Indagine choc della Società di Pediatria sulle
teenager italiane, tra amore, alcol e fumo
Alla domanda «Cosa vuoi fare da grande?» al primo
posto la velina, al secondo «Non so»
di Alessandra Arachi
L’allarme è stato come un fascio di luce
che acceca: ci sono baby squillo sulle strade. Ce l’hanno messe i loro
coetanei, per pagare debiti del gioco d’azzardo. Giuliano Amato, ministro
dell’Interno, ha lanciato un sasso, l’altro giorno. E adesso rischia di venire
giù una montagna. Perché quella del titolare del Viminale è la punta
dell’iceberg. Ma basta fermarsi un attimo e scoprire che l’infanzia più
tradizionale, ormai, non riesce a superare le classi elementari. Perché:
c’erano una volta i bambini. E le bambine che giocavano con le bambole. Avevano
dodici-tredici anni. E la Società italiana di pediatria (la Sip) li interrogava
con domande tipo: che giornali girano in casa tua? Usi il computer? Qual è
l’avvenimento che ti ha colpito di più quest’anno?
L’ultima ricerca fatta così è datata 2003:
non serviva più a niente. Non di certo a fotografare la realtà. E adesso a
leggere l’ultima ricerca della Società dei pediatri presieduta da Pasquale Di
Pietro, quella del 2006, vengono i brividi.
Proprio oggi che anche in Italia
celebriamo la Giornata dell’Infanzia. Il campione: 1.251 bambini tra i 12 e i
14 anni. Una domanda. Una delle tante del questionario: «Hai mai visto un tuo
amico ubriaco?». Sì, dice il 37,4% del campione. Non solo, l’8,4% aggiunge:
spesso. Un’altra domanda: conosci qualcuno tra i tuoi amici che ha fumato una
canna?
E questa volta è quasi uno su due (44,3%)
a rispondere un tondo: sì. Un altro esempio? Tre ragazzini su quattro non
esitano a confessare di fare cose che loro stessi definiscono rischiose, come
ubriacarsi, appunto, bere liquori, prendere farmaci, uscire da soli la sera
tardi, avere rapporti sessuali non protetti. Già: hanno rapporti sessuali
frequenti, i nostri ex bambini.
Modelli educativi
Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra
dell’età evolutiva, non ha dubbi: «L’anticipazione delle tappe dello sviluppo è
dovuta ai modelli educativi. Come dire? Sono stati mamma e papà che hanno
voluto che succedesse, si sono dati da fare per diversificare il modello
culturale che loro avevano ricevuto. Hanno accelerato le capacità di
socializzazione dei loro figli.
Hanno tolto loro il senso di colpa, il
senso della paura. Basta provare, per credere. Basta entrare in una qualsiasi
seconda media d’Italia e capire che è impossibile far sentire in colpa questi
ragazzi o mettere loro in qualche modo paura». Succede così anche nella seconda
media statale di Gela, Sicilia? «I ragazzi sono molto decisi, è vero»,
garantisce Ela Aliosta, preside della scuola media alle soglie della pensione.
Sono quarant’anni che la signora Aliosta ha a che fare con i ragazzi delle
medie. Dice adesso: «Sono cambiati. E molto. Fisicamente, prima di tutto: un
tempo le femmine arrivavano ragazzine in terza media. Oggi assomigliano a donne
già quando entrano in prima. Soprattutto per come si vestono, si truccano, si
pettinano i capelli. Con la complicità dei genitori, è ovvio».
«Faccio la velina»
Oppure la cubista, la show girl, la
ballerina. Alla più tradizionale delle domande: «Cosa vuoi fare da grande?», le
bambine intervistate dalla Società dei pediatri hanno infatti messo al primo
posto: voglio fare il «personaggio famoso». E fino a qui non sarebbe una
scoperta sensazionale. È che però, tolta questa prospettiva, rimane il vuoto:
al secondo posto delle preferenze delle bambine c’è, infatti, un disarmante:
«Non lo so».
«Ho dodici anni faccio la cubista mi
chiamano principessa», è il titolo del libro di Marida Lombardo Pijola, una
giornalista-mamma che non a caso ha gettato scompiglio tra mamme e papà. Ha scoperchiato
il mondo delle discoteche pomeridiane, lasciando disorientati nugoli di
genitori davanti a frasi di bambine come: «Se fai la cubista sei una donna. Non
più una ragazzina. Con i clienti della disco treschi soltanto se ti va. E puoi
farti pagare...». Non è fantasia. È qualcosa che da noi è arrivato da
pochissimi anni, probabilmente importato ancora una volta dagli Stati Uniti.
Era del 2003 «Thirteen, 13 anni», il
film-choc ambientato a Los Angeles con protagoniste due ragazzine (tredicenni,
appunto) che vivono vite sempre più pericolose tra sesso promiscuo, droga,
fumo, alcol, piccoli furti, accenni di lesbismo.
«Sono vent’anni che insegno nella scuola
media di Centocelle, a Roma», dice Margherita D’Onofri, insegnante di scienze.
E spiega: «Soltanto negli ultimi anni, però, ho visto cambiare gli
atteggiamenti durante i campi scuola, ovvero quelle gite che consentono ai
ragazzi di dormire fuori dalla propria città. Adesso anche nelle prime classi
stanno svegli tutta la notte e si mescolano dentro le stanze. Fino a poco tempo
fa non succedeva».