venerdì 16 novembre 2018

L’ESORCISMO DI ANGELA


L’ESORCISMO DI ANGELA

Dal libro In viaggio con l’esorcista

Questo resoconto è utile a voi lettori per iniziare a percorrere insieme a noi questo viaggio.
Erano circa le ore 21:15 di un mercoledì. Pasquale aveva appena finito di cenare. Una sera come tante. All’improvviso squillò il telefonino. Vide il nome e rispose.
"Pronto, come va?”.
"Benissimo”, rispose la voce dall’altra parte, che continuò:”Tieniti libero per domani pomeriggio verso le ore 16:00 passerò a prenderti”.
“Per fare cosa? Domani sarò al lavoro”.
“Avevi dubbi? Manifestavi perplessità? Prendi un paio d’ore di permesso, ci vediamo domani!.
Pasquale non disse nulla in casa. Un po’ felice, un po’ intimorito, continuò a guardare la partita alla tv. Sapeva benissimo di cosa si trattava, conosceva benissimo il perché della telefonata fattagli da don Gianni. Tuttavia andò a dormire tranquillo. Dopotutto, pensava, sarebbe potuta essere un’opportunità interessante.
Puntuale come sempre, il giorno seguente don Gianni venne a prenderlo, come promesso. Si diressero verso un paesino distante parecchi chilometri. Parlarono un bel po’: il sacerdote cercò di spiegargli come il tutto avveniva, come si doveva comportare, cosa non avrebbe dovuto fare.
Durante il viaggio iniziarono i primi problemi. Sul tragitto un cavallo maestoso e dal pelo liscio stava immobile nel centro della corsia. La strada con curve a gomito rendeva impossibile passare oltre, occorreva attendere per lungo tempo, visto che il cavallo pareva non avesse alcuna voglia di scansarsi. All’improvviso, l’animale si voltò verso l’auto.
Pasquale prese il taccuino sul quale annotava le sue richieste scrisse:
“Sono le 16:45 del 24 settembre. Danti a noi un gran cavallo ci ostruisce il passo e ci fissa. Non ho mai visto uno sguardo simile in vita mia, né da parte di un uomo né di una bastia. E’ un qualcosa di agghiacciante, ho paura”.
Don Gianni sapeva che spesso il tragitto presentava delle insidie. Incidenti, ruote bucate, alberi caduti sulla strada. Pareva non essere per nulla intimorito.
Sono gli scherzi di Mastro Buffetto – disse - , nulla di preoccupante. Scese dall’auto, alzò la mano con la quale teneva una croce e l’animale sparì.
Pasquale  rimase di stucco, sospeso tra lo scetticismo e la ragione sulla quale da sempre fondava le sue ricerche e le sue analisi critiche. Preferì non riportare nient’altro sul suo diario. Si limitò semplicemente a domandare, una volta che il sacerdote ritornò semplicemente a domandare, una volta che il sacerdote ritornò al volante, chi fosse Mastro Buffetto. “E’ un essere a cui piace scherzare, sin dalla notte dei tempi. Ma tu non sei un credulone, giusto?” “Giustissimo”, replicò Pasquale con un sorriso che mascherava incertezze. Da lì fino a destinazione, nessun altro intoppo.
Don Gianni iniziò a entrare nel merito del caso: “La signora che andremo a incontrare ha circa sessant’anni. La seguo da almeno sei, ma prima di me altri colleghi l’hanno incontrata. Eppure continua a essere un caso disperato. Le analisi cliniche e psichiatriche non evidenziano nessun tipo di problema, né neurologico né di altro tipo. Durante l’anno conduce una vita normale, nel limite del possibile, chiaramente. Succede che Mastro Buffetto le dia tregua e la lasci lavorare, perfino andare in Chiesa, ma poi la costringe a letto, in carrozzina o la trasforma in qualcosa di terribile. Tu dovrai stare attento: non rispondere mai. Ti limiterai a pregare insieme agli altri, i parenti, che la terranno ferma. Cercherà di provocarti in tutti i modi poiché è capace di sentire le altrui debolezze. Ti dirà qualcosa di te, del tuo passato, del tuo presente e anche del tuo futuro. Lo farà solo per spaventarti e per distrarti dalla preghiera. Dirà bugie, verità, poi ancora bugie. Tu non dare peso né alle une né alle altre, concentrati sul compito che ti ho assegnato. Pasquale annuì.
