mercoledì 13 novembre 2019

IL CASO DI MARIA: POSSEDUTA LIBERATA E GUARITA CON ‘ESORCISMO


IL CASO DI MARIA:
POSSEDUTA LIBERATA
E GUARITA CON ‘ESORCISMO

Dal libro: Il diavolo esiste davvero e opera – Fra Benigno

Fra Benigno. Qualcosa di straordinario, o meglio di miracoloso, accade il  Venerdì Santo del 2017, e ciò non in segreto, ma in pubblico. Tutti poterono vedere con i propri occhi e piansero di gioia, colpiti profondamente per essere venuti a contatto con il Dio vivente, che anche oggi opera con potenza.
Si tratta della storia di una donna, di nome Maria, sposata, madre di tre figli, da cinque anni posseduta. Frequentava la Messa Domenicale nella nostra Chiesa, in via Alla Falconara 83, a Palermo. Creava dei problemi durante l’omelia contraddiceva il sacerdote per quello che diceva. L’assemblea dei fedeli, tuttavia, accettava quella situazione. Voleva bene a Maria e non si lasciava distrarre dai suoi interventi inopportuni. Quando i disturbi si intensificavano, veniva portata in una piccola stanza che comunicava con la Chiesa. Ma la sua voce, purtroppo, si sentiva anche da lì. Farle la Comunione era un vero problema. La rifiutava, serrando la bocca e i denti. Quando finalmente aveva l’Ostia in bocca, cercava di sputarla.
Da tre anni io la seguivo con terapia esorcistica. Prima, per due anni, era stata seguita da un altro esorcista.
La mia èquipe medica, formata da uno psicopatologo forense e criminologo, da uno psicologo, da una psicoterapeuta, da una pedagogista e da due medici di famiglia, all’unanimità aveva escluso la presenza di una patologia psichica e aveva confermato il mio giudizio di possessione diabolica.
All’inizio della preghiera di esorcismo, Maria subiva delle vessazioni: erano come delle pugnalate, che la colpivano in diverse parti del corpo, soprattutto alle spalle, e le procuravano dolori atrocissimi. Si contorceva e gridava per l’intensità dei dolori. Poi entrava in trance ed emergeva un’altra personalità che, sospendendo intelligenza, volontà e memoria di Maria, gestiva il suo corpo. Guai a cadere nelle sue mani: diventavano come delle morse che ti stringevano così forte da farti male. Il demonio, quando con l’esorcismo era costretto ad andare via, continuava per un po’ di tempo a tormentarla con vessazioni. Da cinque anni era vittima di questa azione straordinaria del diavolo. Ma quel Venerdì Santo avvenne il miracolo della liberazione. Ecco come si svolsero i fatti. Il giorno precedente, Giovedì Santo, il mio superiore, alla fine della Messa in Cena Domini, ricordò ai fedeli che il giorno seguente sarebbe stato giorno di digiuno per tutta la Chiesa. Esortò tutti a essere generosi nel digiuno e a offrirlo al signore per una sola intenzione: quella della liberazione di Maria.
Il giorno dopo, Venerdì santo, Maria venne in Chiesa per partecipare alla liturgia dell’Adorazione della Croce. Ebbe le solite reazioni, ma a un certo punto tutti sentimmo la sua voce che lodava e benediceva il Signore. Intuimmo che in quell’istante era avvenuta la sua liberazione. Al momento del bacio della Croce andai da lei e la esortai ad andare, insieme a me. Baciare il Crocifisso. Per la prima volta dopo tanti anni riuscì ad attraversare il corridoio centrale della Chiesa e a giungere ai piedi dell’Altare.
Lì non si limitò, come facevano gli altri, a baciare il Crocifisso. Se lo strinse al petto e scoppiò in un pianto dirotto. Tutti in Chiesa piangevamo: era un pianto di gioia nel constatare ciò che il Signore aveva operato.
Maria tornò ad attraversare il corridoio centrale della Chiesa al momento della Comunione. Nessuna difficoltà nel riceverla.
Il giorno dopo venne alla vigilia pasquale insieme con il marito, con i suoi figli e con la fidanzata del figlio più grande. Andò a sedersi in prima fila e, per la prima volta dopo cinque anni, poté partecipare serenamente alla Messa senza essere disturbata dal maligno.
Era la sua liberazione, da tempo tanto attesa.
Qualche giorno dopo la incontrò un uomo. Le chiese: “ E’ lei Maria?”. Alla risposta affermativa l’uomo aggiunse: “Io sono diabetico. Non avrei dovuto fare il digiuno. Ma l’ho fatto lo stesso, conoscendo le sue sofferenze e volendo fare la mia parte, perché il Signore le concedesse finalmente la grazia della liberazione”. Maria, commossa, scoppiò a piangere e sentì il bisogno di abbracciarlo per esprimergli tutta la sua gratitudine.
Anche una bambina di sette anni – che il Giovedì Santo aveva partecipato con i suoi genitori alla Messa in Cena Domini e che aveva ascoltato l’invito a digiunare per Maria – volle digiunare, nonostante la mamma, data la sua tenera età, glielo sconsigliasse. Ma lei: “No, mamma”, le disse, “tu lo sai, Maria soffre e soffre molto. Anch’io voglio aiutarla con il mio digiuno, perché il Signore le conceda la liberazione”.
Dopo alcuni giorni da quel Venerdì Santo, due donne entrarono nel negozio dove lavorava Maria per delle compere. Una di loro si confidò con lei, ma non sapeva che fosse Maria. Le disse: “Signora, ho purtroppo un tumore”. “Non si scoraggi”, la incoraggiò Maria, “abbia fiducia nel Signore”. Quindi le consigliò di andare ogni Domenica a Messa. “Già lo faccio”, spiegò la donna, “e vado alla Messa delle 8, in via Alla Falconara 83”. Poi aggiunse: “ Lei non sa quello che è accaduto in quella Chiesa il Venerdì Santo. Una donna di nome Maria, posseduta dal demonio per tanti anni, è stata finalmente liberata”. Poi, guardando il volto di Maria che si era trasformato dalla commozione e sospettando che fosse proprio lei la donna liberata, le disse:”Non mi dica che lei è Maria?”. “Sì, sono proprio io”, le rispose.
Maria, dopo cinque anni di tormenti, tornò a essere una donna normale. Cominciò a partecipare serenamente alla Santa Messa, cibandosi non solo del Corpo del Signore, ma anche della sua Parola, che ancora oggi ascolta volentieri, commuovendosi fino alle lacrime.
Sentiva tanta gratitudine verso le persone che frequentavano la Messa in via Alla Falconara, perché da loro non si era sentita mai disprezzata, ma accolta e amata. Lì aveva trovato una seconda famiglia.
Ascoltiamo direttamente la sua testimonianza.
Maria. Tutto cominciò cinque anni fa con uno strano e improvviso gonfiore del mio addome. Soprattutto nel mese di maggio esso si gonfiava in modo anomalo, tanto che fui costretta a comprare dei vestiti premaman. Decisi di consultare un medico specialista, un gastroenterologo. Fui anche ricoverata. Dopo tanti esami e un’approfondita indagine clinica non risultò proprio nulla. I medici decisero anche di fare una biopsia al fegato che si presentava ingrossato, ma anche questo esame diede esito negativo. Dunque, dall’ospedale fui dimessa.
Un giorno, mentre ero a Messa, avvenne che durante la consacrazione stetti male e svenni. In quel momento c’era una ragazza che capì i disturbi che mi affliggevano e mi accompagnò da fra Benedetto, allora esorcista a Palermo, che cominciò per me una terapia esorcistica, a volte fino a tre volte la settimana. Non ricordo nulla di ciò che accadeva durante quella terapia, perché entravo in trance. Inizialmente alle preghiere di Fra Benedetto mi accompagnava mio marito e, dal momento che da solo non ce la faceva, veniva anche il marito di quella ragazza.
Mio marito partecipava alla Messa solo la Domenica, ma non mi accompagnava al Rosario che recitavo con il mio gruppo di preghiera. Dopo l’inizio di questo calvario, anche lui intraprese un cammino di preghiera w volle consacrarsi come me al Cuore Immacolato di Maria.
