Cosa è lo Yoga?
Lo
Yoga è un complesso sistema filosofico-ascetico fiorito in India tra
il VII e il V secolo a.C. I sistemi filosofici connessi allo yoga non
basandosi sui testi sacri dei Veda
ma
su testi successivi, variamente articolati da scuole di pensiero
differenti, non sono considerati ortodossi dai brahmini
(=
sacerdoti dell'Induismo), pertanto lo yoga è una via di salvezza che
può essere raggiunta senza l'intervento rituale dei sacerdoti e
mediante la sola autodisciplina personale. Peraltro
l'induismo afferma che Buddha incarna l'illusione e l'errore perchè
allontanò dalle regole dei Veda
inducendo
molti a non tener conto delle gerarchie sociali e delle caste.
Comunque
la speculazione indiana ha una preoccupazione esclusivamente
soteriologica e vuole svincolarsi dalle passioni che incatenano
l'uomo al divenire, al samsara,
e conseguire la liberazione (moksa),
sia che per "liberazione" si intenda con le scuole
"ortodosse", il ricongiungimento dell'anima individuale
(atman)
con la suprema realtà (Brahman),
sia che per essa si intenda invece, col Buddhismo, il conseguimento
del nirvana
cioè
dell'estinzione; le quattro "nobili verità" del Buddha
sono: 1)tutto è dolore, 2)estinguire la brama o "sete",
3)sopressione della "sete" con il distacco, 4)sentiero di
salvezza (retta
visione/risoluzione/parola/azione/vita/sforzo/consapevolezza/concentrazione).
Nei sei darshana
(lett.
punto
di vista)
più importanti,
redatti
dal 550 a.C. al 1100 d.C., che interpretano variamente i Veda
troviamo
lo Yoga
e
Samkya.
Afferma
il più grande antropologo del secolo scorso, Mircea Eliade: "Per
il Buddha, come d'altronde per tutto il pensiero indù, l'esistenza
umana era votata alla sofferenza per il fatto stesso che si svolgeva
nel Tempo... Semplificando, si può dire che la soffernza è fondata
e indefinitamente prolungata nel mondo dal karma, dunque dalla
temporalità: proprio la legge del karma impone le innumerevoli
trasmigrazioni, il ritorno eterno della esistenza e quindi della
sofferenza. Liberarsi dalla legge karmica, strappare il velo della
maya, equivale alla guarigione... Le filosofie, le tecniche ascetiche
e contemplative, le mistiche indù perseguono tutte lo stesso scopo:
guarire l'uomo dal dolore dell'esistenza nel Tempo. Proprio
'bruciando' fin l'ultimo germe di una vita futura si abolisce
definitivamente il ciclo karmico e ci si libera del Tempo... La
'guarigione' radicale della sofferenza esistenziale si ottiene
ripercorrendo a ritroso il cammino delle vite precedenti fino
all'illud tempus, e questo implica l'abolizione del Tempo profano...
fino a ricongiungersi al Non-Tempo o eternità.... Il Buddha come la
maggior parte degli yogi, non si interessa delle vite precedenti ma
si sforza di neutralizzare le conseguenze che queste cause prime
hanno generato per ciascun individuo in particolare. L'importante è
spezzare il ciclo delle trasmigrazioni" (Mircea
Eliade, Miti
sogni e misteri,
ed Lindau, Torino 2007, pp.48-51).
Nei
primi secoli dell'era cristiana, il termine yoga assunse un
significato più ristretto e preciso e diventò la designazione di
una delle sei scuole filosofiche ortodosse, le quali non sono sistemi
omogenei ma un insieme di riflessioni, di pratiche ascetiche e di
considerazioni morali. Il redattore dei testi più noti e trasmessi
da asceta ad asceta mediante l'insegnamento diretto fu Patañjali
la
cui epoca di nascita è assai dibattuta: oscilla infatti, dal II
secolo a.C. ai primi secoli dell'era cristiana. Lo yoga di Patañjali
presenta
nello Yogasutra
la
dottrina samkya,
unitamente
alla nozione teistica di Ishvara,
ambedue
intrecciate con la dottrina della Shakti
o
Devi
o
Grande
Dea del
tantrismo. Ishvara
(lett.
Signore) in Patanjali
ha
come unica funzione il concedere un certo favore allo yogin
che
scelga di utlizzarlo come sussidio meditativo. Successivamente le
correnti devozionali venute a contatto con il Vedanta
hanno
attribuito a Ishvara
la
regolazione del processo cosmico e della retribuzione karmica.
