Quell’ipocrisia di chi lo osanna perché
faceva il laico in tonaca
Il Cardinale è stato celebrato come il Papa dei non credenti,
ma un conto è dialogare con tutti e un altro è omologarsi a chi ti
combatte.
Così è stato celebrato il Cardinal Martini dai giornali, dai telegiornali e
dagli intellettuali.
di Marcello Veneziani - “Il
Giornale” - Lunedì 3 settembre 2012
Salutandolo come capofila del
cattolicesimo progressista, sono stati elencati i suoi principali “meriti”:
istituì la cattedra dei non credenti,
preferì rivolgersi ai pensanti piuttosto
che ai credenti,
si distinse dalla Chiesa aprendo
all’eutanasia,
al preservativo,
alle coppie gay,
agli atei,
rifiutò la Messa in latino
e sostenne la necessità di «superare
le tradizioni religiose».
Un curriculum notevole per un intellettuale,
con i suoi dubbi e le sue aperture; ma per un Sacerdote, per un Cardinale, per
un uomo della Chiesa, può dirsi altrettanto?
Certo, il Cardinal Martini non fu solo
questo, fu anche un biblista insigne, una figura carismatica, si ritirò a
Gerusalemme; ma la ragione per cui è stato osannato dai media è questa e l’ha
ben riassunta un intervistato: «Non ragionava come
un uomo della Chiesa, non sembrava un Cardinale».
Ma è davvero un elogio non sembrare quel
che si è, mimetizzare la propria missione, confondersi con il proprio tempo e
tingersi dei suoi colori?
E allora torno a domandare: ma è questo che
chiediamo a un pastore, a un uomo di Fede e di Chiesa, di parlare come tutti
gli altri, di assecondare lo spirito del tempo anziché invocare il tempo dello
Spirito di Dio?
Non ci bastano e ci avanzano le tante
cattedre di ateismo, di laicismo e di progressismo che ci sono in giro per chiedere
che anche dentro la religione vi siano spazi e argomenti in favore dei non
credenti e delle loro tesi?
Siamo bombardati dai precetti laici della
modernità miscredente e dai canoni del progresso; non avremmo piuttosto bisogno
di qualcuno che ci rappresenti l’amore per il sacro, per la trascendenza e per la
Tradizione cattolica?
E chi dovrebbe farlo se non un uomo della
Chiesa, un Arcivescovo, un Sacerdote?
É demolita ovunque l’Autorità e
l’autorevolezza delle istituzioni, anche se poi al loro posto ci sono nuovi
canoni obbligati, nuovi poteri dominanti a volte più dispotici e intolleranti
degli altri: non si chiede oggi a chi rappresenta la religione di assumersi
sulle spalle la croce di contravvenire a questi nuovi dispotismi nel nome
perenne della Tradizione e della Fede in Dio?
Un conto è dialogare con i «pagani»,
come fa anche Papa Ratzinger, un altro è sposare il loro punto di vista o
scendere sul loro stesso terreno, fino a omologarsi, e rappresentare soltanto
la versione religiosa all’interno dell’ateismo dominante.
Non si tratta di barricarsi nella Chiesa
degli anatemi e dell’integralismo e di ignorare il mondo e il nichilismo che
avanza; si tratta di affrontare il mondo a viso aperto, testimoniando la
passione di verità e non la priorità del dubbio, testimoniando l’amore per
l’eterno e non solo per il proprio tempo.
Una scelta spirituale che si incarna, e
non una scelta intellettuale, o peggio ideologica, che si storicizza. Giunge a
proposito la questione sollevata da Papa Ratzinger su Giuda. Secondo Benedetto
XVI, Giuda tradì Gesù perché voleva spingere Cristo non a fondare una nuova
religione, ma un movimento politico ribelle contro l’impero romano.
La lettura di Papa Ratzinger lancia un forte
messaggio al nostro tempo: chi riduce Gesù a un rivoluzionario e il
Cristianesimo a messaggio di redenzione politica e di riscatto sociale,
tradisce Cristo come Giuda.
Il ribelle zelota Giuda nega il valore
religioso del cristianesimo e lo riduce a rivolta politica, attaccando l’impero
romano ma non intaccando la religione ebraica. Viceversa, Cristo secondo
Ratzinger non è avversario di Roma e non è un rivoluzionario, ma fonda una
nuova religione, e dunque dissente dal sinedrio, che lo condanna al patibolo.
Su la Repubblica Gustavo Zagrebelsky
ha scritto un dotto excursus tra le interpretazioni di Giuda per sposare alla
fine la tesi di don Primo Mazzolari di un Cristo ribelle, distruttore,
liberatore e nemico del potere. Un Gesù giacobino, da popolo viola, «uno
come noi», scrive il professore giustizialista.
Uno come noi, è anche la parola d’ordine per
elogiare il Cardinal Martini dal punto di vista dei non credenti.
Il Cristo di Mazzolari-Zagrebelsky è una
versione opposta a quella di Papa Ratzinger. E si sposa assai bene con l’elogio
progressista di Martini. Peccato che il giurista non citi tra le
interpretazioni di Giuda come esecutore del disegno divino quella di Giuseppe
Berto (ripresa da scrittori cattolici come Mario Pomilio e Francesco Grisi):
Giuda tradendo provoca la morte e la resurrezione di Cristo.
Come in una vera eterogenesi dei fini
-espressione del cattolico Augusto del Noce che però piace a Zagrebelskj- il
tradimento di Giuda ha un movente politico ma produce un risultato
escatologico: non provoca la ribellione degli zeloti ma la salvezza del mondo
tramite il Sacrificio di Cristo sulla Croce.
Perché la promessa cristiana è la
resurrezione, non la rivoluzione; è l’eternità, non il progresso.
Post scriptum. A proposito di
Crocifisso, avrete letto la profanazione di Ulrich Seidl alla Mostra del Cinema
di Venezia. Una trovata miserabile, non solo perché offende i credenti e coloro
che, pur non credenti, sono nati e cresciuti in una civiltà cristiana. Ma per
due altre ragioni: la sua profanazione non ha nemmeno l’alibi di sfidare
coraggiosamente un regime teocratico, mainfierisce contro una Fede debole,
soccombente, e su questo piano, inoffensiva.
E poi non ha nemmeno il crisma
dell’originalità, perché arriva dopo decenni di profanazioni spettacolari, dai
film di Pasolini, che però erano almeno tormentati Vangeli, alle esibizioni di
Madonna, Lady Gaga e dei Soliti Idioti.
Quel film rientra nello squallido
conformismo della profanazione contro una Fede inerme, come Colui che fu
inchiodato sulla croce.