A casa non riuscivo a dormire né di giorno né di notte, venivo legata da entità invisibili, che mi procuravano dolori lancinanti alla schiena e allo stomaco. La vista mi si appannava, perché mi calava come un velo sugli occhi che mi impediva di vedere. Odiavo mio marito e provocavo odio, odio, odio per i miei figli. Ciò che più mi dava fastidio era vederli e, tuttavia, quella sofferenza, che mio malgrado causavo loro, mi faceva impazzire. Tutti i miei figli soffrivano molto, dal più grande al più piccolo, e ciò anche perché videro con i loro occhi che più volte tentai di togliermi la vita.
Una sera scappai di casa, percorsi da sola l’autostrada, inizialmente per recarmi a casa di un’amica, ma, giunta a casa sua, improvvisamente cambiai idea, risalii in macchina e mi diressi in prossimità di un ponte, decisa a farla finita. Improvvisamente sentii una voce molto chiara, che per me era quella di Padre Matteo La Grua, che mi chiamò e mi disse:”Non farlo, torna indietro”. In quel momento mi sbloccai e tornai in me. Accorgendomi che i miei familiari mi avevano cercato al telefono, risposi e dissi loro dove mi trovavo. Arrivarono sul posto mio marito, i miei gigli e la mia amica, tutti terrorizzati per la mia assenza e perché sicuramente avevano capito ciò che stavo per fare.
Le notti continuavano a essere insonni, odiavo mio marito, non lo tolleravo, non avevamo più rapporti coniugali, la sua presenza mi irritava, lo sguardo dei miei figli mi procurava odio.
Mio marito era disperato per questa situazione, a tal punto che decise di rivolgermi a un sedicente guaritore, il quale, dopo aver visto una mia foto, diagnosticò che ero posseduta. Inizialmente non volle soldi, ma, passando i giorni, ci fece sapere che il suo servizio sarebbe costato 10.000 euro. Mio marito era disposto a pagare quella cifra, se lui gli avesse assicurato la mia guarigione. Di tutto questo parlammo, dopo, con Fra Benedetto, il quale non volle assolutamente, anzi ci proibì di vedere ancora quella persona.
Io ricordo ciò che accadeva durante le preghiere di esorcismo. Ricordo solo che a un certo momento mi si giravano le budella, procurandomi dolori atroci, la mia pancia si muoveva da un lato all’altro in modo anomalo ed era come se dentro il mio stomaco ci fosse qualcuno.
Fra Benedetto, dopo avermi seguito per due anni, fu trasferito a Corleone. Al suo posto venne a Palermo un altro esorcista, fra Benigno, che iniziò a seguirmi. Ogni preghiera era una lotta. Ne uscivo come bastonata e tornavo a casa come uno straccio, bisognosa di dormire.
Un giorno, mentre ero al lavoro, cominciai a stare male, la mia pancia si gonfiò in modo disumano, tanto che le mie colleghe, preoccupate, chiamarono l’autoambulanza. Dopo questo episodio fui costretta a parlare della mi sofferenza alla mia dirigente, la quale per grazia di Dio comprese e mi venne sempre incontro.
Dopo il trasferimento di fra Benedetto, ebbi un po’ di paura nel dover riprendere una terapia con un nuovo esorcista, ma devo dire che fra Benigno mi accolse subito come un padre. Con le sue preghiere cominciai a dormire e a tollerare meglio mio marito, ma non riuscivo ad andare a Messa e, quando mi ci accompagnavano, al momento della consacrazione il mio stomaco impazziva, poi perdevo i sensi, non ricordando successivamente cosa avevo fatto e cosa avevo detto.
La sofferenza che vivevo nella mia carne non era normale. La cosa che più mi feriva era il rifiuto di alcune persone, che mi evitavano per la situazione che vivevo, ma per grazia di Dio non provavo odio verso di loro.
Un giorno fui invitata a partecipare alla Santa Messa nella Chiesa dei frati minori rinnovati, in via Alla Falconara, che ospita la comunità religiosa della quale fa parte fra Benigno. Da allora partecipai alla Messa domenicale in questa Chiesa, con precisione in una stanzetta adiacente, per evitare che qualcuno rimanesse scosso dalle mie reazioni. Ero sempre assistita, oltre che da mio marito, anche da altre due persone. In quella piccola Chiesa trovai una comunità di fedeli che mi accolse, anche se durante la celebrazione urlavo (me lo dicevano gli altri, perché io non ricordavo nulla), e mi accompagnò sempre con la preghiera. Questo fu molto importante per me, perché il sentirmi amata e accolta mi aiutò e mi diede la forza di recarmi sempre alla Messa, anche se poi stavo male.
Ricordo che nei primi tre anni di possessione io non riuscivo a entrare in Chiesa e neanche a pregare, ma negli ultimi due anni ci riuscii anche se con tante sofferenze; addirittura cominciai, soprattutto nella settimana Santa, a fare un digiuno totale per la mia liberazione.
Durante la Settimana Santa del 2017, ricevetti un dono particolare, da tempo tanto atteso. Il Giovedì santo partecipai alla Messa in Cena Domini nella Chiesa dei frati. Durante la celebrazione, come sempre, stetti malissimo: il mio calvario purtroppo continuava. Soffrivo, anche perché di lì a breve mio figlio più piccolo avrebbe dovuto fare la prima comunione e io non avrei potuto essere presente a causa dei soliti disturbi: questo mi procurava tanta tristezza e mi faceva stare ancora peggio.
L’indomani, Venerdì santo, facendomi forza andai ancora una volta in Chiesa, come sempre accompagnata. Giunta lì, sempre nella stanzetta, durante la celebrazione stetti malissimo: il mio addome si gonfiava sempre più, si muoveva e i dolori lancinanti su tutto il corpo non mi lasciavano. A un certo punto le persone che mi assistevano – così mi raccontarono – cominciarono a sentire un forte rumore, come di bolle in un rubinetto, che proveniva dal mio addome, ma che gradatamente cessava, e poterono constatare che il mio stomaco improvvisamente si sgonfiò. Fu proprio allora che per la prima volta lodai il signore e lo feci talmente ad alta voce che tutta l’assemblea mi sentì.
Venne il momento del bacio della Croce. Io ero nella piccola stanza con gli aiutanti. Entrò fra Benigno e mi invitò ad andare a baciare la Croce. Io pensavo di non farcela, ma lui mi incoraggiò: Dai, che ce la puoi fare. Così, con il suo aiuto arrivai ai piedi dell’Altare, dove c’era quella Croce che abbracciai e che non volevo più lasciare. Fra Benigno mi dovette letteralmente staccare dalla Croce e riaccompagnare nella stanzetta. Riuscii poi ad andare anche a prendere l’Eucarestia con i miei piedi, sostenuta, tuttavia, da fra Benigno: fu incredibile e impensabile, fino ad allora. Per tutti i presenti si trattò di un segno molto forte, anche perché da qualche mese il guardiano della comunità dei frati, fra Bernardino, aveva invitato tutti coloro che frequentavano quella Chiesa a pregare almeno un Rosario al giorno per la liberazione delle persone, vittime dell’azione straordinaria del diavolo, ma in particolare per la mia liberazione, e a essere generosi nel digiuno del Venerdì Santo, da offrire al Signore per la mia liberazione.
E quando tutta l’assemblea poté udire la mia lode al Signore e vedere che con i miei piedi ero riuscita ad accostarmi prima alla Croce e poi all’Eucarestia, per tutti fu un momento di grazia, perché percepirono la meraviglia compiuta dal Signore, in premio alla Chiesa che aveva pregato. L’indomani, Sabato santo, con tutti i membri della mia famiglia decidemmo di partecipare insieme alla veglia Pasquale nella Chiesa di via Alla Falconara. Tutti ci accolsero con gioia e con rendimento di grazie verso il Signore per ciò che egli aveva operato il giorno precedente. In prima fila c’eravamo io, mio marito, i miei tre figli e anche la fidanzata di mio figlio maggiore, tutti lì presenti a festeggiare la risurrezione di Gesù, ma anche la mia risurrezione da un periodo fatto di indicibile sofferenza.