La
dottrina samkya
afferma
che la redenzione avviene quando il purusha
(essenza
spirituale dell'uomo) prende coscienza che egli nulla fa e sente e si
separa definitivamente dalla prakti
(natura)
per ritornare alla sua eterna e immutabile passività. La dottrina
Ishvara,
parla di una monade spirituale suprema da cui procedono per
polarizzazione interna sia purusha
e
prakrti.
Lo yoga descritto nello Yogasutra
dal
redattore Patanjali
è
detto Yoga
classico. Lo
Yogasutra
si
divide in quattro parti ciascuna indirizzata a una categoria di
yogin: il provetto (yogarudha),
il proficiente (yunjana)
e il principiante (aruruksu).
I primi due intraprenderebbero lo yoga partendo da stadi già elevati
e pertanto nelle vite precedenti avrebbero già progredito. Mentre al
yogarudha
basta
il primo libro in cui sono descritte le acquisizioni gnostiche
enstatiche (samadhi),
al yunjana
e
all'aruruksu
sono
dedicati il secondo e il terzo libro in cui è sviscerato l'intero
corso yogico
ottopartito.
Lo scopo è l'enstasi, non l'estasi mistica, cioè il chiudersi alla
trascendenza [atteggiamento anticristiano] e il ripiegamento su di sè
o il Sè supremo (per lo yoga sono la stessa cosa!) perchè la natura
o
prakrti
o shakti o kundalini riassorba
il "complesso
mentale"
determinando l'estinzione dell'io e l'essenza
spirituale dell'uomo o
purusha
o Shiva
risplenda
nella sua liberazione-autodivinizzazione. La differenza tra enstasi
ed estasi è ben rappresentata dalla morte, rispettivamente, del
Buddha e di Cristo; Buddha è morto con le gambe nella posizione del
loto guardandosi l'ombelico completamente estraniato e ripiegato su
di sè; Cristo è morto crocefisso, sospeso tra cielo e terra, con lo
sguardo completmante rivolto al Padre, portando a Dio nella sua carne
sofferente per amore tutto il dolore dell'umanità.
La
prakrti
o
natura
o
Shakti
a
sua volta si può manifestare in tre diversi modi
di essere o "potenze" detti "guna" (lett.
"qualità") che sarebbero "sostanze
onnipervadenti estremamente sottili" che
a seconda di come sono presenti implicherebbero le differenze tra gli
esseri e degli aspetti del mondo: 1)sattva
(natura
stabile o shivaica
dell'essere:
leggerezza, luminosità, intelligenza); 2)rajas
(natura
in espansione: passione, energia); 3)tamas
(natura
statica o esaurita: tenebre, inerzia). Se rajas
è
improntato da sattva
ci
sarebbe una forza espansiva si sviluppo dell'essere ma se rajas
è
improntato dal tamas
ci
sarebbe un processo di dissoluzione e caduta dell'essere. Vi
sarebbero uomini tamasici,
rajasici e sattvici,
ossia individualità in cui predominano, rispetivamente, la qualità
tamas,
rajas o sattva. Solo
agli uomini rajasici
e sattvici sarebbe
possibile proporre lo Yoga
o i sadhana. Addirittura
i tamasici vengono definiti dai tantrici pushu, uomini in cui prevale
l'istinto animalesco o sono presi da bassi interessi, per cui
"nell'età
Kalì-yuga, ossia nell'età ultima, esistono esclusivamente esseri
aventi natura da pushu" (Julius
Evola, Lo
Yoga della potenza,
ed Mediterranee, Roma 2006, pp.73.74). I tantrici definiscono gli
indù che si limitano alla pratica devozionale-religiosa, con
disprezzo, dei pushu
e
attribuiscono a loro stessi il titolo di vira,
cioè dell'eroe o uomo virile, determinato essenzialmente dal
rajas-guna
a
cui solo è riservato il rituale segreto (pancatattva), l'uso del
sesso con le esperienze orgiastiche, della crudeltà e di bevande
inebrianti. Il vira
o siddha o kaula è
colui che si identifica in modo completo con la Shakti
e per il quale non esiste più proibizione alcuna perchè il karma
non
ha presa e cessa di avere qualsiasi senso qualsiasi distinzione,
anche tra bene e male potendo unire tantricamente lo yoga
(disciplina)
al bhoga
(fruimento
delle passioni) restando spiritualmente invulnerabile (Cfr. Julius
Evola, Lo
Yoga della potenza,
ed Mediterranee, Roma 2006, p.75). Lo scopo dei tantrici è riassunto
dal Mahanirvana-tantra: "Tu
o Devi (Shakti) sei il mio vero Io. Perchè fra me e te non vi è
alcuna differenza" (Cfr.
