Mistici e Angeli: un rapporto plurisecolare
di un genere particolare
La devozione ai Santi Angeli, ci stimola potentemente nella nostra scesa quotidiana verso la santità. Bisognerebbe scrivere un’enciclopedia unicamente sul rapporto tra i mistici e gli Angeli, perché è notevolissimo il numero dei cristiani santi che hanno avuto una grande familiarità con gli Spiriti Celesti. In questo mio intervento tratterò il ruolo degli Angeli in alcuni mistici di grande spiritualità per dimostrare come il mondo della santi e quello angelico si intreccino in continuazione. Nei primi secoli del cristianesimo, i primi Santi riconosciuti sono i martiri che hanno effuso il loro rosso sangue per testimoniare fedeltà a Cristo. Il cristianesimo antico attraverso le narrazioni degli Acta Martyrum e le Passiones offre numerosi incontri tra Angeli e Santi martiri, anche se taluni hanno un alone di leggenda. Dio sosteneva i suoi eroi ed inviava i suoi Angeli a sostenerli nella prova della persecuzione. Questi Spiriti Celesti effondevano nei martiri una forza divina che addolciva ...
... le loro sofferenze crudeli e rendevano più sopportabile ad essi subire le torture dei loro carnefici. Ricordiamo che nelle vite dei martiri dal I al IV sec.: San Teodosio, Santa Agnese, Santa Dorotea, Santa Teolalia, Santa Cecilia, San Vincenzo di Saragozza, San Lorenzo, San Venanzio e i Santi Clemente e Acatangelo, gli Spiriti Celesti sono continuamente presenti. Nei secoli seguenti, gli Angeli si affiancheranno al cammino di santificazione degli anacoreti e delle vergini. Per motivi di spazio, citerò adesso solo alcuni esempi del rapporto mistici e Angeli.
San Francesco d’Assisi nacque verso il 1182, e dopo una gioventù libertina, si convertì alla fede e ricevette addirittura da Dio le Stigmate. Il suo biografo, San Bonaventura da Bagnoregio, così descrive questo episodio cruciale della vita del Santo di Assisi: “Una mattina, verso la festa dell’Esaltazione della Croce, mentre pregava in un luogo appartato del monte, vide scendere dal cielo un Serafino con sei ali infuocate e risplendenti. Quando questi, con volo rapidissimo, giunse nell’area vicino al luogo dov’era l’uomo di Dio, tra le ali apparve l’immagine di un uomo crocifisso…Delle ali, due si alzavano sul capo, due si aprivano al volo e due ricoprivano tutto il corpo. A questa vista, il Santo rimase stupefatto, mentre il suo cuore fu preso da un sentimento misto di tristezza e di gaudio. Si rallegrava, infatti, dello sguardo pieno di grazie col quale si vedeva guardato da Cristo apparsogli sotto l’immagine di un Serafino; ma, a vederlo crocifisso, l’anima sua si sentiva trapassata dalla spada d’una dolorosa compassione. Era sommamente meravigliato per questa visione che gli sembrava incomprensibile, sapendo bene che il dolore della passione non si concilia in alcun modo con la beatitudine di un Serafino. Alla fine, però, il Signore gli fece comprendere che tale visione era stata offerta ai suoi occhi dalla Provvidenza Divina, affinché questo amico di Gesù Cristo fosse preavvertito che sarebbe stato totalmente trasformato per assomigliare a Cristo crocifisso, e non con il martirio della carne ma con incendio amoroso del suo spirito. Quando la visione scomparve, lasciò nel cuore di Francesco un meraviglioso fervore, ma anche nella carne di lui, erano rimasti impressi i segni non meno meravigliosi della passione di Cristo. Subito, infatti, cominciarono ad al apparire nelle mani e nei piedi di lui i segni dei chiodi, come poco prima l’immagine dell’uomo crocifisso”.
Ho citato questo fatto delle vita del poverello di Assisi perché diversi biografi, antichi e moderni del Santo, ritengono che il Serafino fosse l’Arcangelo San Michele perché in quel periodo San Francesco stava praticando la Quaresima di San Michele (dal 14 agosto al 29 settembre), imponendosi digiuni e penitenze in onore del Principe delle Celesti Milizie. Sempre San Bonaventura racconta un altro episodio angelico nelle vita del Santo Patrono d’Italia: “Essendo Egli tanto debole a causa delle sue infermità, ebbe il desiderio di ascoltare il suono di qualche strumento a sollievo del suo spirito. Ed ecco che a soddisfare il desiderio del Santo venne una schiera di Angeli”. Questa musica celestiale fu udita anche dagli altri frati che si trovavano presso il suo capezzale.