Durante la liturgia i miei figli e mio marito mi guardavano increduli nel vedermi cantare e nel rispondere alla Santa Messa senza alcuna difficoltà. Nei cinque anni precedenti non mi avevano mai vista così gioiosa. Per tutti fu una Pasqua di risurrezione, non solo nei riguardi di Gesù, ma anche nei miei , perché finalmente venivo liberata da una possessione che durava da cinque anni.
Il marito. Tutto iniziò cinque anni fa. Il primo anno fu un anno duro, difficilissimo. Il diavolo disturbava mia moglie continuamente: il suo scopo era distruggere la nostra famiglia. Le impediva di pregare e di partecipare alla Santa Messa.
Maria era diventata un’altra persona. Era quasi sempre posseduta dal diavolo, tentò più volte il suicidio, scappò di casa, e la ritrovammo in uno stato di incoscienza totale. Durante la notte si lamentava e l’espressione del suo viso cambiava; più di una volta tentò di soffocare i nostri figli. I bambini, non capendo cosa avesse la loro madre, erano terrorizzati a tal punto da avere paura quando lei era accanto a loro. In quel periodo cercai tante volte di spiegare ai bambini cosa stesse accadendo. Anche al lavoro si manifestavano queste situazioni spiacevoli. Mi toccava lasciare tutto e andarla a riprendere per portarla a casa. Insomma, furono anni da incubo.
Le preghiere di liberazione per i primi tre anni venivano fatte da fra Benedetto ogni settimana. La situazione migliorò molto con lui. Maria, durante il giorno e la notte, non aveva più manifestazioni. Le aveva soltanto durante la Santa Messa e durante gli esorcismi.
Io in quei cinque anni fui sempre accanto a lei, anche se in molte occasioni volevo lasciare tutto e andare via, ma poi con la preghiera i momenti tristi si allontanavano.
Finalmente, nel 2017, durante la liturgia del Venerdì Santo arrivò il grandissimo miracolo: la liberazione di mia moglie.
Maria. Ringrazio il Signore Gesù per avermi concesso, il quel Venerdì Santo, la grazia della liberazione.
Sa allora … a casa riuscii a dormire. Non venni più legata da entità invisibili. Cessò l’odio per mio marito. La sua presenza non mi irritò più. Cessò l’odio per i miei figli. Lo sguardo verso di loro non mi procurò più odio. I miei figli non soffrirono più a causa mia. Partecipavo alla Messa e andavo a fare la Comunione con le mie gambe, senza alcuna difficoltà, tranne qualche rarissima volta. Riuscivo a pregare. Durante la notte non mi lamentavo più. Non tentai più di soffocare i miei figli.
Tornando a ricevere la preghiera dell’esorcismo rimanevo serena, non entravo più in trance e non me ne ritornavo a casa come bastonata.
Da precisare che, mentre il non poter avere rapporti coniugali con mio marito si era risolto con gli esorcismi ricevuti fino a quel momento, i dolori lancinanti alla schiena, quello strano e improvviso gonfiore all’addome, come pure quel fenomeno della vista che mi si appannava non scomparvero del tutto. Qualche volta si ripresentavano. E’ per questo che Fra Benigno ogni mese, insieme con altre persone che erano state liberate, ci faceva una preghiera di esorcismi come terapia di sostegno.
Dopo la liberazione di quel Venerdì Santo, tutti i giorni andavo a Messa, ripresi a pregare, cercai di mettermi al servizio del Signore, ero felice di mio marito, che amavo e amo tanto, adoravo i miei figli. Ciò che mi diede tanta gioia fu l’aver potuto accompagnare mio figlio il giorno della sua prima comunione: questo è stato meraviglioso per me, ma anche per lui.
Fra Benigno. Almeno di questa interessantissima testimonianza debbo dire che il capitolo della possessione diabolica di Maria non si concluse con il Venerdì Santo 2017.
Il marito. Dopo circa tre mesi dalla sua liberazione, inaspettatamente si manifestarono di nuovo sintomi di possessione diabolica. Maria cominciò a stare male di nuovo, non poteva andare più a Messa da sola dal momento che durante la celebrazione le aggressioni del diavolo tornarono più forti di prima. Tornammo, così, a fare le preghiere di esorcismo con fra benigno. Il calvario non era finito. Maria era molto giù di morale, non riusciva a capacitarsi del perché fosse caduta nuovamente in quel baratro. Ma fra Benigno, in occasione delle sue preghiere di esorcismo, la incoraggiava a essere forte e a sopportare nuovamente quel duro fardello, che il diavolo le aveva messo addosso.
Era anche angosciata, perché avremmo dovuto festeggiare il 25° anniversario del nostro matrimonio e aveva paura di quello che sarebbe successo durante la celebrazione della santa Messa. Ma fra Benigno accanto, Maria riuscì a superare quest’altro ostacolo, e ricevette anche la Comunione. Così cominciò a essere più fiduciosa e ad avere più voglia di lottare contro il diavolo. Il nostro anniversario fu celebrato l’8 ottobre del 2017 e passavamo una bella serata.
Due giorni dopo, il 10 ottobre 2017, il giorno di San Daniele, tornato dal lavoro, ricevetti una triste telefonata: la zia e madrina di Maria, di nome Caterina, era venuta a mancare. Andai da mia moglie – che quella sera era un po’ strana, aveva dolori in tutto il corpo, si sentiva un peso addosso, insomma stava malissimo – per dirle quello che era successo. Appena le comunicai la brutta notizia, ella sentì dentro di sé come un fuoco e avvertì un senso di pace, anche se in quel momento era completamente angosciata dalla morte della zia.
L’indomani volle andare a trovarla e lì scoppiò a piangere. Erano anni che non la vedeva, a causa di molti impedimenti. Il suo rammarico era di averla vista soltanto da morta. La sera stessa della morte di Caterina, Gaetano, nostro figlio maggiore, pregando in casa davanti alla Madonnina, fu come accecato da una luce: vide la casa prima avvolta tutta da fiamme e poi avvolta da una grande luce bianca. Lui stesso, poi, non ricordava più null’altro di quella tarda sera, neppure come era andato a letto. Il giorno dopo erano previsti i funerali della zia e Maria si sentì proprio chiamata a parteciparvi: era, infatti, tranquilla e serena. Partecipò alla Messa senza avere nessun sintomo, andò fino all’altare a ricevere Gesù, con meraviglia da parte nostra.
Da allora Maria riacquistò la sua vita. Cessarono, infatti, questa volta del tutto e per sempre, i suoi disturbi e ci ricordammo che durante le preghiere di esorcismo Maria nominava spesso il nome di Ina (abbreviazione di Caterina), a volte invocandola (se non ricordo male, quando non era in trance) e a volte maledicendola quando il diavolo sospendeva la sua intelligenza, la sua volontà e la sua memoria. Che la zia le abbia ottenuto la grazia della liberazione?
Dal giorno della morte della zia, Maria va a Messa tranquillamente, fa una vita molto impegnata spiritualmente, si dedica alla famiglia, cerca di riconquistare l’amore dei propri figli e di mettere al servizio della Chiesa la maggior parte del suo tempo, senza tuttavia trascurare la famiglia. Insomma, ringraziando Dio, è finalmente libera.
Fra Benigno. Terminiamo dando, ancora una volta, la parola a Maria e riservando ai due capitoli seguenti la presentazione di altri due casi, quello di Sandra e quello di Roby, per mostrare ulteriormente a quali sofferenze va incontro chi, come loro, è vittima di una possessione diabolica.
Maria. Sento il bisogno di ringraziare il Signore Gesù per la mia liberazione e anche mio marito, che nei cinque anni della mia possessione diabolica mi ha sempre sostenuta, sempre amata e sempre sopportata, anche quando inveivo contro di lui. E ringrazio, infine, i miei figli che, nonostante tutto, mi hanno sempre amata.


