Che cos'è la magia?
di Andrea Menegotto tratto da Relazione presentata al Convegno «Il ritorno della magia», organizzato da «Una voce grida…!» - Regione Lombardia e dal Centro Cattolico «Il Timone» a Barza d’Ispra (Varese) il 19 marzo 2000
A. Il termine magia deriva dal greco «magheia», che significa scienza, saggezza; i magi erano gli antichi sacerdoti persiani. Anche il Nuovo Testamento parla di maghi e magia: i Magi che secondo il racconto di Matteo (cfr. Mt 2,1-12), si recano alla ricerca del Bambino Gesù guidati dalla stella, non sono però maghi nell’accezione moderna del termine, ma piuttosto scienziati o sapienti. Negli Atti degli Apostoli (cfr. At 8,9-24), si trova l’episodio di Simon Mago che, come molti altri, aderisce alla predicazione degli Apostoli e si fa battezzare. Meravigliato per i prodigi da loro compiuti, offre del denaro per ottenere quel potere, ma Pietro risponde: «Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai osato di acquistare con denaro il dono di Dio» (At 8,20). Da questo episodio deriva il termine «simonia» riferito al commercio di cose sacre. Dal fatto che la magia si trova in tutti i popoli, qualcuno sostiene che essa sia la madre della religione. Ma cristiani ed ebrei, come mostra anche la Bibbia, tracciano una netta distinzione.
B. Per definire la magia il classico Golden Bough («Ramo d’oro», 1890) di James Frazer (1854 -1941) riprendeva l’idea comtiana dì un’evoluzione dell’umanità in tre stadi: la magia, la religione e la scienza. L’uomo primitivo – secondo Frazer – aveva il desiderio, di per sé non illogico né irrazionale, di controllare per quanto possibile la natura. L’unico modo ragionevole di perseguire questo obiettivo consisteva nel cercare di comprendere le leggi naturali. Giacché – secondo Frazer – le capacità di ragionamento dei primitivi erano limitate, essi riuscirono a identificare soltanto due leggi, peraltro confuse e, nelle loro applicazioni letterali, anche sbagliate: la legge della somiglianza («il simile produce il simile») e la legge del contatto («ogni effetto deriva dal contatto, visibile o invisibile, di una forza applicata da un agente»). Il tentativo di applicare queste presunte leggi non poteva produrre che magia, nei due tipi fondamentali della magia cosiddetta «imitativa» (mimetica od omeopatica) e della magia «contagiosa». Quando i primitivi, racconta Frazer, si resero conto che la magia non funzionava, passarono alla religione. Cominciarono, cioè, a ritenere che i fenomeni naturali fossero controllati da spiriti o divinità che non potevano essere manipolati ma soltanto supplicati o pregati. Ma a poco a poco – conclude Frazer –accanto alla religione cominciò a svilupparsi la scienza, che scoprì una dopo l’altra le «vere» leggi della natura. L’influenza delle idee di Frazer è stata immensa, e probabilmente non è ancora terminata. Nell’Europa latina idee largamente ispirate a Frazer si diffusero grazie alle teorie di Lucien Lévi-Bruhl (1857-1939) sul pensiero dei primitivi, che a loro volta influenzarono le teorie di Jean Piaget (1896-1980), secondo cui il pensiero magico si manifesta nei primi anni di vita del bambino e sparisce gradatamente (salvo casi patologici) nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Una delle critiche più distruttive delle idee di Frazer è stata formulata dal filosofo Ludwig Wittgenstein (1889-1951) nel quadro della sua più generale riflessione sui limiti del positivismo. L’interpretazione che il Frazer diede della magia intendendola come una «falsa scienza» è ben contestabile, in quanto essa non si risolve nei due principi ricordati da Frazer (simpateticità e contagio), ma prevede un sistema più complesso di circostanze, riti, credenze. Inoltre, è difficile tracciare una linea netta fra magia e religione, nella storia si notano vari casi in cui le manifestazioni religiose si intrecciano con manifestazioni magiche. Nota in questa prospettiva lo storico delle religioni italiano Ugo Bianchi[1] che se la religione si risolve in una Weltanschauung – in una visione del mondo – e quindi non ha bisogno di riferirsi ad altro, la magia attinge dalla religione idee e concetti, se non altro per sottometterli al proprio trattamento. In ogni caso, oggi la posizione di Frazer non ha forse neppure bisogno di un’analisi dei difetti della sua logica. Per il positivista Frazer solo il fatto era divino; e il «fatto», oggi, è che la magia non è affatto sparita con i progressi della scienza, ma – come abbiamo visto – non è mai stata così socialmente presente come nel mondo contemporaneo.