Julius Evola, Lo
Yoga della potenza,
ed Mediterranee, Roma 2006, p.124). Il pericolo estremo di questa
strada viene enunciato da "maestri" come Anandavajra: "Con
gli stessi atti che fanno bruciare alcuni uomini negli inferi per
interi eoni lo yogi ottiene la liberazione". Cosa
succede se il tantrico non riesce a controllare la Shakti
o Ki o Kundalini o Prana? Afferma
il tantrico Julius Evola: "Se
la shakti prende il sopravvento potrebbero verificarsi forme di
ossessione tali da far retrocedere la persona in questione nella
condizione di essere 'demonico', strumento completo della forza
evocata che essa si era illusa di dominare" (Julius
Evola, Lo
Yoga della potenza,
ed Mediterranee, Roma 2006, p.85). Ai vira
sono
da riferire: 1)le esperienze connesse al rituale segreto; 2)i metodi
di rottura decondizionalizzante; 3)l'uso magico ed evocatorio dei
riti per percezione di forze sovrasensibili tramite i talismani
magici chiamati mandala
e
yantra.
Ma "questa
visione magica simbolica del mondo è il presupposto non solo di
tutto il rituale dei gradi tantrici intermedi ma anche di buona parte
dello yoga in senso stretto e sovraordinato" (Julius
Evola, Lo
Yoga della potenza,
ed Mediterranee, Roma 2006, p.86).
Dalla
macedonia dei guna
dipenderebbere
come il principio shivaico
assume
la maschera dell'una o dell'altra forma del mondo manifestato. Quando
l'equilibrio nei guna
viene
spezzato, in forza di una cieca tendenza [del fato], si metterebbe in
moto il meccanismo della evoluzione (parinama)
dalle forme più sottili a quelle più grosse o visibili. La prima
modificazione che la natura patirebbe è la buddhi
o
citta
la
mente cosmica (mahat)
o psiche individua facente parte ad una certa anima. Poi il mahat
si
trasforma originando il senso dell'io (ahamkara),
poi dai guna
gli
elementi sottili (tanmatra)
da cui i sensi materiali. Ma essendoci tra prakrti
e purusa
un
"rapporto magnetico" (yogyata)
viene identificata erroneamente l'attività mentale (buddhi)
con l'attività dell'anima così verrebbe generato nuova avidya
(ignoranza)
e nuovo karma
(lett.
azione)
immergendo ancora di più nel ciclo delle trasmigrazioni.
Per
liberarsi allora occorrerà con la tecnica dello yoga,
risvegliando
la Shakti o kundalini, nel realizzare il sostanziale distacco del
"rapporto magnetico" tra anima e natura così bruciando
il deposito karmicoimpedendo
che gli effetti delle azioni maturino ulteriormente. Il
meccanismo del karma
è
come un circuito chiuso e attraverso l'attività mentale (buddhi)
nel pensiero, nel volere e nell'agire per una rigenerazione senza
sosta; "la
ruota delle funzioni e degli impulsi karmici si volge
incessantemente" (Patanjali,
Gli
aforismi sullo Yoga (Yogasutra),
ed Biblioteca Boringhieri, Torino 1978, p.41; I,5) facendosi carico
delle rinascite, della durata delle vita, delle fruizioni piacevoli o
dolorose, che si sperimentano nel corso dell'esistenza.
Vengono
poi distinte due fasi successive: la enstasi
conscia (samyama,
conoscenza dell'essenza, identificazione e potere-siddhi
sulla
"dimensione
sottile" di
tutti gli oggetti di meditazione con il travalicamento della
dimensione spazio-temporale fino a conoscere la differenza tra
prakrti
e
purusha)
e la enstasi
inconscia (estinzione
dell'Io o autodivinizzazione). Pertanto il principiante (aruruksu),
per lo Yogasutra,
dovrà imporsi in primo luogo una certa disciplina morale (yama)
- cioè la non violenza, il dire la verità, il non rubare
l'astinenza sessuale e la povertà - e in obblighi (niyama)
- quali la purezza, il contentamento, l'ascesi, lo studio e la
devozione - dovendo scegliere le "posizioni rituali"
(asana)
in modo da creare nel controllo del corpo un distacco tra mente e
corpo per favorire l'ingresso nella dimensione sottile [o channeling?
quale il confine?]. La descrizione della enstasi conscia di Patanjali
è perlaltro molto simile a quella della medianità
ad aura e alla medianità ad ectoplasma.