giovedì 26 settembre 2019

HO ASSISTITO A UN ESORCISMO - Don Francesco Cupello


HO ASSISTITO A UN ESORCISMO
Don Francesco Cupello


E vengo finalmente al racconto della mia esperienza personale, che avevo annunciato più sopra. In verità si tratta solo di un caso, ma a me è servito molto per rendermi conto della serietà delle possessioni diaboliche e dell’estrema necessità di esorcismi ed esorcisti. E devo dire che ha anche rafforzato la mia fede, perché davanti a un vero esorcismo si fa una forte esperienza del soprannaturale. Paradossalmente, quindi, il demonio è l’entità che dimostra con più evidenza l’esistenza della SS. Ma Trinità, la potenza della vergine santissima e la difesa con il male per intervento dei Santi.
Un mio confratello un giorno mi chiese se potevo far celebrare un corso di Messe gregoriane richiesto da una persona lontana da Roma e dalla regione Lazio. Io rimasi meravigliato che tale richiesta venisse da lontano e obiettai che quella persona bastava che cercasse in qualche monastero o Istituto religioso nella sua regione e non  avrebbe trovato difficoltà a reperire un sacerdote disponibile. Ma quel mio confratello insistette, senza peraltro rispondere alle mie obiezioni. E la cosa mi lasciò un po’ interdetto. Dopo non molto tempo mi fu annunciato, non ricordo se da quel confratello o dalla stessa persona interessata, che quest’ultima sarebbe venuta a Roma per la sua richiesta. E una mattina venne in compagnia del fratello. Era un giovane sui 27 – 28 anni, ma che dimostrava di meno: molto fine nei modi, di statura medio-alta, magro, piuttosto timido, di ottima famiglia, come appresi dalle risposte che diede alle mie domande. Mi chiese delle Messe gregoriane e rispose alle mie obiezioni con molta sicurezza, portando come unica motivazione che non trovava sacerdoti disponibili. Me ne chiese tre corsi, tutti per suoi familiari defunti, nonni e zii. E senza batter ciglio mi mise sulla scrivania l’offerta di 1.050 euro. Abbiamo parlato ancora per un po’, poi improvvisamente quel giovane mi chiese, anzi mi implorò, se potevo fargli il grande favore di poter incontrare, anche molto brevemente, Padre Amorth. Capii finalmente il vero motivo che lo spingeva a Roma e fino a me, per far celebrare delle Messe. Naturalmente a lui non manifestai questo mio pensiero e mi limitai a dirgli che una richiesta così improvvisa, senza previo appuntamento, di un incontro con Padre Amorth era quasi impossibile da soddisfare, tanto più trattandosi di una persona non della Diocesi di Roma. Rimasi un po’ frastornato e poi, ripetendogli più volte che non gli promettevo nulla e che si disponesse a un molto probabile rifiuto, gli dissi che ci avrei provato.
“Aspettami qui (ero nel mio ufficio)” gli dissi, e andai a bussare alla camera di Padre Amorth. Gli spiegai la cosa e lo pregai vivamente di riceverlo. Dopo un po’ di tergiversazione, convinto che si trattasse solo di una richiesta di preghiere e di una benedizione, mi disse che se fosse venuto tra le 11:45 e mezzogiorno, avrebbe potuto brevemente incontrarlo. Andai subito a comunicare la cosa ai due fratelli, che si mostrarono molto contenti e pieni di gratitudine nei miei confronti. Li accompagnai nella stanza di Padre Amorth e ve li lasciai, dicendo loro di tornare nel mio ufficio dopo l’incontro. Puntualmente qualche minuto dopo mezzogiorno essi tornarono da me. Mi ringraziarono ancora, ci salutammo ed essi risalirono in macchina per riprendere la strada del ritorno. Il giovane mi sembrò molto tranquillo e sereno e ancora molto timido.
La sera, a refettorio, Padre Amorth mi si avvicinò e mi disse: “Compagnino! (lui usa spesso questo appellativo verso i suoi confratelli) Ma sai chi mi hai portato questa mattina?”.
“Si riferisce a quel giovane accompagnato dal fratello? Perché?”.
“Quello è un vero caso di possessione diabolica!”.
Rimasi sbalordito. Come?! Quel giovane così perbene, così timido …
La mia meraviglia era soprattutto al fatto che Padre Amorth, nei migliaia di casi trattati, ha sempre affermato di essersi incontrato raramente con quelli di vera  possessione diabolica.
“Ma come ha fatto ad accorgersene in così poco tempo?”.
“L’ho capito subito dalla reazione avuta non appena ho cominciato a pregare”.
“E cosa ha fatto poi lei?”.
“Ho subito interrotto l’esorcismo e ho fatto rientrare in sé il giovane, che era già andato in trance. E gli ho detto che il suo caso era molto serio e che lui aveva bisogno di molte “sedute”, che potevano andare avanti anche per anni e che quindi io non potevo fare nulla per lui e che si cercasse un esorcista nella sua Diocesi”.
Dopo diversi mesi quel giovane mi richiamò, supplicandomi di fissargli un incontro con Padre Amorth, al quale andai subito a riferire la cosa. “Digli che mi telefoni direttamente” mi disse. Così feci e poi non lo risentii più. Seppi in seguito, e precisamente nel terzo incontro di quel giovane con l’esorcista, che questi gli aveva fissato un appuntamento per un esorcismo e che quest’ultimo si svolse in modo piuttosto drammatico, con urla, bestemmie e rotolamenti sul pavimento e che, in precisione di ciò, Padre Amorth aveva convocato degli assistenti che lo aiutassero a tener fermo l’esorcizzato. Non ne seppi molto più. Senonché ancora di fissargli un incontro con Padre Amorth, dicendomi al contempo di trovarsi molto angosciato per la morte del babbo avvenuta tre mesi prima per un tumore assolutamente asintomatico e che quando fu diagnosticato era ormai nella fase terminale. Non seppi dirgli di no e lo raccomandai a Don Amorth, che si dimostrò disponibile e fissò l’appuntamento.
Questa volta – mi dissi – voglio partecipare anch’io all’esorcismo. Volevo rendermi conto di persona e osservare attentamente sia il giovane esorcizzando sia l’esorcista, per convincermi del tutto della soprannaturalità di certe manifestazioni e della potenza delle preghiere di liberazione della Chiesa.
Venuto il giorno dell’appuntamento, quel giovane, accompagnato dal fratello e dalla mamma, venne prima nel mio ufficio. Lo trovai molto appesantito rispetto alla prima volta che lo vidi e notai nei suoi occhi una certa inquietudine. Era molto diverso da come lo ricordavo, anche se sempre piuttosto timido. Parlammo un po’ della situazione familiare e della morte del babbo, che li aveva lasciati tutti molto scossi e ancora molto sofferenti. Mi chiesero anche questa volta se potevo far celebrare tre corsi di Messe gregoriane e mi lasciarono la corrispondente offerta di 1.050 Euro. Allora per l’esorcismo, l’accompagnai nella stanza adibita allo scopo e lì attendemmo l’arrivo di Padre Amorth, che salutò tutti affabilmente e anche allegramente. Vennero altre persone chiamate da D. Amorth per l’aiuto necessario in casi come quello. Il giovane fu fatto sedere sulla solita poltrona-sdraiato; Padre Amorth era alla sua sinistra e alla sua destra c’era il fratello. Davanti c’era un robusto signore con il compito di tenere fermo l’esorcizzando e c’erano pronte altre due persone allo stesso scopo. Io mi sedetti presso il tavolo al centro della stanza, onde essere comodo a prendere degli appunti.
