venerdì 21 gennaio 2011

LA LOTTA CONTRO LA PROPRIA CARNE






LA LOTTA CONTRO LA PROPRIA CARNE



 
 
Royo Marìn
 
Rimedi contro la concupiscenza
La lotta contro la propria sensualità termina solo con la morte. Essa tuttavia assume un carattere di partico­lare violenza agli inizi della vita spirituale (via purga­tiva), soprattutto per un’anima tornata a Dio dopo una vita di disordini e di peccati. La ragione naturale ci suggerisce alcuni rimedi utili nella pratica; i piú ef­ficaci, però, ci provengono dalla Fede e sono d’indole soprannaturale .
1) Mortificarsi nelle cose lecite. ‑ La prima precauzione da prendere nella lotta contro la propria sensualità è quella di non giungere mai al limite delle soddisfazioni permesse. Pretendere di fermarsi in tempo e, con l’ausilio della ra­gione, di avvertire il limite preciso oltre il quale comincia il peccato, è una stoltezza. A ragione afferma Clemente A­lessandrino che «ben presto faranno quello che non è per­messo coloro i quali fanno tutto quello che è permesso» .
D’altra parte, come si può conciliare con la perfezione una condotta che non fa caso dei consigli e non tiene in con­siderazione se non i precetti gravi ?
 Incredibile fin dove si può giungere nella mortifica­zione dei propri gusti e capricci senza compromettere af­fatto, favorendo anzi, la salute del corpo e il benessere del­l’anima. Se vogliamo mantenerci lontani dal peccato e camminare a grandi passi verso la perfezione, è necessario sba­razzarsi senza esitazione di un gran numero di sensazioni in­tese a soddisfare la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto e il tatto. Ritorneremo su questo argomento quando tratteremo della purificazione dei sensi esterni.
2) Amare la sofferenza e la croce. ‑ Nulla si oppone tan­to agli assalti della sensualità quanto il soffrire con calma e costanza d’animo gli assalti del dolore e l’imporselo volon­tariamente. Tale è stata sempre la condotta di tutti i santi, che giunsero, a volte, fino all’incredibile nella pratica positiva della mortificazione cristiana. La ricompensa per tali privazioni è splendida anche su questa terra. Viene un mo­mento in cui non possono più soffrire perché hanno trovato la loro gioia nel dolore. Frasi come queste: «0 patire o morire» (S. Teresa), «Non morire, ma patire» (S. Maria Maddalena de’ Pazzi), «Patire, Signore, ed essere disprez­zato per voi» (S. Giovanni della Croce), «Sono giunta al punto di non poter più soffrire, perché mi è dolce ogni pa­timento» (S. Teresina del Bambino Gesù) suppongono un meraviglioso dominio di sé e rappresentano la migliore sal­vaguardia contro gli assalti della sensualità.
3) Combattere l’ozio. ‑ Il seme della sensualità trova un terreno propizio nell’anima oziosa. L’ozio è il padre di tutti i vizi: «Multam enim malitiam docuit otiositas» (Ecc­li. 33,29), ma specialmente della voluttà della carne.
Tra tutte le occupazioni, quelle di indole intellettuale sono particolarmente indicate per ostacolare la sensualità. Infatti l’esercizio predominante dell’intelletto sottrae alle passioni sensuali gli oggetti che le alimentano. E Per espe­rienza quotidiana sta li ad insegnar i che le voluttà della carne oscurano e debilitano lo spirito, mentre la tempe­ranza e la castità predispongono in modo mirabile al lavoro intellettuale.
4) Fuga delle occasioni pericolose. Il più impor­tante e decisivo rimedio d’ordine naturale. La volontà più energica cade con facilità se viene sottomessa imprudente­mente alla dura prova di una occasione suggestiva. S. A­gostino parlando del suo amico Alipio, ci ha lasciato una pagina drammatica a questo proposito. Non tengono pro­positi energici né determinazioni irremovibili: tutto cede davanti alla forza terribile affascinatrice di un’occasione. I sensi si eccitano, la fantasia si accende, la passione aumenta di forza, si perde i controllo di sé e soggiunge, inevitabile la caduta.