Attraverso il controllo del respiro vitale o pranayama
lo
yogin procede nell'enstasi "oltre
lo spazio e il tempo"
nell'astrazione (pratyahara)
fino a conseguire i siddhi
o
poteri che per lo Yogasutra
sono
solo indici di acquisita forza interiore per procedere verso lo scopo
che è la samadhi
ma
che non devono essere usati pena il diventare uno yogin
fallito o
mago.
"Grazie
all'intuizione è possibile conoscere cose sottili o nascoste o
remote o passare o future... tutti questi sensi sopranormali con lo
yoga sorgono incessantemente [come
mai?]. Questi
sono impedimenti rispetto all'enstasi... impedimento alla mente
raccolta in enstasi" (Patanjali,
Gli
aforismi sullo Yoga (Yogasutra),
ed Biblioteca Boringhieri, Torino 1978, p.164; III,36.37). Lo yoga
agirebbe
sul "corpo
sottile o occulto" che
sarebbe fatto di "prana"
mettendolo
in contatto con la shakti,
energia sessuale, tramite il pranayama
e
gli asana
dello
Hata-Yoga:
"Il
prana, la forza vitale di cui, secondo l'insegnamento tradizionale, è
fatto il corpo sottile in tale suo aspetto, è anche qualcosa di
sperimentabile nello stato 'sottile' [medianico] della coscienza del
proprio corpo... il prana è legato al soffio vitale... il prana ha
segno 'solare' e corrisponde ad una funzione aspirante e attrattiva
del prana cosmico, si lega al respiro come inspiro; apana ha un
carattere terrestre e una relazione con la sessualità... Per la sua
dinamicità il corpo pranico viene messo in una particolare relazione
con la Shakti... Ad esso allude il simbolismo ermetico-alchemico
occidentale quando parla della 'donna occulta' o 'donna filosofale'"
(Julius
Evola, Lo
Yoga della potenza,
ed Mediterranee, Roma 2006, pp.67.68). Comunque oltre allo yoga
classico descritto da Patanjali nello Yogasutra
esistono
tantissimi tipi di yoga nei quali convergono pratiche magiche o
tantiche, adorazione di divinità popolari e forma di yoga
iniziatico. Pertanto lo yoga è una via autorealizzativa complessa e
profondamente radicata nella cultura indiana che nella cultura
occidentale è stata ridotta a mera tecnica, estrapolandola dal suo
contesto vitale. Ma il testo sacrò indù Bhagavad
Gita raccomanda
di evitare i "guru per occidentali" perchè il sentiero
dello Yoga è "pericoloso
come il filo di un rasoio... Fra migliaia di uomini a stento ve n'è
uno che lotti per raggiungere la perfezione; e tra migliaia di fedeli
che lottano, a stento uno solo conosce la Mia Essenza"(Bh.
Gi. VII, 3). Anche l'altropologo Julius Evola è sulla stessa linea:
"Pochissimi
sono qualificati per lo yoga e fra costoro ancor più piccolo è il
numero di coloro che riescono in esso...
può riuscire davvero nello Yoga chi abbia qualità privilegiate
creati da sforzi sulla stessa direzione compiuti in vite precedenti"
(Julius
Evola, Lo
Yoga della potenza,
ed Mediterranee, Roma 2006, p.91).
In
sintesi cosa possiamo dire dello Yoga?