Padre Amorth inizia aspergendo con l’acqua benedetta tutti i presenti e invitandoli a recitare insieme delle preghiere. Poi mette in mano al giovane esorcizzando un crocifisso che lui afferra senza mostrare alcuna ripulsa.
L’esorcista indossa la stola viola, ponendone un lembo sulle spalle del giovane e iniziando a recitare le formule di esorcismo tenendogli una mano sul capo. La prima preghiera è a S. Michele Arcangelo. Roberto (chiamerò così d’ora in poi quel giovane) comincia ad agitare la testa e volgendo poi la faccia verso l’esorcista con due occhi diventati improvvisamente terribili e pieni di odio, ansima e ringhia.
“Chi sei?” gli domanda imperiosamente Padre Amorth.
E Roberto, con una voce non sua e impressionante, gli dice:”il mio nome è Mefisto” (così ho capito io).
“Sei solo?”.
“Siamo moltissimi e sono tutti a mia disposizione”.
“Quanti siete? Dimmi il numero!”.
“Tantissimi”.
“Quanti? Voglio sapere il numero!”.
Roberto mugugna con uno stranissimo suono gutturale.
Padre Amorth insiste: “Quanti siete? Asino! Non sai contare?”.
Lui ripete di chiamarsi Mefisto, ma non risponde all’esorcista, limitandosi a fare versi, smorfie e mugugni. Poi con voce più alterata (Non sua) e piena di odio dice all’esorcista, fissandolo con occhi terribili: “ Non mi toccare!”. E Padre Amorth imperiosamente: “Recede! Recede! In nomine Patris … intercedente beata Dei Genitrice Virgine Maria …”.
C’è un momento di calma, ma poi improvvisamente Roberto si rivolge all’esorcista, insultandolo con parole volgari, oscene e coprolaliche: “Pezzo di m … che c … vuoi? Sei un pezzo di m … bastardo! Fatti i c … tuoi!”. E lo ripete più volte, ringhiando mentre l’esorcista gli domanda se ha agito durante messe nere, riti satanici, macumba, woodoo e altro.
Roberto reagisce con parolacce e ringhia: “Come fai a sapere queste cose? Figlio di p …!”.
L’esorcista insiste nell’elencare tutte le possibili cause della possessione, chiedendo quale di quelle ne fosse all’origine. Roberto alterna momenti di calma ad altri di agitazione, ma sempre con la testa rivolta all’esorcista e con gli occhi torvi e pieni di odio, con scariche di insulti volgari: “Come c … conosci la lingua latina? Maledetto str …, fai schifo! Str … maledetto!”.
Roberto comincia a fare versacci con la bocca e a ripetere a raffica: “Vaffanc … !”.
Padre Amorth invoca Maria Santissima che gli schiacci il capo. Roberto continua a insultare. “Esci!” gli intima l’esorcista con tono perentorio. Roberto a questo punto si scuote ed è preso da un forte tremore a questo punto si scuote tutto ed è preso da un forte tremore. Il fratello e un altro assistente cercano di tenerlo fermo.
“Chiudi la bocca!” dice l’esorcista. Tu emetti una energia molto fastidiosa per me.
Padre Amorth continua la formula di esorcismo in latino.
Credo che usi il vecchio rituale, perché lo ritiene più adatto, più efficace e più temuto dal demonio.
“Taci, pezzo di m …! Obbedisci!”.
“Sanctus, Sanctus, Sancutus …”.
“Maledictus””.
Roberto si scuote in tutto il corpo. E Padre Amorth: “Recede! In nomine Jesu … Durum est tibi recalcitare …”.
Roberto fa le corna e dice delle oscenità verso l’esorcista, che gli intima: “Stai zitto!”. E ripete per te volte una pittoresca espressione di San Francesco rivolta al diavolo, come scritto nei Fioretti.
“Come osi schifoso?”.
“Recede!”.
“Gran figlio di p … ! Tu emani una energia molto fastidiosa per me! Voglio rimanere qui e ti devo uccidere.
Non devi più vivere, perché tu dai fastidio a tutto l’inferno! Devi morire! Ci dai troppo fastidio! Questo giovane deve morire!”.
E qui Roberto comincia a bestemmiare in continuazione. L’esorcista insiste con la preghiera, mentre Roberto non fa che bestemmiare con voce alterata e cattiva e scuotendosi tutto.
“Toglimi le mani dalla testa e dagli occhi! Lo Spirito Santo non lo devi nominare!”.
Padre Amorth torna a domandare: “Qual è il tuo nome?”.
“Mefistofele” (mi sembra di aver capito).
“Ti ha fissato Dio il giorno in cui devi uscire?”.
“Ci siamo già conosciuti io e te!”.
“Vi ho sempre vinto tutti. Vattene, che non vali una cicca!”.
Roberto tira fuori la lingua, puntandola contro l’esorcista con un fare tra quello di un bambino che fa le linguacce e quello di chi sfida e di chi provoca una bestia feroce chiusa in gabbia. Un ultimo scuotimento e tremolio di tutto il corpo e poi Roberto rimane immobile in silenzio a testa in giù. Padre Amorth lo asperge con l’acqua benedetta. “Via!” gli dice, ma lui rimane immobile. Allora recita l’Ave Maria con tutti i presenti e poi gli dà dei colpetti in fronte con il palmo della mano e gli dice:”Sveglia!”.
Roberto rimane ancora qualche momento a testa in giù e poi si guarda attorno e il suo volto tutto arrossato assume un’espressione tranquilla, anche se di persona stanca come dopo una corsa o un forte stress emotivo. Ci alziamo tutti e ognuno esce dalla stanza, mentre Padre Amorth, in assenza del suo solito aiutante, si preoccupa di chiudere a chiave le due porte di ingresso, tranquillo e sereno come di chi abbia fatto la cosa più normale di questo mondo e saluta affabilmente Roberto, la di lui mamma e il fratello.
Io mi avvicino a questi ultimi e li invito a pranzo nel refettorio della comunità, essendosi ormai fatto quasi mezzogiorno e mezzo. Essi accettano e con molta tranquillità pranzano insieme alla comunità paolina. Roberto non mostra molto appetito, e infatti mangia poco. Dopo pranzo li saluto, promettendo che mi sarei interessato a cercare un esorcista per Roberto, che mi dice che mi avrebbe telefonato entro una settimana per sapere se lo avevo trovato. E a riguardo devo dire che molto casualmente ne troverai uno proprio in quella settimana e proprio nella stessa regione e località di Roberto, che puntualmente esorcista, che si mostrò subito disponibile messo sull’avviso che si trattava di un caso di vera possessione diabolica e che quindi si tenesse pronto a tutto e predisponesse quanto necessario per un esorcismo nella massima sicurezza.
Mentre scrivo non so come siano andate le cose, perché non ho ancora ricevuto telefonate né da Roberto, né dall’esorcista. Comunque quel che mi preme dire, soprattutto in risposta a quanti minimizzano certi fatti o li riducono a semplici fenomeni psichici o psichiatrici, che bisogna essere proprio ciechi e sordi per negare l’evidenza della preternaturalità di tali manifestazioni.