Soprattutto bisogna esercitare la più rigorosa vigilanza sul senso della vista. Si ricordi la profonda sapienza racchiu­sa nell’adagio popolare: «Occhio non vede, cuore non duole». Ci sono dei temperamenti che non hanno difficoltà a mantenersi buoni quando i loro occhi non incontrano inciampi, ma soccombono con incredibile facilità quando una immagine suggestiva ferisce il loro sguardo.
Finora abbiamo parlato di mezzi naturali. Ora vo­gliamo ricordare quelli che ci propone la Fede. La Fede ci consiglia:
5) Considerare la dignità del cristiano. ‑ L’uomo dotato di un’anima razionale è superiore al mondo animale. Non dovrebbe quindi lasciarsi sopraffare dalla sensualità, che ha in comune con le bestie abbassando e sminuendo la sua di­gnità.
Che dire poi della sua vocazione cristiana? Mediante la Grazia è stato elevato all’ordine soprannaturale, ha ricevuto una misteriosa, ma reale, partecipazione alla natura divina, è divenuto figlio di Dio mediante un’adozione intrinseca. di gran lunga superiore alle adozioni umane. Finché si con­serva in tale stato è erede del cielo per diritto proprio ­«si filii et heredes» (Rom. 8, 17). La sua dignità è tanto alta, che non trova riscontro in tutto il resto della creazione, su­pera anche la natura angelica considerata in se stessa . Per questo, S. Tommaso non esita ad affermare che il bene soprannaturale di un solo individuo, frutto della Grazia san­tificante vale più del bene naturale di tutto l’universo.
Ora, sarà mai possibile che un cristiano, il quale crede e pensa seriamente a queste verità, si lasci trascinare dalle passioni più vili, privandosi all’improvviso, della sua divina grandezza e abbassandosi al livello dei bruti? S. Paolo non trovava argomento più forte per tener lontani dai disordini della carne i primi cristiani: «Non sapete che i vostri corpi sono le membra di Cristo? Prenderò io dunque le membra del Cristo per farne le membra di una meretrice?... 0 non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi, che avete da Dio, e che voi non vi appartenete ? Poiché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo» (Cor. 6,15‑20).
6) Considerare il castigo del peccato. ‑ Se la nobiltà di motivi tanto elevati non impressionasse le intelligenze avvilite dal peccato, potrà tornare utile considerare i castighi riservati ai vizi della gola e della lussuria nel purgatorio o nell’inferno. La S. Scrittura ce ne offre numerosi esempi. Il salmista chiede a Dio che il timore dei suoi giudizi penetri nella sua carne allo scopo di rimanere fedele ai suoi comanda­menti . S. Paolo castigava il suo corpo e lo riduceva in servitù, per non perdere se stesso dopo aver predicato agli altri, ecc. Contro l’impeto della passione che ricerca avi­damente il piacere, non v’è nulla di più opportuno che richia­mare alla mente i tormenti dell’inferno o del purgatorio. Perché, anche nell’ipotesi in cui l’uomo si sollevi dalla colpa e conseguisca la remissione del peccato ‑cosa molto in­certa e che può mancare con facilità‑, gli rimane ancora un reato di pena temporale, che dovrà espiare in questa vita con una dura penitenza o nell’altra con le terribili pene del purgatorio. E il dolore che dovrà sopportare supera di gran lunga il brevissimo piacere che ha conseguito peccando. Anche da questo solo punto di vista, il peccatore realizza un cattivo affare: la sua perdita è sicura.
7) Il ricordo della Passione di Gesù Cristo. ‑ I motivi ispirati dall’amore sono molto più nobili di quelli che provengono dal timore. Gesù Cristo fu inchiodato sulla croce a causa dei nostri peccati. Il peccatore approva tale misfatto dal momento che crocifigge di nuovo Gesù Cristo, rinnovando la causa della sua morte. La più elementare gratitudine e la delicatezza verso il Redentore deve trattenerci dal male. An­che nella supposizione che nulla abbiano a che vedere i no­stri peccati con la sua sofferenza, la considerazione di un capo coronato di spine dovrebbe farci arrossire ogni volta che andiamo alla ricerca del piacere, come dice S. Bernardo. S. Paolo fa della mortificazione della carne la prova decisi­va della reale appartenenza a Cristo. E S. Pietro afferma che è necessario farla finita con il peccato perché Cristo patí nella carne.