"Lo yoga è il metodo attraverso il quale si ottiene il dominio di tutte le forze spirituali e le si guida nella direzione desiderata; la meta è il raggiungimento della pace interiore, della conoscenza suprema e, da ultimo, della liberazione dai legami del mondo e della materia che sono "maya" cioè illusione e seduzione. Infatti per gli induisti e i buddisti l'uomo non è responsabile del male e della sofferenza ma sono parte integrante della realtà per cui il mondo va rifiutato in blocco o, nella migliore dell ipotesi, svuotato di ogni consistenza metafisica...Patañjali definisce lo Yoga come la "soppressione degli stati di coscienza (= "cittavrtti")". Gli "stati di coscienza" sono illimitati ma inquadrabili in tre categorie: 1)gli errori e le illusioni; 2)le esperienze psicologiche normali di colui che non pratica yoga; 3)le esperienze parapsicologiche provocate dallo yoga e accessibili ai soli iniziati. Per Patañjali le prime due categorie d'esperienza vanno abolite e sostituite con una esperienza "enstatica" sovrasensoriale ed extrarazionale. Diversi sono i modi per raggiungere la salvezza proposti dall'induismo e dal buddismo per uscire dalla "maya" e entrare nell'Assoluto, poichè questi dipendono dalla visione del mondo propria di ogni scuola e corrente. Mentre il cammino di salvezza e di liberazione ("moksa") per l'induismo dipende principalmente dallo smantellamento della "maya" mediante la regressione psicologica del nostro io umano nel Brahaman, per il buddismo, comporta lo spegnimento della sete di qualsiasi consistenza e desiderio. Le pratiche salvifiche yoga non si escludono comunque l'una con l'altra e sono spesso complementari: 1)Tantra yoga (via dei riti magici); 2)Yoga mârga (via degli esercizi fisici e spirituali); 3)Karma yoga (via delle opere); 4)Jnâna yoga (via della conoscenza); 5)Bhakti yoga (via della devozione). La salvezza non si raggiunge nell'arco di una sola vita, come del resto nella mistica plotiniana, ed è postulata la reincarnazione." (Enciclopedia delle Religioni, p.403.438-439, ed.Garzanti; F. Dermine, Mistici-veggenti e medium, Città del Vaticano 2002, pp.127.130-131).
Ispirandosi in qualche modo ai Veda, testi fondamentali della tradizione indiana che possono essere collocati tra il 1800 e l'800 a.C., sono nati, oltre lo Yoga, molti sistemi gnostici, tra i quali i più importanti sono il Samkhya e il Vedanta. Il loro scopo è sradicare le cause di un cattivo karma e così venendo meno le cause del dolore l'individuo sarebbe sottratto al divenire e integrato in un piano metafisico. Sotto c'è la concezione di un determinismo cieco di causa-effetto (karma), assurdo non solo per noi cristiani ma anche per i laici che si riconoscono nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo; ad esempio se una persona è malata secondo la concezione del Karma l'avrebbe meritato in questa o in una vita passata e aiutarlo significherebbe peggiorarne il karma anche di chi lo aiuta. Qui si spiega l'effetto dirompente della carità cristiana della Beata Teresa di Calcutta, che tra l'altro vietava alle sue suore di fare yoga, sulla falsa dottrina del karma. Anche per lo yogin, vale questa dottrina dell'indifferenza verso l'umanità della persona ritenendo che le sue azioni (karma) possono essere bianche-meritorie (sukla) o nere-cattive (krsna) o bianco-nere ma, onde sottrarsi agli effetti futuri che, buoni o cattivi che siano risultano sempre vincolanti, lo yogin deve rendere la sua attività "nè bianca nè nera", quanto a dire distaccata in tutto e per tutto riguardo ai frutti di qualsiasi azione. Questa impostazione pilatesca, molto pericolosa, che apparentemente afferma di "non voler costruire un superuomismo di tipo nietzschiano ma di voler bruciare la natura umana o Io individualistico per andare oltre" (Julius Evola, Lo Yoga della potenza, ed Mediterranee, Roma 2006, p.81) in realtà spalanca ulteriormente la strada, come vedremo, alla "Via della mano sinistra" o Tantrismo (lett. Tantra significa "libri" cioè "testi sacri") dove l'illusione di conseguire una "superiore libertà" con lo sviluppo dei poteri (siddhi) e della conoscenza (samadhi) sul "piano sottile", con qualunque mezzo, è lo scopo.
