sabato 13 agosto 2022

Ammonire i peccatori


 Ammonire i peccatori


Il Catechismo della Chiesa Cattolica parla in modo generico delle opere di misericordia: [2447] «Le opere di misericordia sono azioni caritatevoli con le quali soccorriamo il nostro prossimo nelle sue necessità corporali e spirituali. Istruire, consigliare, consolare, confortare sono opere di misericordia spirituale, come pure perdonare e sopportare con pazienza». Poi descrive con più dettaglio le opere di misericordia corporali.

Il Compendio dà invece l’elenco nell’appendice: «Le sette opere di misericordia spirituale sono:

Consigliare i dubbiosi.
Insegnare agli ignoranti.
Ammonire i peccatori.
Consolare gli afflitti.
Perdonare le offese.
Sopportare pazientemente le persone moleste.
Pregare Dio per i vivi e per i morti.»[1]
A noi ci tocca parlare di ammonire i peccatori. San Tommaso di Aquino, in diverse opere, afferma che l’opera di misericordia diretta all’ammonimento dei peccatori è propriamente la correzione fraterna, e persino alcuni autori spirituali formulano quella terza come: “correggere chi sbaglia”.[2]

Essenza e motivo
Innanzitutto, dalle parole di Cristo: Se tuo fratello ha peccato, avvertilo in segreto … (Mt 18,15). San Tommaso parla qui di un avvertimento o ammonimento al fratello, che deve essere fatto in caso che si tratti di un peccato veramente ‘commesso’ dal fratello (non di un peccato presunto o che sta per commettersi).[3] In un’altra opera, afferma che questo ammonimento è quello che si chiama correzione fraterna e procede dalla Carità. Nel commento alle Sentenze definisce infatti, la correzione fraterna come: «L’ammonimento di un fratello per l’emendamento delle mancanze, procedente dalla carità fraterna», distinguendo l’essenza (ammonimento), la finalità (emendamento delle mancanze del fratello), origine (carità fraterna). Il nome di ammonimento sembra quello giusto; infatti, si ammonisce quando si fa ricordare qualcosa; nel piano speculativo si cerca di far ricordare qualcosa di dimenticata a livello di conoscenza, ma nell’agire umano, si fa ricordare qualche azione la quale forse non è stata percepita da quello che l’ha fatta come sbagliata.[4]

Nella Summa Teologica, afferma anche chiaramente ambedue cose: «La correzione è un mezzo che va impiegato contro il peccato.[5] Il peccato implica due generi di male: verso lo stesso peccatore (chi pecca), verso gli altri, che si dà con lo scandalo. Nel primo caso la soluzione è togliere il male che il fratello si è inflitto se stesso, e questo è lo scopo della correzione fraterna. Togliere il male significa procurare un bene, e questo è proprio della Carità. Per questo, la correzione fraterna è atto di Carità.» Mentre che nel secondo caso (il danno agli altri per lo scandalo) dirà che è un atto di giustizia. Si lascia in chiaro dunque: A) che è per emendazione del peccato; B) e procede dalla Carità.[6]

Perché l’uomo cammini nella via della salvezza rettamente bisogna che quello che in qualche modo ha cura di lui garantisca tre cose:

1 – Che sia ordinato al retto fine: Il superiore dirige l’inferiore (Dio con l’uomo; il padre con il figlio, ecc.)

2 – Badare che non si allontani della via verso il retto fine: lo conduce o regge.

3 – Se capitasse che si allontanasse, che lo riconduca alla via retta: questo è correggere. Ma questo si può dare in due modi:

a) per il timore o l’odio a ciò che è turpe (il peccatore pentito con il suo peccato: contrizione)
b) per il timore di ciò che è spiacevole = la pena dei castighi (attrizione). Quest’ultimo si dà con una certa coazione, perché bisogna ricondurlo per forza alla rettitudine. E’ detto raddrizzamento (lat: correctio). Questo è proprio dei prelati (dei superiori).
Invece, (a) è detto correzione in senso proprio (lat: correptio), perché quando l’uomo, per il solo fatto che gli viene mostrata la bruttezza del peccato ed esortato a cose migliori, ritorna di sua iniziativa sulla via della rettitudine, si dice che viene corretto. Questo modo non richiede che sia proprio dei prelati (non si esclude neanche). Quando avviene fuori dell’ordine della prelatura (o di un superiore), la correzione è detta fraterna.

La correzione fraterna è più propria del amico. A uno può competere, infatti, il correggere (corripere) ma non il raddrizzare (corrigere). Quest’ultimo compete a chi ha potestà di ordinare ad un retto fine (dirigere), cioè: autorità, superiore, padre, tutore. Invece, il condurre è solo proprio di Dio, perché solo Lui può togliere gli ostacoli che lo stesso uomo mette ostacolandosi la via al fine.[7]

Ordine della correzione fraterna

Se procede dalla Carità, deve pure procedere secondo l’ordine della Carità.

