venerdì 30 agosto 2019

L’OSSESSA DI PIACENZA (SECONDA PARTE)


L’OSSESSA DI PIACENZA
Intervista col diavolo
Cronaca di Alberto Vecchi
(SECONDA PARTE)

Il primo esorcismo di Padre Pier Paolo Veronesi
sulla donna ossessa di Piacenza

Il Padre Pier Paolo Veronesi, quasi per tranquillizzare la propria ansia, volle che agli esorcismi assistessero varie persone : non sarebbe stato da solo alle eventuali furie dell’ossessa. Inoltre chiese a un confratello, il Padre Giustino, che conosceva la stenografia, di voler fissare su carta lo svolgersi dei dialoghi.
Alle ore 14 del 21 maggio ebbe luogo il primo raduno per l’esorcismo. La signora, pallida, elegante, giunse seguita dal marito, dalla madre, da un amico di casa e da due signorine. Furono ricevuti da P. Pier Paolo, dal Padre Giustino e dal dottor Lupi.
La sala degli esorcismi, a S. Maria di Campagna, è situata al primo piano del Santuario. E’ una bella, spaziosa sala, dagli ampi finestroni a lungo battuti dal sole. Sul fondo della sala, un piccolo altare portatile, sul quale fu esposta, tra due candelieri, la teca del Santo legno della Croce. Davanti all’altare furono poste due sedie, che avrebbero dovuto servire da genuflessorio all’esorcista e al suo assistente per le preghiere preparatorie. Un poco più indietro, una poltroncina di vimini per l’ossessa, e ai lati della poltroncina, in semicerchio, altre sedie per gli assistenti e i testimoni. A destra dell’altare, la poltrona del medico; a sinistra, il banco dello stenografo e un piccolo tavolo con sopra la stola, la cotta, il Rituale romano, l’aspersorio e il secchiello dell’acqua santa.
La signora fu fatta sedere. Ai suoi lati si disposero, in piedi, gli assistenti, pronti per qualsiasi evenienza; le signore, un poco pallide, occuparono le sedie in semicerchio. Due Padri, in ginocchio davanti al piccolo altare, incominciarono a recitare le litanie dei santi; poi, come prescrive il Rituale, si volsero verso l’ossessa e continuarono a recitare le preghiere preparatorie, che sono lunghissime.
Quando i due sacerdoti arrivarono allo scongiuro potentissimo, l’ossessa, che sino allora era rimasta seduta, sbadigliando e stirandosi le braccia come fosse una belva che sta per sfegliarsi, subito alle parole dell’esorcismo: “Exorcizo te, immundissime spiritus, omne phantasma, omnis legio”, improvvisamente unite le mani alla punta dei piedi, si slanciò con mirabile eleganza in aria, e piombò poi, snodandosi come una biscia, in mezzo alla sala, rimanendovi sdraiata.
Il corpo della donna era totalmente trasformato. Il suo volto poi era orribile. Immediatamente accennò a scagliarsi contro l’esorcista, gridandogli con voce tonante: “Ma chi sei tu, che osi venire a combattere con me? Non sai che io sono Isabò, che ho le ali lunghe e i pugni robusti?”
E scaricò all’indirizzo del sacerdote un cumulo di ingiurie. L’esorcista, rotto dall’emozione, sulle prime si sentì come annientato; ma poi una forza nuova lo invase, e si sentì forte di uno spirito combattivo che egli non seppe umanamente spiegarsi.
Impose allo spirito di tacere: “Io, sacerdote di Cristo, impongo a te, chiunque tu sia, e te lo impongo per i misteri dell’incarnazione, della passione e della risurrezione di Gesù Cristo, per la sua salita al cielo, per la sua venuta al giudizio universale, di star fermo, di non far male né a questa creatura di Dio, né ai circostanti, né alle cose loro, e di ubbidire in tutto ciò che io ti comando”.
E, finito lo scongiuro, nel silenzio assoluto, in mezzo all’ansia dei presenti, incominciava il terribile interrogatorio, in cui avrebbero dovuto tenacemente a lottare il sacerdote e lo spirito, l’uno per farsi ubbidire, e l’altro per gettare in faccia all’avversario la sua sillaba preferita:NO.