"Lo yoga è il metodo attraverso il quale si ottiene il dominio di tutte le forze spirituali e le si guida nella direzione desiderata; la meta è il raggiungimento della pace interiore, della conoscenza suprema e, da ultimo, della liberazione dai legami del mondo e della materia che sono "maya" cioè illusione e seduzione. Infatti per gli induisti e i buddisti l'uomo non è responsabile del male e della sofferenza ma sono parte integrante della realtà per cui il mondo va rifiutato in blocco o, nella migliore dell ipotesi, svuotato di ogni consistenza metafisica...Patañjali definisce lo Yoga come la "soppressione degli stati di coscienza (= "cittavrtti")". Gli "stati di coscienza" sono illimitati ma inquadrabili in tre categorie: 1)gli errori e le illusioni; 2)le esperienze psicologiche normali di colui che non pratica yoga; 3)le esperienze parapsicologiche provocate dallo yoga e accessibili ai soli iniziati. Per Patañjali le prime due categorie d'esperienza vanno abolite e sostituite con una esperienza "enstatica" sovrasensoriale ed extrarazionale. Diversi sono i modi per raggiungere la salvezza proposti dall'induismo e dal buddismo per uscire dalla "maya" e entrare nell'Assoluto, poichè questi dipendono dalla visione del mondo propria di ogni scuola e corrente. Mentre il cammino di salvezza e di liberazione ("moksa") per l'induismo dipende principalmente dallo smantellamento della "maya" mediante la regressione psicologica del nostro io umano nel Brahaman, per il buddismo, comporta lo spegnimento della sete di qualsiasi consistenza e desiderio. Le pratiche salvifiche yoga non si escludono comunque l'una con l'altra e sono spesso complementari: 1)Tantra yoga (via dei riti magici); 2)Yoga mârga (via degli esercizi fisici e spirituali); 3)Karma yoga (via delle opere); 4)Jnâna yoga (via della conoscenza); 5)Bhakti yoga (via della devozione). La salvezza non si raggiunge nell'arco di una sola vita, come del resto nella mistica plotiniana, ed è postulata la reincarnazione." (Enciclopedia delle Religioni, p.403.438-439, ed.Garzanti; F. Dermine, Mistici-veggenti e medium, Città del Vaticano 2002, pp.127.130-131).
Ispirandosi in qualche modo ai Veda, testi fondamentali della tradizione indiana che possono essere collocati tra il 1800 e l'800 a.C., sono nati, oltre lo Yoga, molti sistemi gnostici, tra i quali i più importanti sono il Samkhya e il Vedanta. Il loro scopo è sradicare le cause di un cattivo karma e così venendo meno le cause del dolore l'individuo sarebbe sottratto al divenire e integrato in un piano metafisico. Sotto c'è la concezione di un determinismo cieco di causa-effetto (karma), assurdo non solo per noi cristiani ma anche per i laici che si riconoscono nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo; ad esempio se una persona è malata secondo la concezione del Karma l'avrebbe meritato in questa o in una vita passata e aiutarlo significherebbe peggiorarne il karma anche di chi lo aiuta. Qui si spiega l'effetto dirompente della carità cristiana della Beata Teresa di Calcutta, che tra l'altro vietava alle sue suore di fare yoga, sulla falsa dottrina del karma. Anche per lo yogin, vale questa dottrina dell'indifferenza verso l'umanità della persona ritenendo che le sue azioni (karma) possono essere bianche-meritorie (sukla) o nere-cattive (krsna) o bianco-nere ma, onde sottrarsi agli effetti futuri che, buoni o cattivi che siano risultano sempre vincolanti, lo yogin deve rendere la sua attività "nè bianca nè nera", quanto a dire distaccata in tutto e per tutto riguardo ai frutti di qualsiasi azione. Questa impostazione pilatesca, molto pericolosa, che apparentemente afferma di "non voler costruire un superuomismo di tipo nietzschiano ma di voler bruciare la natura umana o Io individualistico per andare oltre" (Julius Evola, Lo Yoga della potenza, ed Mediterranee, Roma 2006, p.81) in realtà spalanca ulteriormente la strada, come vedremo, alla "Via della mano sinistra" o Tantrismo (lett. Tantra significa "libri" cioè "testi sacri") dove l'illusione di conseguire una "superiore libertà" con lo sviluppo dei poteri (siddhi) e della conoscenza (samadhi) sul "piano sottile", con qualunque mezzo, è lo scopo.
Mentre,
ad esempio, il Samkhya
è
una gnosi esplicitamente atea che accetta con indifferenza le varie
divinità indiane senza attribuirne alcuna funzione nell'ordine del
sistema, lo Yoga
è
una gnosi implicitamente ateà che introduce al di sopra della folla
di questi dèi, Isvara
(il
Signore) che però concederebbe allo yogin
solo
un vago favore o al massimo, nelle corrente devozionali dei Vedanta,
il regolatore del processo cosmico e della retribuzione karmaica.