Arrivarono al paese. Un paese molto carino e caratteristico. Una leggera brezza di primo autunno suggeriva di indossare la giacca. Il caldo sole dell’estate era ormai diventato sempre più tiepido e le giornate più corte. I due parcheggiarono l’auto di fronte a una chiesetta. Non era la chiesa principale del paese e per questo garantiva maggior riservatezza e dava la possibilità di esercitare il rito lontano da occhi indiscreti. Arrivarono due auto, parcheggiarono nel piazzale e ne uscirono due uomini di mezza età che tenevano una donna, poi un giovane e quattro signore. Si diressero verso la sagrestia. Tutto molto normale, almeno in apparenza.
Una volta che le persone furono entrate in chiesa, don Gianni fece cenno a Pasquale di seguirlo. Scesero dall’auto, il sacerdote prese la sua valigetta, la stola di color viola e fece al giovane il segno della croce sulla fronte, recitando una formula di assoluzione dai peccati.
Pasquale prese il suo taccuino e seguì il prete. Varcato il portone d’ingresso, la chiesa si presentava illuminata solo dalle candele e dai ceri su entrambi i lati dell’altare, dietro il quale una porta dava alla sagrestia. Da qui in poi saranno gli appunti di Pasquale a darci, senza censure e senza tagli, come nel suo stile, la testimonianza di quel che vide.
Avanzavo lentamente, come se il peso della paura fosse sulle mie spalle che tenevo curve, come per proteggermi. Ma da cosa? Mi domandavo. Era suggestione, timore dell’ignoto o forse avevo preso tutto sottogamba, guidato da pregiudizio e dall’impossibilità a credere che esista veramente una lotta tra il bene e il male? Il profumo di incenso, fiori e candele lasciava via via il passo putrefatta e porcile. L’aria ne era densa. Difficile da descrivere, difficile da comprendere con raziocinio come una cosa simile fosse possibile in luoghi solitamente tenui ordinati e puliti, curati nell’igiene e nell’ornamento come le chiese.
Arrivammo all’ingresso della sagrestia. La porta era socchiusa e non intravvedevo nulla. Udivo solo delle urla strazianti, e sentivo nell’aria un odio inumano. Tra le grida, riuscii a un certo momento a intendere qualche bestemmia contro il sacerdote. “ via! Stai fuori! Cosa vuoi da me, prete? Allontanati, tu con quel … di crocifisso maledetto che porti”. Don Gianni mi toccò la spalla, come si fa per infondere coraggio. Aprì la porta ed entrammo.
La donna era seduta, trattenuta con forza da due persone che le stavano accanto. Aveva gli arti legati alla sedia. Ai lati della sala le altre persone pregavano e lì mi sedetti, nell’unica sedia libera che aspettava me.         Don Gianni si mise al centro della stanza vicino alla donna. Se dovessi descrivervi il dolore, la rabbia e la cattiveria che quella creatura esprimeva dovrei sforzarmi oltremodo di cercare allegorie e metafore che possono rendere l’idea. Era un qualcosa di indescrivibile che nemmeno la fiorente cinematografia horror potrebbe riprodurre.
Sebbene avessi visto immagini simili in vari film. Eppure poco prima, mi dicevo, avevo visto la signora entrare, apparentemente normale. Mai mi sarei aspettato una tale metamorfosi. Lo sguardo assente, le pupille bianche; attimi dopo socchiudeva gli occhi e guardava con aria di sfida. Gli zigomi tirati, le vene del collo ingrossate, come anche il gozzo, come avesse una pallina da tennis nella gola. I piedi girati verso l’interno e il petto che si muoveva disunito e in modo disarmonico rispetto al resto del corpo, avanti e indietro.