A TU PER TU CON SATANA

“In nome di Dio, chi sei?” chiese con autorità l’esorcista.
“Isabò” urlò l’ossessa, svegliandosi dal suo silenzio, rossa in faccia e con gli occhi sbarrati.
“Che cosa significa Isabò?”.
“Tu hai dei nemici che …”.
“Che cosa significa Isabò?”.
Lo spirito aveva tentato di deviare subito il discorso, ma arrestato dalla seconda domanda del sacerdote, mordendosi le mani e le braccia, e tentando di afferrare l’abito dell’esorcista, gridò:”Significa essere fatturato così bene da non potersene più distaccare”.
“Che potere hai?”.
“Il potere che mi danno”.
“Che potere ti danno?”.
“Tante forze”.
“Da chi ricevi queste forze?”.
“Dalla persona in cui sa scongiurarmi”.
“Ma che italiano è questo?”.
L’ossessa ebbe come un fremito di sdegno:”Non sono italiano, io” urlò sarcasticamente, E uscì in una tempesta di ingiurie, che si rinnoverà moltissime volte durante tutti gli esorcismi.
Il sacerdote continuò imperterrito: “Donde vieni?”.
“Ma tu mi comandi come fossi il tuo servo”.
“Dimmi donde vieni”.
“No”.
“In nome di Dio, di quel Dio che tu ben conosci, dimmi donde vieni”.
Lo spirito, udito pronunziare il nome di Dio, girò altrove la faccia, come un toro infuriato che avesse ricevuto una bastonata sul muso, e rimase immobile, tra un sinistro silenzio, per parecchi secondi.
“In nome di Cristo” ripeté il sacerdote “per il suo Sangue, per la sua morte, dimmi donde vieni”.
“Dai deserti lontani”.
“Sei solo o hai dei compagni?”.
“Ho dei compagni”.
“Quanti?”.
“Sette”, rispose, dopo molti tentativi di tergiversazione. Questi compagni avevano nomi strani anch’essi.