Dal libro: E’ lui a far paura al demonio – P. Amorth


sabato 21 settembre 2019

L’OSSESSA DI PIACENZA (QUINTA PARTE - FINE)


L’OSSESSA DI PIACENZA
Intervista col diavolo
Cronaca di Alberto Vecchi
(QUINTA PARTE)

IL CORPUS DOMINI

Durante il quinto esorcismo, lo spirito si ribellò, come al solito, al sacerdote:”Non esco!”.
“Perché?”.
“Per farti arrabbiare”.
“Ma io sono più potente di te!”.
“E perché sei più potente” rispose con dolore indicibile lo spirito “Tu mi cacci?”.
“Appunto perché sono il più potente oggi ti voglio cacciare”.
“Oggi non esco”.
“Il motivo?”.
“Perché oggi hai ottenuto anche troppo”.
“In nome di Dio, in nome di quell’Ostia Santa che questa mattina è passata alta e solenne in mezzo a noi (era il giorno del Corpus Domini), che è scesa nell’anima di questa creatura, esci da questo corpo”.
“Non vado!” gridò lo spirito vibrante di collera.
“Ma Cristo, il nostro Dio, non deve cedere di fronte a te, spirito immondo: esci da questo corpo!”.
“Non vado!”. Lo spirito urlava a squarciagola, sempre più inferocito. “Ti potrai dire contento se riuscirai a farmi uscire il 23”.
“Devi andar via oggi, festa del Corpus domini”.
“Oggi non vado”. E d’un colpo si avventò contro il sacerdote e gli strappò la stola, che dilaniò ferocemente, voluttuosamente, come era solito fare. Da notarsi però che, nonostante sempre si udisse chiaramente da tutti il crac della stoffa lacerata e se vedessero i brandelli stracciati dai denti forti dell’ossessa, la stola, sottratta alle furie diaboliche, si mostrava sempre intatta, come se nessuno l’avesse toccata.
“Con qual diritto stai in questo corpo? Questa creatura fu fatta un giorno da Dio a sua immagine e somiglianza; per lei Egli si è incarnato, per lei ha patito ed è morto in croce. Quindi essa è sua”.
L’esorcista si interruppe, attendendo invano una risposta. Poi riprese: “Questa creatura è vero tempio dello Spirito Santo, è vera casa di Dio, e nella casa di Dio non deve starci altri che Dio. Fuori, spirito immondo!”.
Ma alle parole del sacerdote seguiva solo il silenzio.
Lo spirito non rispondeva. “Si avvicina l’ora della benedizione. Senti: le campane suonano, l’organo accompagna il canto del Tantum Ergo, il popolo è inginocchiato davanti al Santissimo esposto. In quest’ora tutte le fronti si chinano e tu pure devi inchinarti e uscire”.
Anche questa volta nessuna risposta.
Dimmi, dimmi in nome di Dio, in nome di Gesù Cristo esposto, non ti dà fastidio questo giorno, il giorno del Corpus Domini?
Finalmente risuonò una risposta, ma era lugubre:”Sì”.
“Ebbene, vattene!”.
“Ero nei deserti lontani, mi hanno chiamato, mi hanno scongiurato, sono venuto, non posso uscire”.
La sua voce pareva un gemito.
“Ma Iddio, il nostro Dio” continuò il sacerdote con sempre maggiore slancio “è grande, è onnipotente. Davanti a questo Dio il Faraone capitola, Paolo cade a terra, e tu pure devi cedere e darti per vinto”.
Lo spirito gli rivolse un’occhiata piena di un’angoscia indescrivibile e non rispose.
“Satana!” esclamò il padre, discernendo nel suono delle campane il momento della benedizione Eucaristica.
“Satana, ecco il momento solenne in cui Cristo sotto le specie del pane viene innalzato perché voglia benedire il suo popolo. In questo momento, con tutta l’autorità, con tutto l’impero che mi viene da Dio, ripeto a te le parole del Salvatore divino: “Exi a bea!”. Satana, rendi onore a Dio Padre, dà luogo a Gesù Cristo, dà luogo allo Spirito Santo, che per mezzo dell’apostolo Pietro un giorno ti umiliò in Simon mago: “Exi a bea!”.
Il comando cadde in un silenzio tombale, che sinistramente contrastava col gioioso suono delle campane che, fuori, inondava tutta la campagna. Lo spirito taceva, affranto; ma pareva incatenato a quel corpo.
Durante l’ottavo esorcismo c’era stato questo colloquio tra il padre e lo spirito:
“Quando uscirai?”.
“Il 23 giugno 1920?”.
“E perché non prima?”.
“E’ destinato così”.
“Quando mi hanno scongiurato, hanno fissato che nessuno otterrà la guarigione se non faranno gli esorcismi prima del 23”.
“Tutte imposture” gridò indignato l’esorcista. E infatti, che avrebbe dovuto credere alle parole del padre della menzogna? “Iddio è superiore agli stregoni”.
“Se Dio non fosse superiore agli stregoni” rispose lo spirito in tono solenne e dilatando gli occhi per il terrore “io non uscirei mai più”.
LO STRANO COLLOQUIO