Do Gianni pareva non curarsi di tutto ciò. Agiva con la tranquillità dell’abitudine, tanto da potersi permettere qualche battuta, mostrando l’autorità di cui era investito. Iniziò la battaglia, una lotta spirituale tra Bene e Male personificati; non più concetti astratti, ma reali presenze. La posta in gioco? La liberazione della donna.
“Guardami, prete, sono come mi desideri?”.
“Lo diventerai presto”.
La donna esplode in una risata: Sei morto dalla cintola in giù. Lo sai che di te non importa niente a nessuno? Chi credi che ti aiuti, Lui? Non sai che è distratto in mille altre cose?.
Lui, lo chiami? Fai fatica a dirne il nome, vero?.
Taci, maledetto! Non sai nulla, tu!
Pronuncerò io il suo nome, allora. Sono qui in nome del Salvatore Gesù Cristo che già ti ha vinto nel deserto e con il suo sacrificio ha redento l’umanità tutta, compresa la creatura che ora possidei. La sua anima è di Dio e a lui la devi rendere.
A quel punto le urla toccarono l’apice. La donna iniziò a dimenarsi con maggior violenza: stai zitto! Zitto! Non non nominarmelo! Odio! Odio! Odio!
Sei in grado di ricordare il nome di colei che possiedi?.
Certamente: Angela!.
Questo riesci a dirlo, bravo. Ora dimmi il tuo! Te lo ordino nel nome del Signore.
Mai! Mai e poi mai.
Quanti siete? Ti ordino di dirmi quanti siete.
Tanti! Tanti quanto la paura di quello str… che hai portato con te.
Si rivolgeva a me. Don Gianni senza nemmeno voltarsi mi fece cenno di stare zitto e non distrarmi. Continuai a pregare come il resto del gruppo col quale mi trovavo.
Lei insistette e, anzi, rincarò la dose con una risata malefica: “Ahahah, cosa farfugli, cosa balbetti! Non ci credi nemmeno tu! Non hai fede, non hai fede, non hai fede”, ripeteva beffarda, quasi canticchiando. “Chi vuoi che ti ascolti, cosa vuoi scrivere, imbecille di un ateo?”.
Don Gianni si voltò, ordinandomi di continuare a pregare. Quelle parole, rivoltemi con quel tono, iniziarono tormentarmi la mente. Non riuscivo più a concentrarmi su nulla, come se quella presenza malvagia capisse le mie intenzioni, le mie debolezze e mi spingesse a cadere in peccato. Mi distraeva e cercava di farlo anche con gli altri. Ecco che così iniziò a prendere di mira la donna seduta al mio fianco. Prima di proferire parola la guardò con un ghigno malefico. Lei, sicuramente più esperta di me, pareva non curarsene. Non l’avevo mai vista prima d’allora, ma mi sembrava abbastanza salda nella fede. Il demone continuò a fissarla attraverso gli occhi di Angela, aspettando che alzasse il capo. Ma vedendo come lei evitasse accuratamente il contatto visivo, iniziò a infuriarsi sempre più: “ Come stai, tr…? Lo sa tuo marito che te la intendi con il tuo capo?”.
La donna non rispose. Don Gianni mi aveva avvisato di questa abilità del demone. Il suo gioco è distruggere le persone psicologicamente, farle dubitare, distrarre e peccare. Per far questo utilizza i trucchi più meschini, come rivolgersi alle persone svelandone i segreti più profondi. Lui non può leggere i pensieri, ma osserva e scruta il nostro agire: è in questo modo che conosce le nostre debolezze e la nostra inclinazione al male. Mescola verità con menzogne, confonde. In vita mia non mi ero mai trovato di fronte a così tanta astuzia e intelligenza.
Era impossibile tenergli testa con l’uso della ragione o della forza umana. Lo scontro era spirituale e nel contempo concreto e io capii quanto poco salda fosse la mia interiorità, quanto scialba fosse la mia anima, quanto poco salda fosse nuda e fragile. Sentivo forte il desiderio di affidarmi a qualcosa che cercavo da sempre senza rendermene conto appieno.