8) L’orazione umile o perseverante. ‑ Senza la Grazia di Dio è impossibile trionfare nella concupiscenza; e questa Grazia Dio la concede infallibilmente a colui che prega con le dovute disposizioni.
L’autore della Sapienza riconosce apertamente di non poter rimanere continente se Dio non l’aiuta. L’Ecclesia­stico implora di essere preservato dalla concupiscenza e dai desideri lascivi. S. Paolo chiese tre volte al Signore di essere liberato dallo stimolo della carne, e il Signore gli ri­spose che gli bastava la sua Grazia, la quale si perfeziona nell’infermità.
L’efficacia dell’orazione ben fatta fu già ampiamente di­mostrata nel paragrafo corrispondente.
9) La devozione filiale a Maria Santissima.‑ L’Immacolata, Ma­dre di Dio e Madre nostra, è anche la Mediatrice di tutte le grazie l’Avvocata e il Rifugio dei peccatori. Una profonda e tenera devozione a Maria, la invocazione fiduciosa ed ar­dente del suo nome nell’ora del pericolo costituisce una infallibile garanzia, di vittoria. S. Alfonso Maria de’ Liguo­ri soleva domandare a chi temeva di avere acconsentito al­la tentazione: «Hai invocato Maria?». La risposta affermati­va rappresentava per il santo una prova decisiva della vit­toria di quell’anima.
10) La frequenza ai Sacramenti. Il rimedio più sicuro ed efficace contro ogni specie di peccato, soprattutto contro gli assalti della concupiscenza.
La Confessione non solamente cancella le mancanze passate, ma ci dà forze ed energie onde preservarcene in futuro.
L’anima che si sente schiava dei vizi della carne deve accorrere anzitutto a questa fonte di purificazione, regolando la frequenza delle sue confessioni, secondo le forze di cui ha bisogno per non cadere, non per sollevarsi dalla colpa dopo la caduta. È errata l’abitudine di accostarsi al Sacramento solo dopo che si è registrata la caduta; cosí facendo non si giungerà mai all’estirpazione dell’abito vizioso, anzi esso andrà sem­pre più radicandosi, per la ripetizione degli stessi atti. È necessario prevenire le cadute, avvicinandosi al Sacramento della Penitenza ogni qualvolta l’anima avverte che sta ca­lando di forze e non si sente più sicura di ricacciare la ten­tazione. Se, per conseguire la stabilità spirituale, agli inizi lo si ritiene necessario, non bisogna esitare a confessarsi anche due o tre volte alla settimana. Né si pensi di esagerare: Non si è mai troppo solleciti quando si tratta di liberarsi dalla schiavitù del peccato e incominciare a respirare l’aria pura della libertà propria dei figli di Dio.
Sarà di grande utilità avere un confessore fisso al quale manifestare tutta la nostra anima e dal quale ricevere l’aiu­to e il consiglio. Il dover sempre rendere conto della pro­pria anima allo stesso confessore impedisce i voli dell’im­maginazione e frena l’impeto delle passioni. La S. Comunione ha un’efficacia sovrana contro le con­cupiscenze della carne, poiché in essa riceviamo, vero e reale, l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. La sua anima santissima trasmette alla nostra le grazie di fortezza e di resistenza contro il potere delle passioni. La sua carne purissima a contatto con la nostra peccatrice la spiritualizza e divinizza. Non per nulla l’Eucaristia è stata chiamata il pane degli angeli e il vino che genera i vergini. I giovani, soprattutto, necessitano di questo divino rimedio. L’esperienza nella direzione delle anime mostra chiaramente che non c’è nulla di tanto utile ed efficace per mantenere un giovane nella temperanza e nella castità quan­to la Comunione frequente e quotidiana.