Più gli esorcismi si avviavano verso la fine, più il tormento dello spirito appariva evidente. Forse avrebbe desiderato partire, ma era incatenato. Del resto sfogava la sua rabbia, tormentando a sua volta il povero corpo dell’ossessa, che alle volte era sfigurato in modo da non essere più riconoscibile agli stessi presenti.
“Quando uscirà la palla?” chiese P. Pier Paolo all’undicesimo esorcismo, avvenuto il giorno 18 giugno.
“Il 23 giugno”.
“A che ora?”.
“Alle cinque”.
Mi hai detto che uscendo da questo corpo me ne avresti avvertito chiamando la Gilda per tre volte. E’ vero?”.
“Sì”.
“Ebbene questo nome non lo voglio”.
“Perché?”.
“Perché la Gilda non ha nulla a che fare con te, spirito immondo”.
“Allora ti darò un altro segno”.
“Che segno?”.
“Te lo dirò più tardi”.
“Dimmelo ora!”.
“Mi parlerai?”.
“Sì”.
“E come parlerai, se dopo questo esorcismo, non potrai dire nulla?”. Lo spirito infatti aveva da tempo avvertito che dopo l’undicesimo esorcismo le sue forze si sarebbero talmente indebolite, da togliergli persino l’uso della voce. “Ho voluto dire che non ti risponderò più; ma quando partirò, farò come faccio adesso a parlarti”.
A questo punto il sacerdote rinnovò l’esorcismo, poi intimò: “Alzati e rigetta!”.
Subito l’ossessa fu sul catino.
“Rigetta!
“Non mi resta più nulla da rigettare.
“In nome di Dio, fa rigettare a questa creatura, senza sforzi inutili, tutto ciò che ha preso per malefizio”.
Questa volta l’ossessa rigettò una grande quantità di liquido.
“Che cosa abbiamo ottenuto?” chiese il padre.
“L’ho già detto”.
“Non hai detto niente. Che cosa abbiamo ottenuto?”.
“Te l’ho già detto. Non essere troppo seccante”.
Il padre si ricordò che Isabò doveva aver perduto, come questi si era espresso, l’ultima sua forza.
“Voglio sapere dove è andata l’ultima tua forza”.
“In N.N.” (quello che aveva invocato lo spirito ripetutamente, come anche lo stesso padre aveva udito personalmente).
“E’ la verità?”.
“Sì”.
“Starai a questo comando?”.
“Sì, sì, sì” e un’altra risata fredda, sarcastica risuonò sinistramente nella sala. Già calava la notte. L’esorcismo era iniziato sei ore prima. Sei ore di spasimo per il corpo della povera signora. Il sacerdote pensò dunque di chiudere l’esorcismo.
“A te immondo spirito …”. Lo spirito prontamente interruppe: “ … comando di non far male, di non far paura né a te, né ad alcuno dei presenti … Devi dire” soggiunse con forza dopo una pausa “di non far bene, Perché per me il male è un bene”.
Al successivo appuntamento del 21 giugno, alle ore 15 come al solito, i convenuti ebbero subito una sorpresa.
Durante le preghiere preparatorie, l’ossessa non si stirava, non sbadigliava più quelle occhiate sinistre, che suscitavano già, specie le prime volte, tanta impressione; ma, seduta, con le mani strette ai bracciolo della sedia, col mento appoggiato sul petto se ne stava tetra, imbronciata, quasi fosse l’incarnazione del rimorso.
Alle prime parole dell’esorcismo si alzò lentamente come per ubbidire a un interiore comando, e, sempre lentamente, si sdraiò sul materasso disteso ai suoi piedi; ciò fatto, si irrigidì e rimanendo così immobile, chiuse gli occhi.
I circostanti guardavano con terrore quel corpo, giacente supino come in una bara, e si attendevano da un momento all’altro un balzo felino, una di quelle grida improvvise che agghiacciano il sangue  e che solo una forza non umana è capace di emettere, L’esorcista diede un’occhiata alla croce posata sul pinnacolo altare, si assicurò che il secchiello dell’acqua santa fosse al posto, a portata di mano e, finito lo scongiuro, aprì l’interrogatorio:
“T’impongo di star fermo e di rispondere solo alle mie domande. Hai capito?”.
Nessuna risposta.
“Non puoi o non vuoi rispondere?”.
Silenzio assoluto. L’esorcista era un poco imbarazzato. Non sapeva come costringere alla risposta un muto.
Finalmente ebbe un’idea. “Se non puoi rispondere” disse “alza un dito, e se non vuoi, alzane due”.
A questa ingiunzione, in un silenzio assoluto, si vide l’ossessa alzare lentamente, con gran fatica, un dito. Non poteva rispondere.
E’ chiaro che un colloquio nel quale uno dei due interlocutori parla per mezzo di segni assai scarni perde ogni interesse immediato per chi ne legge il resoconto. Ma coloro che videro coi propri occhi la scena di quel giorno, non dimenticheranno mai l’impressione provata, osservando l’ossessa, già tanto violenta e ribelle, giacere stanca, umiliata, sconfitta, col volto atteggiato a un’impressione di abbattimento, di dolore profondo.
Così si avviò un colloquio strano, incredibile. Il frate esprimeva delle domande e l’ossessa rispondeva alzando uno o due dita, a seconda della risposta. Finché le domande cedettero all’ingiunzione: “Alzati e rigetta!”.
L’ossessa, sempre più tetra e imbronciata, si alzò lentamente, lentamente andò in cerca del catino, e tentò di ubbidire. Tutto inutile. Nonostante le reiterate ingiunzioni e i reiterati tentativi, non riusciva a rigettare. Finalmente il Padre ricorse al trisagio. Dopo la recita del Sanctus, l’ossessa finalmente ubbidì e rigetto qualcosa.
Poi riprese lo strano colloquio avviato a base di domande da una parte e di gesti dall’altra. Finché il Padre si stizzì: “T’impongo di uscire da questo corpo e di andare nel centro del Sahara o nel (gli indica un altro luogo, che, per motivi ecumenici, ho preferito non trascrivere  n.d.r. oppure nei cavalli di Piazza Cavalli. Scegli. Dove vuoi andare?”.
L’ingiunzione è apparentemente strana. Imporre a uno spirito delle destinazioni così precise, manco fosse un pacco da spedire! Eppure su questo punto non c’è possibilità di dubbio: troppe sono le fonti che parlano di questi demoni “dell’aria”. Isabò stesso l’aveva detto più volte: “Vengo dai deserti lontani”.
Alla domanda del sacerdote, lo spirito parve scuotersi lentamente dal suo letargo; poi con voce stanca, lamentevole, mormorò come in sogno: “Nel deserto”.
“Nel deserto, nel centro del Sahara caccio anche i tuoi compagni. Hai capito?”.
Sempre con la stessa voce stanca e lamentevole, lo spirito risponde: “Vado io solo”.
Dunque parli quando vuoi.
Ma lo spirito non parlò più. Rispose faticosamente a qualche domanda, alzando le braccia o le dita, finché, assicurato l’esorcista che non avrebbe fatto male a nessuno, la mano ricadde pesantemente lungo il corpo e non si mosse più. Quella volta l’esorcismo era durato meno di due ore.