Santa Teresa d’Avila (1515-1582), grande riformatrice dell’Ordine Carmelitano, ebbe numerosi incontri con gli Angeli, e fu la prima donna ad essere proclamata “Dottore della Chiesa”. S. Teresa fu la mistica che ebbe quel misterioso incontro tra un essere umano e un essere celeste che spesso è stato raffigurato da pittori e scultori. Tale storico incontro fu reso famoso dal grande scultore Bernini che scolpì la famosa “Estasi di Santa Teresa”. La mistica spagnola così descrive tale incontro celestiale: “Vedevo vicino a me, sul lato sinistro, un Angelo con sembianze corporee. Era piccolo e molto bello; con il suo viso appassionato pareva essere tra i più elevati tra coloro che sembrano incendiati d’amore, che io chiamo Cherubini poiché non mi hanno mai rivelato il loro nome. Ma vedo chiaramente nel cielo una così grande differenza tra certi Angeli e altri che non saprei nemmeno spiegarla. Vedevo dunque l’Angelo che teneva in mano un lungo dardo in oro, la cui estremità di ferro pareva infuocata. Mi sembrava che lo conficcasse dritto nel mio cuore, fino a giungere alle viscere. Quando lo estrasse, si sarebbe detto che il ferro le avesse portate via con sé e mi lasciò tutta immersa in un infinito amore per Dio. Il dolore era così vivo che mi faceva emettere grida fortissime. Ma la soavità procuratami da quell’incomparabile tormento è così immensa che l’anima non poteva desiderarne la fine, né accontentarsi di altro al di fuori di Dio. Non è una sofferenza corporale, bensì spirituale…E’ uno scambio d’amore così dolce tra Dio e l’anima che subito il Signore di degnarsi, nella sua immensa bontà, di elargirne altrettanto a colori che presteranno fede alle mie parole. Le attività degli Angeli sono state uno degli oggetti preferiti della contemplazione di San Tommaso d’Aquino (1225-1274). Il massimo genio di tutti i tempi della teologia cattolica era talmente affascinato dal mondo angelico che i posteri lo definirono ‘Doctor Angelicus’.
Nella biografia del Santo Aquinate si narra che una donna perfida aveva teso delle trappole maliziose alla sua castità, San Tommaso aveva pregato Dio con le lacrime agli occhi di preservarlo per sempre dal vizio dell’impurità sessuale. Si era addormentato e durante il sonno vide due Angeli che gli stringevano le reni con una cintura dicendogli che la sua preghiera era stata esaudita. Ora, il dolore che percepì in quel momento fu così vivo che emise grandi urla di sofferenza. Egli confidò più tardi a fra Reginaldo, suo segretario, il favore angelico che aveva ricevuto e vicino alla morte, dichiarò al suo confessore l’immunità dal vizio impuro con cui Dio lo aveva gratificato. In se stessa, la visione in sogno potrebbe essere stata immaginativa, ma l’azione esercitata dagli Angeli sui suoi reni fu incontestabilmente fisica, poiché il Santo domenicano testimoniò con grandi urla il dolore che soffrì. Per ricompensare la dedizione del suo affezionato segretario, Fra Reginaldo da Priverno, compose il “De Substantis Separatis”, che è un magnifico trattato sugli Angeli dei quali tratterà spesso sia nella Somma teologica che nella Somma filosofica. Gli Angeli Custodi, egli scrive, ci istruiscono illuminando le nostre immagini, fortificando il lume della nostra intelligenza, portandoci ad una migliore conoscenza della realtà.