Si dice spesso che le vie del Signore siano infinite: nel mio destino era scritto che dovessi passare dal Male assoluto per sentirmi vicino al Bene supremo. Don Gianni, con grande forza, riprese in mano la situazione. Iniziò a leggere il rito canonico, mentre la posseduta continuava a dimenarsi con sempre maggiore violenza. Ebbene inizio una battaglia basata sulle Scritture. Ricordo che a un certo momento, don Gianni lesse un passo del Vecchio Testamento: Is 21,8-10.
Angela iniziò a ridere, si dimenava. Mentre il sacerdote si accingeva a leggere il paragrafo seguente, ecco che il demone anticipò la battuta, citando da fine teologo ed esperto conoscitore delle Scritture le parole che da lì a poco avrebbe dovuto leggere do Gianni: Is 21, 11-12.
Seguì una risata sarcastica e beffarda. “Mi credi stupido? Conosco meglio di te questi passi!”, esclamò il demone con la voce di angela e continuò: “Babilonia? La mia babilonia non muore mai, guardati intorno, tutto è lussuria, tutto è idolatria! Vi comando a bacchetta, comando il mondo. Stolti idioti! Credete nella misericordia? Ma di chi? Quello lì se ne f… di voi! Solo io conosco i vostri desideri, solo io assecondo le vostre passioni”.
Mi chiedevo come potesse, una donna che a malapena aveva ottenuto la quinta elementare, lontana dagli ambienti della Chiesa e priva di un’educazione cattolica, utilizzare simili riferimenti. La mia conclusione era solo una: avevo davanti a me qualcosa che non apparteneva alla sfera razionale.
L’unico tra tutti i presenti che riuscisse a tenere testa alla donna posseduta era don Gianni. Non si fece perdere d’animo, né intimorire e, anzi rincarò la dose con preghiere e invocazioni ai santi, tra i quali ricordo Santa Gemma Galgani. Al solo sentirne pronunciare il nome, Angela sembrò per la prima volta in difficoltà: “Quella no, no! Ti prego, basta!”. “Ah, ecco! Hai paura ora!”, ribattè don Gianni.
“Soffro troppo! Quella non la devi nominare!”.
Don Gianni continuò a pregare gettare dell’acqua santa sul corpo della posseduta. La donna andò in trance. Il corpo non opponeva più resistenza. Si vedevano chiaramente le braccia e le gambe lasciarsi cadere. La testa abbandonata all’indietro poggiava sullo schienale della sedia. Si trovava ora in balìa della forza di Cristo e dell’autorità della Chiesa rappresentata dal sacerdote.
Don Gianni proseguì: “Ti lodino, in nome di Dio! Chi c’è dentro Angela? Dimmi il tuo nome! E’ il Signore che te lo impone!”.
Nessuna risposta. Udimmo solo un rumore provenire dall’interno di quella gola; era come se lì si annidasse la forza che aveva posseduto Angela.
“E’ Gesù Cristo il Salvatore che te lo ordina, dimmi il tuo nome!”.
Si udì una voce:” Asmodeo, sono asmodeo”.
Asmodeo è un demone tra i più importanti secondo la loro gerarchia. E’ uno dei diciotto re infernali che comanda 72 legioni di demoni. Viene menzionato anche nella  Bibbia. Ancora, in un testo apocrifo del Testamento di Salomone, asmodeo dice: “Il mio compito è di cospirare contro i novelli sposi per impedire loro di congiungersi in matrimonio. Io distruggo la bellezza delle vergini e muto i loro cuori. Porto gli uomini alla follia e alle brame disoneste, così che, pur avendo le loro spose, le lascino per donne che sono di altri uomini, fino a peccare e a compiere atti omicidi”. Viene dunque rappresentato come il demone cospiratore contro la famiglia e per la discordia tra coniugi.
Don Gianni conosceva bene quel demone. Nella sua lunga esperienza di esorcista aveva avuto modo di incontrarlo più volte: “Asmodeo. Demonio del sesso e dell’impurità, ti ordinò di lasciare questo corpo. Lascia questa creatura che cerca, vuole e appartiene a Dio”.
“Mai e poi mai!”.