Nello Yoga
gli
dèi
indiani
invidiano lo yogin e sovente lo tentano ad abbandonare la via
dell'enstasi o instasi. "Sia
in Patanjali, la grande autorità dello Yoga, sia nei Tantra si trova
detto che gli dèi sono nemici dello yogi perchè come poteri volti
al mantenimento dell'ordine naturale cercano di sbarrare la via a chi
da esso vuole sciogliersi e vuole dominarlo" (Julius
Evola, Lo
Yoga della potenza,
ed Mediterranee, Roma 2006, p.79). Questa è una visione molto simile
a quella che ha il demonio nel racconto del libro della Genesi del
capitolo III in cui satana suggerisce all'uomo la falsità che Dio
sia geloso della sua divinità e invidioso della possibilità che
l'uomo avrebbe di diventare divino con le sue sole capacità
tecniche. In realtà Dio in Gesù Cristo ci regala mediante la sua
Chiesa la sua divinità e, inoltre, l'uomo non è capace di
autodivinizzarsi con alcuna tecnica o trucco magico; gli ospedali e
l'ineluttabilità della morte sono lì a testimoniarlo.
Gli
"dei" nell'oriente sono visti come esseri soprannaturali
che fruiscono di gioie effimere superiori a quelle umane ma la cui
massima ispirazione è reincarnarsi in uomini perchè solo in questo
modo e con le opportune tecniche potranno raggiungere la definitiva
emancipazione dal ciclo delle nascite e delle morti. Per questa
ragione essi invidiano lo yogin
e
lo tentano di frequente:
Afferma
Patanjali
nella
"Bibbia" dello Yoga,
lo Yogasutra:
"Ci
sono quattro tipi di yogi: il principiante, colui che ha raggiunto lo
stadio del "miele", colui che ha raggiunto lo stadio della
conoscenza e colui, infine, che ha trasceso tutto ciò che può
essere realizzato. Nel primo di essi la luce (della conoscenza) ha
appena cominciato ad operare; il secondo è nello stadio in cui la
conoscenza si è fatta apportatrice della verità. Quanto al terzo
stadio egli [lo yogin] è signore dei sensi e degli elementi; oltre a
ciò, è uno che provvede a conservare quanto è stato già
realizzato e che dispone dei mezzi per realizzare quanto non lo è
stato. Il quarto, finalmente, colui che ha trasceso tutto il
realizzabile, è uno il cui unico scopo è la dissoluzione della
mente; la sapienza di costui si svolge per sette gradi successivi.
Ora, allorchè un brammano o yogin abbia direttamente realizzato lo
stadio detto del "miele" gli dèi sparsi per vari cieli,
che hanno scorto la purezza del suo sattva, lo baldiscono con celesti
tentazioni: 'Suvvia, dicono, siediti dunque e gioisci qui fra di noi,
cui arridono fruizioni impareggiabili... Avrai vista e udito divini e
corpo adamantino'... Sollecitato a questo modo [dagli dèi], rifletta
lo yogin sui difetti inerenti all'attaccamento e formuli questo
pensiero: '... Ora perchè mai pervenuto a questa luce ingenerare
nuovo attaccamento agli oggetti dei sensi e dovrei farmi ancora una
volta divorare dalle fiamme della trasmigrazione, nuovamente
divampanti?" (Patanjali,
Gli
aforismi sullo Yoga (Yogasutra),
ed Biblioteca Boringhieri, Torino 1978, pp.176.177; III,51).
Questa
impostazione dello Yoga è tipica della pretesa gnostica in cui gli
uomini non hanno uguale dignità ontologica e vengono divisi in
«pneumatici, psichici e ilici» a seconda della capacità di
«espandere» le proprie potenzialità recondite, inoltre nel
dualismo gnostico sono visti come, farfalle-scintilla del divino che
devono sbarazzarsi del bozzolo-corpo materiale. Mentre, all'opposto,
nella visione cristiana tutti gli uomini sono immagine di Dio con
uguale dignità ontologica, tutto l’uomo psiche-anima-corpo è
«cosa molto buona», porta in sé l’impronta della vita trinitaria
che lo rende capax
dèi cioè
capace di accogliere il dono della grazia, dono gratuito e per nulla
«dovuto» alla natura umana. Anzi la vera dignità dell’uomo non
sta agli occhi di Dio, nel «farsi grande», «espandendo» le
proprie potenzialità recondite, ma piuttosto nel «farsi piccolo»,
accogliendo un dono di cui si sente indegno, specialmente a motivo
della terribile esperienza del peccato per cui si è reso necessario
il sacrificio di Cristo.