Santa Giovanna D’Arco (1412-1431), patrona della Francia, era una semplice ‘contadinella’ quando, ispirata da Dio, lasciò la casa paterna per farsi guerriera e per liberare la Francia dagli invasori inglesi. Accusata ingiustamente di eresia, morì martire sul rogo preparato per lei dai suoi stessi commilitoni cattolici. Santa Giovanna d’Arco fornì ai giudici ecclesiastici, questa preziosa testimonianza di come gli Angeli le affidassero il compito di riscattare la sua patria e le guidarono nelle azioni da compiere: “Quando avevo all’incirca tredici anni cominciai a udire la voce di Dio che mi guidava per la prima volta provai una grande paura. Sentii quella voce, durante l’estate, nel giardino di mio padre verso l’ora di mezzogiorno….Essa proveniva dal lato destro dov’era la chiesa e di rado la sentivo senza vedere anche un forte chiarore nella stessa direzione. Sentì poi la voce tre volte e compresi che si trattava della voce di un Angelo….La prima volta pensai che fosse l’Arcangelo Michele ed ebbi molta paura; successivamente lo vidi molte volte, prima di sapere che era proprio lui. Vidi l’Arcangelo e gli Angeli con questi miei occhi così come vedo voi. E quando si allontanarono da me piansi perché avrei voluto che mi portassero con loro….Dissi alla voce che ero una povera ragazza e che non sapevo né cavalcare ne fare la guerra”.
La Beata Angela da Foligno (1248-1309), così scrisse riguardo agli Spiriti Celesti: “Provavo una tale gioia per la presenza degli Angeli e i loro discorsi mi riempirono di così tanta felicità che non avrei mai creduto che i Santissimi Angeli fossero così gentili e capaci di donare alle anime tali delizie. Avevo pregato gli Angeli, in modo particolare i Serafini e i Santissimi Custodi mi dissero: Ora ricevi quello che i Serafini possiedono e potrai così partecipare alla loro gioia”. Un’altra volta la Beata Angela da Foligno così scrisse: “Scorsi nella mia anima due gioie perfettamente distinte: una proveniva da Dio, l’altra dagli Angeli e non si assomigliavano. Ammiravo la magnificenza di cui il Signore era circondato e chiesi come si chiamava ciò che stavo osservando. Sono i Troni disse la voce, e la moltitudine era abbagliante e infinita tanto che, se il numero e la misura non fossero leggi della Creazione, avrei creduto che la folla sublime davanti ai miei occhi fosse innumerevole e smisurata. Non scorgevo né l’inizio né la fine di quella folla il cui numero trascende le nostre cifre”.
Nel XVI secolo, Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), il fondatore della compagnia di Gesù, parla degli Angeli nel suo famoso libro Esercizi Spirituali del 1535. Nelle regole volte al maggior discernimento degli Spiriti, Sant’Ignazio annota: “Prima regola: è proprio di Dio e degli Angeli conferire nei loro motivi vera letizia e gioia spirituale, togliendo ogni tristezza e ogni turbamento a cui induca il nemico”. L’angelo è quindi per Sant’Ignazio, il Messaggero della vera armonia, e quando entriamo in comunicazione con questo essere celeste, corpo e anima esultano e abbandonano qualsiasi legame insito nella fragilità della nostra condizione.
Per Sant’Ignazio, a seconda della nostra intima disposizione ad accogliere l’Angelo, esso diventa consolatore o vendicatore come scrive nella settima regola: “A quelli che procedono di bene in meglio, l’Angelo Buono tocca l’animo in modo dolce, lieve e soave, come goccia d’acqua che entri in una spugna; e il cattivo gli tocca l’animo invece in modo pungente, e con rumore e disturbo, come quando la goccia d’acqua cade sulla pietra; e a quelli che procedono di male in peggio, i suddetti spiriti toccano l’animo in modo contrario essendo la disposizione dell’anima o contraria o simile a tali Angeli, infatti, quando è contraria, essi entrano con strepito e facendosi sentire percettibilmente; mentre quando è simile, lo Spirito entra in silenzio come in casa sua a porte aperte”. Questo insegnamento sugli Spiriti Angelici fu accolto e vissuto da numerosi gesuiti che ebbero il merito per molti secoli di essere coloro che diffusero il culto cattolico agli Angeli Custodi nella Chiesa. San Francesco Saverio (1506-1552), prossimo ad andare in Giappone, così scriveva ai suoi confratelli missionari gesuiti di Goa in India: “Vivo nella grande speranza che Dio mi stia per concedere la grazia della conversione di questi paesi, poiché non fidando in me stesso, ho posto ogni mia fiducia in Gesù Cristo nella SS. Vergine Maria e in tutti i Nove Cori degli Angeli, fra i quali ho eletto per protettore il Principe e Campione della Chiesa militante San Michele; e non poco spero in quell’Arcangelo alla cui speciale cura è stato affidato questo gran regno del Giappone. Ogni giorno mi raccomando a questi in modo particolare e a tutti gli Angeli Custodi dei giapponesi”.