LA LIBERAZIONE

Finalmente venne il gran giorno, il 23 giugno. Se lo spirito aveva detto la verità, sarebbe partito durante l’esorcismo di quel giorno. Il dott. Lupi, che ancora si sforzava di osservare i casi con la distaccata attenzione dello scienziato, era agitato dalla più viva curiosità. La signora e i familiari avevano trascorso un giorno e mezzo in attesa quasi frenetica.
All’appuntamento furono puntuali. Il dott. Lupi, nervoso più del solito, batteva con frequenza per terra il suo bastoncino. Tutti insieme pregarono con molto fervore in Chiesa e poi passarono alla sala degli esorcismi.
Come l’ultima volta, alle preghiere preparatorie l’ossessa non si mosse, non si scosse, ma pallida, disfatta, stava a capo chino sulla sua poltrona esattamente come un condannato starebbe sulla sedia elettrica. Alle prime parole dell’esorcismo si alzò con fatica, con fatica si distese sul materasso, e a occhi chiusi vi si irrigidì. Tutto come l’ultima volta. Il dott. Lupi osservava con gli occhi quasi fuori dalla testa, per lo sforzo di attenzione.
E iniziò l’ultimo drammatico colloquio, intervallato da misteriosi momenti di silenzio, che scarni movimenti delle braccia a malapena coprivano.
“In nome di Dio”. Cominciò l’esorcista “t’impongo di ubbidirmi in tutto ciò che ti comando. Hai capito?”.
Silenzio.
“Te lo impongo in nome di Dio, della Madonna. Ancora silenzio. “Se hai capito alza un braccio, altrimenti due”.
Lentamente con grande fatica, l’ossessa alzò un braccio. Lo spirito aveva capito.
E così fu ripetuta la promessa che in quel giorno sarebbe partito. Ma c’era, nei movimenti dell’ossessa, qualche momento di esitazione.
Seppero che, nel giorno trascorso, la Gilda era stata tormentata, ma che attualmente era libera. Seppero anche che gli altri familiari potevano ormai ritenersi liberi da ogni incubo.
“Ma i tuoi compagni verranno con te?” domandò l’esorcista.
Lo spirito non rispose.
“Se verranno, alza un braccio; se non verranno, alzali ambedue”.
L’ossessa alzò due braccia. Isabò solo partiva.
“Guarda che te li mando dietro tutti. Hai capito? Se verranno, alza un braccio, se no due”.
L’ossessa alzò le due braccia e le tenne alzate a lungo, con ostentazione. E anzi, a una nuova interrogazione del sacerdote, lentamente le mosse, sempre con ostentazione, in segno di diniego.
“L’ultima tua forza, quella che ti permetteva di fare qualsiasi male, è entrata veramente in N. N.?”.
V’era entrata. Isabò pareva sottolineare l’indipendenza dei suoi compagni – o, com’egli chiamava, le sue forze – rispetto alla nuova sua posizione di cattività. La forza che s’era impossessata di N. N. non ne sarebbe uscita, e nulla lasciava presumere che ne sarebbe uscita presto. I suoi compagni lo avrebbero degnamente sostituito nella seminagione del male.
Sdegnato, il Padre comandò: “Alzati e rigetta!”.
L’ossessa, quasi trascinandosi, si alzò e, a capo chino, con gli occhi a terra, andò a inginocchiarsi presso al catino. Si chinò e prese sforzarsi in terribili conati che le sconquassavano il corpo. Il sacerdote ingiungeva, ed essa sempre più si sforzava di ubbidire. Era una scena penosa. La povera signora aveva un aspetto cadaverico. Era disfatta.
“Rigetta!”.
L’ossessa, in uno spasimo estremo, si sforzò. Era inginocchiata, e teneva i gomiti appoggiati a due sedie poste ai lati. Ma da quella gola martoriata non uscì ancor nulla.
“Recitiamo il Sanctus” disse il Padre.
Allora soltanto l’ossessa riuscì a rigettare qualcosa, ma era poco. E la testa le si abbassava sempre più, quasi la vita ormai stesse per abbandonarla. Le sorressero la testa, perché non cadesse in avanti. “Sono le quattro e trentacinque minuti” disse con voce malferma. “Con tutta l’autorità che mi viene da Dio, io ti comando, spirito immondo, di uscire immediatamente da questo corpo. Se esci subito, ti confino nel deserto, nel centro del Sahara; se non esci subito, ti mando all’inferno”.
Queste parole riempirono la sala di un’atmosfera di solennità. Ma confinava col senso di epilogo di tragedia. I frati, il dottore, gli assistenti, le signorine erano pallidissimi. Si sarebbe udito il battito dei cuori. Neppure il fiato di respiro interrompeva la solennità del momento. Gli occhi di tutti erano fissi sull’ossessa, la quale, all’imposizione del sacerdote, mosse lentamente all’indietro il cuoio capelluto, e parve che un immenso parruccone da istrione le scivolasse via. Una grossa parrucca di lana caprina, che fece apparire ridicolo il volto ed enormemente dilatati gli occhi. Fissò gli occhi lacrimosi in faccia all’esorcista, che le stava seduto di fronte. Un atteggiamento da ebete. I muscoli del volto erano tutti rilassati, e il labro inferiore penzolava in giù. Nulla di umano era rimasto in lei. Questi occhi sbarrati e lucidi, quella bocca aperta, quel pallore cadaverico, quel parruccone malamente appoggiato sulla nuca: i presenti non poterono trattenere le lacrime.
Ma poi si udì una voce accorata, lamentevole: “Vaaado!”.
La testa dell’ossessa si abbatté di schianto sul catino, ed essa rigettò una gran quantità di roba.
“Và, và!” urlò il sacerdote improvvisamente pazzo di gioia.
Nel tempo stesso l’ossessa non sentì più il peso terribile della stola, né l’imposizione della mano. Con voce fresca, di donna giovane, esclamò: “Sono guarita!” e si guardò come esterrefatta d’intorno con gli occhi sbarrati, con lo sguardo che girava senza posa sul volto degli amici; ,a la sua bocca era atteggiata al sorriso. Il sorriso della liberazione.
“E la palla di cui diceva Isabò?” chiese P. Pier Paolo.
“La palla sarà nel catino” rispose il dottore, che si alzò in fretta, corse al catino e ficcò la canna nella roba rigettata. Meraviglia! La roba rigettata poté essere tutta sollevata dal bastone del dottore come fosse panno. E infatti si spiegò agli occhi degli stupefatti astanti come un velo bellissimo e amplissimo, tutto screziato dei colori dell’iride.
In fondo al catino, completamente all’asciutto, apparve la palla famosa tante volte descritta dallo spirito. Era una palla di salame, della grossezza di una piccola noce, con sette cornetti. Lo spirito aveva mantenuto la promessa.
La signora, in preda a una commozione senza limiti, piangeva. Ma era un pianto che, finalmente, le faceva bene. Anche le signorine avevano il fazzoletto agli occhi.
Il dottore, chino a indagare dentro il catino, e i frati, che con le mani giunte guardavano ora la signora e ora il Crocifisso, non sapevano che cosa dire. Ma ormai pregava per tutti la signora che, corsa a inginocchiarsi davanti all’altare, offriva all’altissimo i suoi convulsi singhiozzi.
Dal libro: E’ lui a far paura al demonio – (FINE)