A) Quest’ordine implica che si preferisca il bene comune al bene del prossimo, e quest’ultimo più che il bene della coscienza o della fama, e tra questi due si deve volere più il bene della coscienza. Ergo, se ci fosse qualche peccato che si volgesse a danno della moltitudine bisognerebbe subito rivelarlo. Il peccato pubblico va corretto pubblicamente, secondo 1 Tm 5,20: Riprende davanti a tutti chi pecca.
B) Quando invece non si teme un danno alla moltitudine, deve uno custodire ambedue le cose (bene coscienza o fama), correggendo occultamente fra sé e lui, e poi, valersi di un altro o dirlo alla Chiesa. Il peccato occulto va corretto occultamente. E allora vale quello che afferma il Signore nel vangelo; Mt 18,15: Se tuo fratello ha peccato contro di te, va’ e convincilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello.[8]
Vengono pure osservate tutte le circostanze della Carità: San Tommaso afferma che nella colpa si procede in tre modi secondo il diritto (forse c’è un po’ di influsso della legge civile in vigore nel suo tempo): a) ricerca o inquisizione, nei peccati pubblici, quando ci sono denunce pubbliche o clamore popolare (Gen 18,21: Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto il male di cui mi è giunto il grido, oppure no; lo voglio sapere!); b) accusa, dove l’accusatore cerca un compenso (S. Tommaso parla di Taglione), e ciò può venire fatto a volontà in pubblico o privato; c) se si procede per denuncia, allora deve precedere l’ammonizione fraterna, che cerca l’emendamento del prossimo, dove bisogna osservare il suo ordine.[9]

Nel commento al vangelo di Matteo, espone S. Tommaso ogni livello di quest’ordine:[10]

(1) – Se pecca contro di te, riprendilo in segreto: Si tratta specialmente di peccati contro la carità fraterna. Afferma di riprenderlo in segreto: Si tratta di “riprenderlo” e non “irritarlo”, secondo Gal 6,1: Fratelli, se uno viene sorpreso in colpa, voi, che siete spirituali, rialzatelo con spirito di mansuetudine.

Nel commento alle Sentenze, cita l’autorità di San Gregorio, chi affermava che la correzione veniva fatta con moderazione se la mancanza proveniva dell’ignoranza o debolezza, poteva invece venir fatta con certa asprezza se il peccato proveniva da malizia, o quando la colpa non era riconosciuta dal fratello in tutto il suo peso, o quando si alleggeriva (non si prendeva sul serio) il male che si era fatto. San Tommaso risponde che questa sentenza di San Gregorio si applica più alla correzione dei prelati. Ciononostante, questo può venire osservato anche nella correzione fraterna, sebbene questa deve sempre tendere alla dolcezza, perché non ha la sua origine nell’autorità dell’ufficio, ma nell’affetto della Carità.[11]

Riprendilo da solo (in segreto): Perché la correzione è un’opera di Carità; essendo questa amore di Dio e del fratello, cerca la sua salvezza, per la quale bisogna considerare due cose: la coscienza del altro e la sua riputazione. Questa verrebbe ferita se il peccato venisse corretto in pubblico; e anche la prima (la coscienza), perché dalle volte succede che se il peccatore sa che il suo peccato diventa pubblico, si espone impudicamente a commettere altri peccati.[12]
Avrai guadagnato tuo fratello: La correzione non è un fine in se stessa ma ha come fine la salute eterna del fratello. Aiuta anche alla salvezza personale: Chi avrà riportato indietro un peccatore dall’errore della sua via salverà l’anima del peccatore dalla morte e coprirà una gran quantità di peccati (Gc 5,20).
(2) – Se non ti ascolta, prendi uno o due con te:

Secondo Dt 19,15 (il fatto sarà stabilito sulla parola di due o di tre testimoni).

San Girolamo afferma che si deve scegliere uno, e poi, due, (a) perché servano di testimonianza della correzione fatta, e non venga imputato (in caso di contumacia del peccatore) a quello che corregge. Ma riporta anche un’altra ragione (b), perché lo convincano del peccato, giacché certuni sono tanti ostinati che non convincono.

Nel commento alle Sentenze, dice che la ragione di dirlo a pochi è appunto che la “fama non venga perduta totalmente”, e nella Summa, che prima di denunciarlo si deve passare per lo stadio intermedio, vale a dire il ricorso ai testimoni.[13]

(3) – Se lui non ascolterà, dirlo alla Chiesa: Si può interpretare sia alla comunità, orbene ai giudici o autorità (San Tommaso parla dei ‘prelati’). Secondo Dt 21,18-19: Quando un uomo ha un figlio caparbio e ribelle che non ascolta né la voce del padre né la voce della madre e anche castigato non dà loro ascolto, il padre e la madre lo prenderanno e lo condurranno dagli anziani della loro città, alla porta…

– Se non ascolterà alla Chiesa, sarà come un pagano o pubblicano: I pagani sono degli infedeli; i pubblicani erano peccatori pubblici. L’ostinazione e testardaggine può essere motivo di esclusione totale, perfino di scomunica (nel caso di ostinazione nel errore dottrinale).