Un altro Santo gesuita fu San Luigi Gonzaga (1568-1561) da uno scritto del quale apprendiamo i suoi propositi e le sue pratiche devozionali in onore dei Santi Angeli: “Immaginerai di trovarti fra i Nove Cori degli Angeli che stanno facendo orazione a Dio e cantando quell’inno: “Sanctus Deus, Sanctus Fortis, Sanctus Immortalis, Miserere nobis”, però ripetendolo tu ancora nove volte, farai con essi la loro orazione. All’Angelo Custode ti raccomanderai particolarmente tre volte al giorno: la mattina con l’Angele Dei, la sera con la stessa orazione e durante il giorno quando vai in chiesa a visitare gli altari. Fa conto che dal tuo Angelo devi essere guidato come un cieco, che non vedendo i pericoli della strada si mette del tutto nella provvidenza di quello che per mezzo del bastone lo guida”. Un altro Santo gesuita, San Stanislao Kostka (1550-1568), una volta raccontò ad un novizio gesuita suo compagno: “Sappiate che essendomi ammalato a Vienna, in Austria, nella casa di un protestante, e desiderando ardentemente ricevere la Santa Comunione, mi affidai con devozione a Santa Barbara e, mentre il mio cuore era colmo di questo desiderio, apparvero due Angeli nella stanza e con essi la Santa Martire ed uno degli Angeli mi dette la Sacra Particola”. Un’altra volta sempre San Stanislao, stava viaggiando a piedi attraverso la Germania diretto a Roma, vide una chiesa che una volta era stata cattolica, i fedeli vi stavano entrando ed egli fece lo stesso. Ma si accorse che quel luogo sacro era diventato un tempio protestante. Ne fu profondamente addolorato, ma la sua afflizione si trasformò in gioia quindi vide un gruppo di Angeli venirgli incontro e uno di essi teneva la Santa Osta tra le dita. San Stanislao cadde in ginocchio e ricevette la comunione direttamente dalle mani dell’Angelo.
La monaca domenicana Santa Rosa da Lima (1586-1617), ebbe grande familiarità con il proprio Angelo Custode, più di una volta quando la Santa era ammalata, le portò le medicine necessarie per curarla. San Filippo Neri (1515-1595), fu salvato dal suo Angelo Custode che lo sollevò talmente in alto da evitare che il Santo, fondatore de preti dell’Oratorio, fosse travolto da una carrozza trainata da quattro cavalli imbizzarriti che a pazza velocità attraversavano uno stretto vicolo di Roma. Un’altra volta a San Filippo Neri, si fece innanzi un povero o per chiedergli l’elemosina, il Santo stava per dare prontamente tutte le poche monete di cui disponeva, ma l’altro disse sorridendo: “Io volevo vedere solamente quello che tu sapevi fare” e scomparve. San Filippo Neri in seguito confidava tale episodio a due suoi amici sacerdoti, affermando che il pezzente era il suo Angelo Custode che aveva fatto ricorso a questo travestimento per fargli capire sempre più quanto la carità ai poveri fosse gradita a Dio e ai suoi Angeli. San Gerardo Maiella (1726-1755), da bambino a otto anni stava per accostarsi con gli altri fedeli per ricevere la Santa Comunione, ma fu mandato indietro dal sacerdote celebrante, perché a quei tempi, la Santa Comunione, si riceveva ad un’età maggiore. Confuso ed afflitto, il piccolo Gerardo si mise a piangere, ma la notte seguente, per mano dell’Arcangelo Michele, il Signore si donava a lui nella Santa Comunione. Gerardo confidò alla signora Emanuela Vetronica e ad altre persone di famiglia: “Ieri il prete non volle comunicarmi, ma questa notte sono stato comunicato dall’Arcangelo San Michele”. Quando San Gerardo, prossimo alla morte riceverà l’ordine dai superiori della sua Congregazione del SS. Redentore di rivelare i segreti dell’anima sua, egli non farà che confermare l’accaduto. Inoltre, è anche degno di nota che il Santo redentorista desse sempre il posto d’onore all’immagine dell’Arcangelo San Michele.
Santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690), appartenente all’ordine delle Visitantine, confidò: “Avevo spesso il conforto di godere della presenza del mio fedele custode e di essere da lui ripresa e corretta. Una volta, essendomi voluta intromettere a parlare del matrimonio di una mia parente, egli mi fece capire che ciò era indegno di un’anima religiosa e me ne riprese severamente fino a dirmi che, semmai fossi tornata ad occuparmi di simili intrighi, egli mi avrebbe nascosto il suo volto”. San Giovanni Bosco (1818-1888), il fondatore della Congregazione Salesiana, scrisse un opuscoletto popolare per diffondere il culto degli Spiriti Celesti intitolato Il devoto dell’Angelo Custode. La devozione agli Angeli era così naturale che don Bosco, un giorno, udendo un gruppo di operai che cantavano i loro stornelli ben ritmati, li imparò subito e ne scrisse le note, poi chiese a Silvio Pellico di comporgli alcuni versi che fossero una piacevole canzoncina all’Angelo Custode. Il Pellico accettò e ne venne fuori una popolarissima canzone che piaceva tanto ai giovani del suo oratorio. Tra questi vi fu San Domenico Savio ( 1842-1857), una volta sua sorella Raimonda, cadde in uno stagno, Domenico si tuffò subito nell’acqua pur non sapendo nuotare. “Dove hai preso tanta forza? –gli avevano chiesto alcuni ammiratori del suo gesto – Non ero solo- aveva risposto sereno il ragazzo- io reggevo Raimonda, ma a sorreggere me c’era l’Angelo Custode”. Un’altra volta il sole di Luglio infiammava la campagna di caldo afoso, e i contadini avevano sospeso il lavoro. Un agricoltore, vedendo passare il Santo adolescente gli chiese:” Non hai paura di andartene tutto solo per queste strade deserte?”. “Non sono solo”, rispose San Domenico Savio. “Non vedo nessuno con te”. “Voi non vedete nessuno, eppure c’è: è il mio Angelo Custode”.
Santa Caterina Labourè (1806-1876), è la suora della Carità di S. Vincenzo De Paoli che ha promosso e diffuso la devozione alla medaglia miracolosa della Madonna di Rue du Bac . Era la Notte del 18 luglio 1830 e suor Caterina riposava, quando si sentì chiamare per ben tre volte da una voce. L’allora novizia spostò le tendine del suo letto e vide un bellissimo fanciullo vestito di bianco, la fronte era aureolata di cerchi luminosi. Caterina subito comprese che questo bambino era il suo Angelo Custode e le disse: “Vieni in cappella, là ti attende la Beata Vergine. Io ti accompagno!”. Erano circa le 23,30. Suor Labourè seguì il suo Angelo che le si pose a sinistra e l’accompagnò per le stanze del monastero. Al suo passaggio lo Spirito Celeste diffondeva intorno a sé raggi di luce; le porte si aprivano appena le toccava con la punta del dito e le lampade si accendevano automaticamente. Arrivati in cappella, la novizia andò alla balaustra e in ginocchio incominciò a pregare mentre l’Angelo entrò ne presbiterio e si pose a sinistra dell’altare e a mezzanotte le annunciò: ”Ecco la Santa Vergine!”. La Madonna le parlò a lungo della missione che la suora avrebbe dovuto svolgere per la Gloria di Dio e poi scomparve. Suor Caterina fu quindi accompagnata di nuovo dal suo Angelo Custode e ritornò in dormitorio quando già erano le due.
Concludo questa mia rapidissima e in completissima carrellata sul rapporto mistici e Angeli, con un Santo del XX secolo: Padre Pio da Pietrelcina (1887-1968). La presenza dell’Angelo Custode nella vita di padre Pio, viene segnalata già da quando questi era un giovane sacerdote convalescente nel suo paese natio. Spesso il Santo cappuccino si dava poco pensiero di chiudere la porta di casa ogni volta che ne usciva. A chi gliene faceva rimprovero era solito rispondere: “C’è l’Angiolino che mi fa la guardia alla casa”. “ Che l’Angelo ti accompagni”, spesso augurava il padre al pellegrino in procinto di lasciare il convento, e un’altra espressione angelica che pure ricorreva frequentemente sulle sue labbra era: “Che l’Angelo di Dio ti sia luce, aiuto, forza, conforto e guida”. Dai diari di San Pio emerge chiaramente la sua lotta con lo spirito delle tenebre, ma anche la consolazione e la protezione che il suo Angelo Custode gli offriva.
Don Marcello Stanzione (Ri-Fondatore della M.S.M.A.)