IL MALEFICIO

Era impressionante il vedere come rapidamente l’ossessa mutasse l’espressione del volto e della voce: ora violento, ora sprezzante, ora sarcastico, sempre però ribelle e altero. Tuttavia, pur tra tutti i suoi atteggiamenti eccessivi, conservava una dignità, una compostezza d’abiti singolare. Inoltre, mai le uscì di bocca, oltre alle solite ingiurie, una vera volgarità di espressione.
“Perché sei entrato in questo corpo?” Chiese a un certo punto il sacerdote.
“Per un forte amore non corrisposto”.
“Non corrisposto da chi?”.
“Sei un imbecille”.
“Rispondi, chi non ha corrisposto a questo amore?”.
“Questo corpo” urlò lo spirito, dandosi un formidabile pugno sul petto.
“E perché non ti ha corrisposto?”.
Fiera, sdegnosa, suonò alta una risposta incredibile:”Perché ciò non è giusto”.
“Dunque questo corpo è una tua vittima”.
La conseguenza tratta dal P. Pier Paolo fu sottolineata da una risata orribile. L’ossessa rideva, ma questa volta a bocca chiusa, e assumendo un muso da maiale la cui vista gelò tutti in un brivido di spavento.
“Quando sei entrato in questo corpo?”.
Costretto da molti scongiuri, tra violentissimi sobbalzi, che misero a dura prova i muscoli degli assistenti, lo spirito rispose:”Nel 1913, il 23 aprile, alle ore 5 pomeridiane”.
Cosa tenebrosa! Egli era entrato nel corpo di quella, in seguito allo scongiuro di uno stregone, per mezzo di un bicchiere di vino, di un poco di carne di salame, e di qualche goccia di sangue.
“Davvero?” chiese l’esorcista.
“Per mezzo di salame e d’un bicchiere di vino bianco contemporaneamente a delle parole”.
Era evidentemente il caso di chiedere quali fossero le parole magiche; ma in una confusione così spaventosa, con lo spirito che si agitava, urlava, minacciava continuamente, il P. Pier Paolo se ne dimenticò.
“Hai invaso solo questo corpo o anche i membri della famiglia?”.
“Anche i membri della famiglia”.
“Dammene una prova”.
“Quando questo corpo sta male, anche la famiglia è indisposta”.
“Caso di telepatia”.
“Imbecille!”.
“Quanto tempo hanno impiegato per farti entrare in questo corpo?”.
“Sette giorni”.
“In che luogo fu commesso il delitto?”.
“In una casa qui a Piacenza”.
“In quale casa?”.
“Non chedere” gridò allarmato lo spirito; “non si può”.
“E allora vattene”.
“No”.
Il sacerdote rinnovò l’esorcismo: “Vattene!”.
“Mai!”. Fu come uno schianto.
“T’impongo di uscire!”.
“ Non esco. Sono Isabò”. E in un impeto di ribellione si sbarazzò degli assistenti, e con le mani adunche, con gli occhi lampeggianti, si slanciò contro il sacerdote, gli afferrò l’abito. Gli strappò la stola, dilaniò questa con furore, gridando: “Hanno impiegato sette giorni per farmi entrare, e tu vuoi farmi partire da questo corpo con un solo esorcismo?”.
Era un momento critico. Tutti erano in moto. Solo il dottore stava fermo, impassibile, con gli occhi fissi sulla scena. Il sacerdote benedì l’ossessa con l’acqua santa, e quella, contorcendosi, raggomitolandosi.
“Quando uscirai?”.
Un’espressione di profonda amarezza mutò il volto dell’ossessa: “Come debbo fare se, mentre tu lavori perché io vada, altri stanno lavorando perché resti?”.
“Esci!” disse l’esorcista, ponendo il lembo della sua stola sulla spalla della signora.
Appena sentito il contatto della stola, la donna, che era sdraiata supina per terra, strisciò via sul pavimento come una biscia; pazza di terrore urlò: “Levatemi questo peso!”.
“Fermati!” comandò l’esorcista. Ma l’ossessa non obbedì e continuò a fuggire gridando:”Levatemi questo peso! Levatemi questo Peso!”.
Le scene si facevano sempre più orribili, sempre più agghiaccianti. Ma poi lo spirito fu costretto a rispondere: “Uscirò quando avrò rigettato la palla che ho nel ventre”. Si trattava della palla di salame col quale era stato compiuto il maleficio.
“Rigetta!”.
L’ossessa, con un balzo formidabile, fu sul catino, già preparato, e rigettò qualcosa. Da notarsi che l’ossessa non ebbe mai, durante gli esorcismi, a rigettare i cibi mangiati durante i precedenti pasti; quando rigettava, essa rigettava soltanto la roba presa per maleficio nel 1913.
“Dimmi, immondo spirito, le parole che ti fanno soffrire di più”.
Il sacerdote voleva costringere l’ossessa a rigettare tutta la roba malefiziata. Essa si rivolse verso l’esorcista con terrore, e non rispose. Ma quando le fu reiterata la domanda, con uno scatto indescrivibile di spavento e di ribellione, urlò:”No!”. Era decisa a combattere. E combatté duramente, finché, dopo un momento di incertezza e paura profonda, non ebbe finalmente a scandire, nel silenzio profondo della sala: “Sanctus! Sanctus! Sanctus!”.
In effetti il trisagio la annientava. Quando il sacerdote invitò tutti gli astanti a recitarlo, il corpo dell’ossessa si agitò violentemente, balzò ripetutamente in aria, emettendo urla spaventose. Era una scena impressionante. Un piccolo coro di voci si raccomandava a Dio, e, potentissima, la voce dello spirito, urlava e minacciava. Persino il dottore, era balzato in piedi, pallido, attento.
Ma l’esorcismo era ormai durato troppe ore, e la signora era addirittura sfinita. Dopo aver imposto allo spirito di non far male ad alcuno, il sacerdote pose fine all’esorcismo. Era ormai notte.
“Non farò niente di male a questo corpo, né alla sua famiglia”.
Lo spirito fissò cupamente gli occhi sul sacerdote. Poi, improvvisamente animato, girò gli occhi attorno, in alto, sulle pareti, come se seguisse una cavalcata di spettri. Un brivido lo scosse, ed egli rientrò nel mistero.
Dal libro: E’ lui a far paura al demonio
(Continua la 3 P.)