Nelle Sentenze, afferma che in caso di perseverare nel peccato va denunciato in pubblico, trascurando anche la fama; se questa non basterà, allora va separato dal tutto della Chiesa, considerato come un pubblicano o pagano.

Nella Summa: Se il peccato è pubblico occorre la denuncia perché si deve provvedere non solo al bene del fratello che pecca, ma pure al bene di quelli che sono a conoscenza del peccato. Ecco perché si dice: (1 Tim 5,20): Quelli che peccano, riprendili in presenza di tutti, perché anche gli altri abbiano timore.[14]

Altre considerazioni
a) Riguardo il precetto della correzione: E’ un precetto della Carità. L’ordine ad osservare è di precetto, come è di precetto la correzione fraterna.[15]
E’ di precetto, ma occorre farla dove si deve, quando si deve, e come si deve. E’ necessaria (di precetto) per il fine (rimuovere il peccato), ma non nel senso che si deva correggere chi sbaglia in qualsiasi modo e tempo (si deve cioè osservare l’ordine).[16]

b) Riguardo l’ordine: Inoltre a quello detto, San Tommaso aggiunge alcune considerazioni. Ad esempio: «Se può venire corretto da me, non dirlo al prelato; se venisse fatto meglio dal prelato, allora dirlo al prelato. Ma non si può dare un giudizio unico (in caso che il prelato avesse animosità contro il suddito, o questo non gli importasse al prelato, ecc.). Le varianti sono diverse; quello importante è non agire per malizia.»[17]
c) Riguardo all’omissione della correzione: Se non si corregge, afferma S. Agostino: “Tu diventi peggiore con il tuo silenzio che lui col suo peccato”. Appunto per questo motivo afferma anche che tante volte Dio punisce i buoni insieme con i cattivi, perché i buoni non hanno corretto i cattivi come dovevano (specialmente se si astiene di correggere per non venire affettato nei beni temporali (Pr 9,8: Rimproveri il saggio e ti amerà). Ma è valido astenersi in caso che si preveda con delle buone ragioni che diventerà peggio dopo la correzione.
[18]
d) Se un peccatore può farla: Un peccatore può anche correggere, perché la correzione si fa appellando al giudizio della ragione, ed il peccatore non perde il bene della natura, conservando cioè un certo giudizio della ragione, perfino quando il suo peccato precedente mette un ostacolo a questa correzione (per la indegnità, per lo scandalo, per la superbia di chi corregge).[19]
[1] http://www.vatican.va/.../archive_2005_compendium-ccc_it...) FORMULE DI DOTTRINA CATTOLICA

[2] A. Royo Marin, Teologia della Carità (Bib. Cultura religiosa 109; Roma 1965), 268.

[3] San Tommaso, Commento al Vangelo di San Matteo, lez. II (Mt 18, 15-17).

[4] San Tommaso, Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, L. IV, d. 19, q.2, a.1.

[5] Nel peccatore si trova la colpa che è contraria a Dio e non è passiva di essere amata, e si trova la natura che continua ad aver Dio come ultimo fine, e perciò è amabile (cfr. S. Th. II-II, q.25, a.6).

[6] Amiamo i peccatori, non perché amiamo ciò che amano essi o perché godiamo delle cose di cui essi godono, ma per far sì che essi amino ciò che noi amiamo e godano delle cose di cui godiamo noi. Per questo, leggiamo nel profeta Geremia (15,19): “Si volgeranno a te, e non sarai tu che ti volgerai a essi” (S. Th. II-II, q.25, a.6, ad4).

[7] Ibidem.
[8] Quodlibeto 11, q.10, a.1.

[9] Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, L. IV, d. 19, q.2, a.2.

[10] Cfr. Commento al Vangelo di San Matteo, lez. II (Mt 18, 15-17).

[11] Commento alle Sentenze, L. IV, d. 19, q.2, a.3, ad3.

[12] Nel commento alle Sentenze: “si deve cercare di ricuperare l’innocenza senza perdere la fama” (cfr. a.3). S. Th: «l’ammonizione, che è privata, perché non venga danneggiata la sua fama (come il medico cerca di salvare tutto il corpo del malato, all’inizio) affinché non si ostini nel peccato con la perdita del pudore o la vergogna» (S. Th., II-II, q.33, a.7).

[13] Sentenze: L. IV, d. 19, q.2, a.3; S Th: ibid. a.8.

[14] S. Th: Ibid., a.7.

[15] Sentenze: ibid., a.2 e a.3.

[16] S. Th: Ibid., a.2.

[17] Quodlibeto 11, q.10, a.2.

[18] Cfr. Commento al Vangelo di San Matteo, op.cit.

[19] S. Th: Ibid., a.4.