè il
sacerdote nel silenzio altissimo della sala. “Comparisci qui” disse la terza
opaca, rispose: “Non mi è concesso”. E un evidente fremito smascherò il suo
orgoglio infranto.
Lo spirito era abilissimo
nel girar gli ostacoli, ma talvolta doveva scontrarsi in imposizioni più forti
della sua volontà. Come quando il Padre gli chiese: “Che si deve fare per
evitare i malefizi?”. Esso si ribellò con forza a più riprese, ma poi fu
costretto a rispondere: “Tenere sul petto una croce benedetta”. E si vedeva a
chiari segni la profonda lotta che doveva sostenere per combattere una potenza
superiore alla sua, e soprattutto nel soccombere a questa superiorità del
Ministero di Dio.
IL DOTTORE NON E’ PRESENTE
In effetti gli esorcismi
indebolivano sempre più la forza del demonio. Dal nono esorcismo in poi,
talvolta pareva che lo spirito stentasse a trovare la parola per la risposta, e
nello sforzo eccessivo sembrava un balbuziente, Allora, dalla bocca contratta,
e anche dalle narici dilatate, uscivano come degli scoppi secchi, simili al
rumore che fanno i sassi quando una ruota d’automobile li preme di sbieco e li
fa saltare lontano. Ma cercava sempre di nascondere la sua debolezza con un tono
di burbanza.
“Se vuoi che esca” ripeté al
decimo esorcismo: “và a chiamare quel tuo compagno che non crede”.
“Non crede a che cosa? Alla
tua esistenza?”.
“No, non crede che io sia in
questo corpo”. E aveva ragione. Un confratello di P. Pier Paolo aveva espresso
forti dubbi sulla realtà dell’ossessione.
“Fin qui non c’è nulla di
male” rispose il Padre.
“Dov’è?”.
“In convento”.
“Dove?”.
“In camera”.
“In quale?”.
“Nella quarta”.
“Cominciando da quale parte
del corridoio?”.
“Allora” esclamò sprezzante
lo spirito con una alzata di spalla “sarebbe come dirti in nome”.
A questo punto, i presenti
tutti udirono arrivare il dott. Lupi. Quella volta egli non era stato puntuale
all’appuntamento, e, per quanto l’avessero atteso, avevano dovuto iniziare
l’esorcismo senza di lui. Si distingueva benissimo il suo passo un poco
trascinato, mentre egli saliva su per le ampie scale di legno, e i colpi del
suo bastoncino battevano su su per ogni gradino.
Per un naturale atto di
deferenza fu sospeso l’esorcismo. Si aspettò che entrasse il dottore. Arrivato
alla doppia porta che separava la scala dalla scala, il dottore aprì la prima e
afferrò la maniglia della seconda, e fece per entrare.
“Avanti, avanti, sig.
Dottore!” invitarono i due frati.
Il dottore volgeva e
rivolgeva la maniglia, apriva e chiudeva la porta, ma non si faceva vedere.
“Avanti, signor dottore!”. E
il dottore sempre con il solito gioco. Volgeva e rivolgeva la maniglia, apriva
e chiudeva la porta, ma non si decideva a entrare.
“Che voglia scherzare?”
chiese uno.
Allora il P. Giustino si
alzò dal banco, corse all’uscio, lo spalancò. “Non c’è nessuno” disse.
Tutti si alzarono in fretta
e scesero le scale. Al pian terreno, la grossa porta di quercia, tutta ferrata,
era chiusa a chiave come al solito. Non l’aprirono. Al di là della porta era
fisso di guardia, durante gli esorcismi, Frate Antonio. Non si voleva che
alcuno potesse entrare di nascosto nel convento e curiosasse. Frate Antonio,
guardiano coscienzioso, era al suo posto.
“E’ venuto il dott. Lupi?”
gli dissero “No”.
“L’hai visto?”.
“No”.
“E’ venuto qualcun altro?”.
“No”.
“Sei sempre stato al tuo
posto?2.