Don gianni sapeva che su questo spirito aveva sempre sortito un certo effetto la preghiera a san Giuseppe, per cui recitò: “A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo”….
“Signore Dio nostro, o Sovrano dei secoli, Onnipossente e Onnipotente, Tu che hai fatto tutto e che tutto trasformi con la tua sola Volontà; Tu che a Babilonia hai trasformato in rugiada la fiamma della fornace, sette volte più ardente, e che hai protetto e salvato i tuoi santi tre fanciulli; Tu che sei dottore e medico delle nostre anime; Tu che sei la salvezza di coloro che a Te si rivolgono, Ti chiediamo e Ti invochiamo. Vanifica, scaccia e metti in fuga ogni potenza diabolica, ogni presenza e macchinazione satanica e ogni influenza maligna e ogni maleficio o malocchio di persone malefiche e malvagie operanti sul tuo servo. Fa’ che in cambio dell’invia e del maleficio conseguano abbondanza di beni, forza, e carità. Tu, Signore, che ami gli uomini, stendi le tue mani possenti e le tue braccia altissime e potenti e vieni a soccorrere e visita questa immagine tua, mandando su di essa l’Angelo della Pace, protettore dell’anima e del corpo, colui che terrà lontano e scaccerà qualunque forza malvagia, ogni veneficio e malìa di persone corruttrici e invidiose; così che il tuo supplice protetto con gratitudine canti: “Il Signore è il mio soccorritore, non avrò timore di ciò che potrà farmi l’uomo”: Sì, Signore Dio nostro, abbi compassione della tua immagine e salva il tuo servo. Per l’intercessione della Madre di Dio e sempre Vergine Maria, dei risplendenti arcangeli e di tutti i tuoi Santi. Amen!!.
Il demone, dopo aver urlato per tutta la durata delle preghiere, tacque. Pareva domato. Ma all’improvviso riprese ad urlare: “Te la farò pagare! Te la farò pagare, vedrai! La pregherai tu, insieme a quello che ti sei portato per compagnia!”. Un brivido di paura mi attraversò: parlava di me.
Poi, improvvisamente, Angela ritornò in sé. Fu così strano vederla docile, serena e affabile. Come non si fosse accorta di nulla: anche questo, un fatto inspiegabile. Ci fermammo a parlare tutti insieme, poi andammo via. Don Gianni la salutò con un caloroso abbraccio e si diedero nuovamente appuntamento. La donna non era stata ancora liberata, ma per qualche giorno o settimana poteva stare più serena.
Quello di Angela era stato un caso estremamente difficile. Solo dopo tre anni di esorcismi il demone si era palesato. Ora almeno, disse don Gianni, si sapeva con chi si aveva a che fare. Era un gran passo in avanti. Non chiesi come mai fosse possibile che una donna così buona, almeno tale appariva simile. Don Gianni aveva ripetuto più volte che si trattava di prove permesse da Dio, finalizzate all’ottenimento di un bene maggiore.
Per quel che riguarda me, questa esperienza mi ha suscitato più di una domanda; mi ha spinto a confrontarmi con me stesso, a cercare la mia fede, a pregare per averla. Ho capito che esiste un qualcosa nel mondo che non si spiega con la sola ragione.
Mi sono sempre considerato un razionale, un empirista e in tutta sincerità devo dirvi che il Bene e il Male sono realtà tangibili. Le minacce udite dal demone non mi fecero dormire per un lungo periodo, ma nessuno venne a disturbarmi. Ricordo, a proposito, le parole scambiate con do Gianni al rientro: “Tranquillo, è una tattica che utilizza per incutere timore”. “Eh… grazie tante”, risposi senza trattenermi. Ci abbandonammo a una risata, forse il modo migliore per non cedere agli sgradevoli ricordi e continuare a confidare nel bene e nella speranza.
Per me fu la prima e ultima esperienza. Avevo visto anche troppo. Arrivammo a Sassari e lì presi la mia auto. Feci il viaggio fino al mio paese da solo. Non guardai mai lo specchio retrovisore. Non dormii per diverso tempo, ma feci tesoro di quanto vissuto.