C. Secondo i due sociologi americani Rodney Stark e Williams Sims Bainbridge[2] la differenza principale tra religione e magia consiste nel fatto che – di fronte ai problemi degli uomini – la religione offre «compensatori generali» (una visione del mondo in cui le domande che inquietano l’uomo trovano una risposta globale), mentre la magia propone piuttosto «compensatori specifici» (che vorrebbero risolvere i problemi uno per uno). Da questo punto di vista il mestiere del mago è infinitamente più pericoloso di quello del leader religioso. In primo luogo, chi propone soltanto «compensatori specifici» entra nel gioco della domanda e dell’offerta: se offre la guarigione da determinate malattie, non riuscirà a raggiungere chi non ne è colpito; se offre incantesimi e formule per riconquistare la persona amata non interesserà chi vive una esperienza affettiva felice, e così via. Il mago si espone quindi immediatamente alla prova empirica delle sue affermazioni. Se ha promesso la guarigione, l’amore o il successo, potrà rimandare la verifica, ma ben presto il suo seguace gli chiederà conto dei risultati. Da questo punto di vista il leader religioso che promette vantaggi nell’aldilà o su un piano puramente spirituale, che si sottrae alla verifica empirica, dovrebbe vivere una vita più tranquilla. Dunque, non solo i maghi tendono a perdere seguaci e a formare più spesso client cults che cult movements, ma anche i loro movimenti sono effimeri e in genere crollano dopo anni di smentite empiriche alle loro promesse e di incapacità di stabilire relazioni di interscambio globali e costanti con i seguaci.
D. Se si vuole adeguatamente comprendere cos’è la magia occorre porsi sulla scia del celebre fenomenologo delle religioni rumeno Mircea Eliade (1907-1986), si può distinguere la magia dalla religione in quanto l’esperienza magica più che un’esperienza del Divino o del sacro (ierofania) è un’esperienza del potere (cratofania), dove l’uomo manipola il sacro e lo mette al proprio servizio. La religione cerca l’esperienza del sacro per se stessa e ha come termine di riferimento, almeno tendenziale, Dio o l’Assoluto. La magia tende invece a ricercare il contatto con forze «occulte», considerate superiori al singolo uomo, ma possono essere manipolate e controllate accrescendo la potenza del mago e dei suoi seguaci. Lo scopo per cui si vogliono acquisire i poteri magici può essere materiale (acquisizione della ricchezza o del dominio sulla altre persone) o nobili (miglioramento di se stessi e dell’umanità. Per raggiungere tali fini si mobiliteranno soprattutto una serie di divinità «intermedie» – spiriti, angeli, demoni, fluidi, energie, potenze – mentre, almeno in Occidente, l’influenza della corrente anti-magica che percorre il giudaismo e il cristianesimo renderà meno credibile la pretesa di «catturare» Dio stesso per porlo al servizio dei propri progetti magici.
E. Il contesto della magia è dunque caratterizzato da una pretesa di appropriarsi e possedere con la volontà ciò che nell’esperienza religiosa può essere concepito solo come dono. Quindi, la magia parte dal presupposto di voler dominare le forze occulte attribuendosi un potere sovrumano e cercando di affermare il proprio desiderio di potenza sulla natura, il presente, il futuro, il prossimo, gli oggetti, gli eventi della storia e lo stesso mondo ultraterreno; in sostanza non è altro che il tentare di impadronirsi del potere stesso di Dio e di tutti i Suoi requisiti e cioè la vera e propria pretesa di sostituirsi a Dio. La Nota Pastorale della Conferenza Episcopale Toscana (CET) A proposito di magia e di demonologia (1994) afferma: «La religione dice riferimento diretto a Dio e alla sua azione, tanto che non può esistere esperienza religiosa senza tale riferimento; la magia implica una visione del mondo che crede all’esistenza di forze occulte che influiscono sulla vita dell’uomo e sulle quali l’operatore ( o il fruitore ) di magia pensa di poter esercitare un controllo mediante pratiche rituali capaci di produrre automaticamente degli effetti; il ricorso alla divinità – quando c’è–- è meramente funzionale, subordinato a queste forze e agli effetti voluti»[3].