“Naturalmente!”. Il
fraticello era offeso da tutte quelle domande. “Perché?”. Ma nessuno ebbe il
coraggio di rispondere. Erano stati beffati da qualche invisibile burlone.
Eslender forse?
Risaliti in sala fu ripreso
l’esorcismo. Era l’esorcismo del Sanctus. Lo spirito si agitava freneticamente,
deformando in modo pauroso il volto dell’ossessa. Con quegli occhi grifagni,
con quel ceffo sul quale si leggeva odio, ferocia, vendetta, diventò orribile.
Finito lo scongiuro, il
sacerdote intimò di rigettare.
L’ossessa fu sul catino.
“Rigetta!”.
“Non posso!”.
“In nome di dio, in nome
della Madonna …”.
“Lasciami stare!” si
raccomandò con voce accorata lo spirito.
“No. Ti voglio tormentare
come hai tormentato duramente sette anni questa creatura”.
“Lasciami stare. Non è colpa
mia se l’ho tormentata. Mi hanno cacciato qui”.
“Per il sangue di Cristo,
per la morte di Cristo, rigetta!”.
L’ossessa finalmente ubbidì.
“Che cosa abbiamo
ottenuto?”.
“Hai fatto uscire una
quantità di palla”. Si trattava del bolo malefiziato.
“E poi?”.
“Cosa vuoi?”.
“E quella bava)”.
“E la palla”.
“Quanta ancora ne resta?”.
“Più di un terzo2.
“Perché in questi giorni hai
fatto soffrire questa creatura?”.
“Perché mi fai insegnare a
te?”.
“Domando perché l’hai
tormentata”.
“Io non ho nulla: soltanto
il mio dovere”.
“Cioè’”.
“Come debbo fare?” scattò
con impazienza. “Fermo non posso stare”.
“Ma la forza di cantare, di
ballare, è ancora in te, sì o no?”.
“No”.
“E allora non può essere tuo
merito il farla cantare, ballare e smaniare durante i giorni che separano un
esorcismo dall’altro”.
“Lo so non c’è questa forza
in te?”.
“No”.
“Come ti chiami?”.
“Isabò”.
“Chi ti ha imposto questo
nome?”.
“Il mio principale”.
“E chi è il tuo
principale?”.
“N.N. (il primo dei tre
stregoni altra volta nominati)”.
“Prima come ti chiamavi?”.
“Non avevo nome”.
“Chi eri?”.
“Come mi mettevano” suonò la
stana risposta.
“Non eri uno spirito
beato?”.
“Un male”.
“Che cosa soffri?”.
Ma lo spirito non rispose
più nulla. Pareva spossato.
O forse non voleva patire
questa estrema umiliazione. Data l’ora tarda il Padre credette bene di chiudere
l’esorcismo. Infatti lo spirito sembrava essersi chiuso in un mutismo cocciuto.
“A te, immondo spirito, comando per i giorni seguenti, di … (una sghignazzata
lo interruppe, ed era cosa mirabile la pronta varietà di atteggiamenti che
l’ossessa assumeva) … star fermo, di non …”.
“Di non mostrarmi a te” (e
rideva).
“Di non …”.
“Di non far male” (e rideva,
e cantava).
“Ma cos’è questo?” chiese
infastidito il sacerdote.
“Tu hai sempre una gran
paura di vedermi. Eppure bisogna che mi decida a comparirti di notte in fondo
al letto”.
“No” In nome di dio, in nome
della santa Chiesa dimmi la verità”.
A queste parole l’ossessa
spalancò gli occhi e si irrigidì quasi sull’attenti.
“Farai male?”.
“No”.
“Farai paura?”.
“Un poco”.
“A chi?”.
Lo spirito rispose con
parole dolci: “A te”.
“Dove?”.
“Dove mi trovo”.
“I nome di Dio, della
Madonna …”.
“No, no”.
“Farai male?”.
“Ma sta sicuro”.
“Davvero?”.
Stanco e irritato, lo
spirito urlò: “Nooo!”.
E così si concluse il decimo
esorcismo.
Dal libro: E’ lui a far
paura al demonio
(Continua … 5 Parte)