Lo scopo dello Yoga, in breve, è tramite la FUSIONE con la divinità, ottenere il CONTROLLO ASSOLUTO di corpo-mente-sensi-cosmo, la "Samadhi", "sottraendosi all'illusione (Maya) da noi chiamata 'Vita' e di evadere in se stesso verso una vera realtà interiore, nella quale si può trovare la lampada fulgida della coscienza trascendente... raggiungendo l'esperienza dell'autorigenerazione, fisicamente, mentalmente ed emotivamente... fino ad essere il Brahman [=DIO]" (John Mumford, Yoga psicosomatico, ed hermes, Roma 1980, pp.22.23.26).
"La
samadhi è uno stato indescrivibile", dice
un guru, "è
un fenomeno supercosciente... in cui la coscienza normale perde la
sua limitazione per estendersi in condizione di Coscienza Cosmica...
in cui abbiamo l'unione (Yoga), la connesione e l'identificazione
dello spirito individuale (Jivatman) con quello universale
(Paramatman) così come una goccia di acqua si unisce, si fonde e si
identifica con l'acqua di un vaso. E'
la meta dello Yoga, Moksa o Mukti, la liberazione, chiamata Nirvana
dai buddhisti"
(Carlo Patrian, Yoga,
Sperling & Kupfer editori, 1984 Azzate (VA), pp.37.39). Il
termine yoga
deriva
dalla antica parola sanscrita yuj
("unire",
"congiungere" o meglio "con-fondere") e connesso
col latino iugum
(=
giogo), indica infatti quel complesso di tecniche che servono a
unificare le varie potenze dell'anima col "Principio
Supremo",
l'unione-fusione dell'atman
con
il Brahman,
cioè dell'individuo con l'essenza divina ma, secondo la filosofia
panteistica e monistica orientale, yoga
significa
anche unificare o collegare i due poli dell'essere umano, i chakra
(=
"ruota") che si trovano il primo in alto sulla testa
(sahasrara)
e
il secondo è situato dove si trovano gli organi genitali-ano
(muladhara)
che
rappresenta il centro dell'energia creatrice detta kundalini,
l'energia che dal polo inferiore dominato dagli istinti, sale fino al
chakra
superiore,
centro della coscienza per realizzare "le
nozze cosmiche"
o il "battesimo
del fuoco";
la kundalini
(=
significa "arrotolata"),
rappresentata nella forma di un serpente
arrotolato (chi
è questo "serpente"?) e
addormentato alla base della colonna vertebrale (muladhara)
con
lo yoga
è
risvegliata!
"Fin
quando la kundalini dorme, il samsara continua, si vive nel mondo
samsarico [mondo
contingente in divenire]" (Julius Evola,Lo
Yoga della potenza,
ed Mediterranee, Roma 2006, p.169). E' una vera e propria iniziazione
esoterico-occultistica incentrata
sulla dottrina della corporeità
sottile o occulta o eterea nella corrispondenza magica tra macrocosmo
celste e microcosmo umano, tra gli dèi e gli uomini poiché
esisterebbe all’interno del corpo umano una corrente energetica
fondamentale, la kundalini,
che sarebbe la medesima degli dèi e del cosmo (cfr.
Julius Evola, Lo
Yoga della potenza,
ed Mediterranee, Roma 2006, p.165). Nella
«teoria
del corpo etereo» si sostiene la possibilità dell’uomo, mediante
le «tecniche olistiche», tra cui lo Yoga, di «espandersi»
progressivamente fuori di sé negli altri corpi, oltre lo spazio e il
tempo e tramite le «entità» o «energie», per raggiungere
progressivamente i corpi eterici o aure
dove
si nascondono poteri di autodivinizzazione sorprendenti. Dice il
prof. Massìmo Introvigne: "L’uomo
composto di sette corpi o parti, che ricevono per la verità nomi
diversi nella letteratura teosofica, di volta in volta ispirati al
Buddismo o all’Induismo e che sono e che sono (procedendo dalla
parte più spirituale verso quella più materiale) i corpi chiamati
in genere divino, monodico, spirituale, intuitivo, mentale, astrale e
fisico. Ogni corpo corrisponde ad un piano di esistenza in cui si
trovano anche altri esseri o realtà" (M.
Introvigne, Le
nuove religioni,
274).