sabato 13 agosto 2022

IL PADRE NOSTRO


IL PADRE NOSTRO

Da sedici anni vescovi e teologi che stranamente non si sono fidati di duemila anni della Santa Tradizione della Chiesa, neanche di tutti i Papi fino a Benedetto XVI che hanno sempre ripetuto la preghiera più potente insegnata da Gesù Cristo, sono riusciti a modificare sia il «Padre Nostro» che il «Gloria» della Messa.


Una modifica incoraggiata dallo stesso papa Francesco perché egli non trovava consona quella traduzione e aveva rimarcato la sua volontà di cambiamento, facendo notare che per quel versetto specifico non era stata fatta «una buona traduzione».

Questa scelta di cambiare il «Padre Nostro» con la motivazione che non era stata fatta «una buona traduzione» inquieta i buoni cattolici, i quali rimangono sbalorditi e capiscono che rimane impossibile un errore durato duemila anni, con milioni di traduzioni identiche che riportavano sempre la frase «non indurci in tentazione».

Con la scusa della sbagliata traduzione si potranno cambiare alcune parole della Santa Messa e sarà eliminato il Sacrificio Eucaristico.

Nella mente e, soprattutto, nell’inconscio di molti cristiani si farà presente questo pensiero: allora finora ho pregato male, ho sbagliato a pregare? Non è assolutamente così. Non hanno sbagliato milioni di Santi e Sante, e noi abbiamo fiducia in queste Anime che hanno rinunciato a tutto per compiere solo la Volontà di Dio.

Gesù non avrebbe forse rivelato ai Santi l’errore della traduzione? Ma per Gesù è questa la traduzione corretta: «Non indurci in tentazione».

Un Papa è chiamato a confermare la Fede cattolica e non a modificarla, deve solo trasmettere quanto ha ricevuto dalla Santa Tradizione.

Gesù e la Madonna hanno parlato del «Padre Nostro» nei secoli e nei decenni passati a molti mistici e lo hanno anche spiegato. All’autentica veggente Pina Micali che ha ricevuto molti messaggi perfettamente in sintonia con il Catechismo della Chiesa, Gesù ha spiegato il «Padre Nostro», quindi anche la frase in questione. Questo ha confermato Gesù:

«E non ci indurre in tentazione. Chiedete a Dio di non lasciarvi slittare nella prova, di non permettere che Lo offendano. Letteralmente il testo greco dice: liberaci, strappaci via dal demonio, dal maligno che va in giro cercando chi divorare. Vegliate e pregate per non entrare in tentazione, ma per liberarvi dal male. Questa è la preghiera che ha lasciato il Padre Mio».

Ho spiegato varie volte in questi anni che le parole «non ci indurre in tentazione» riportate nel Vangelo sono state dette da Gesù, e vogliono dire di non permettere a noi la caduta nella tentazione, di fermarci quando ci troviamo sul punto di cadere, di darci la forza necessaria per vincere la tentazione.

La traduzione del «Padre Nostro» è sempre stata perfetta.

Ancora a proposito del
"PADRE NOSTRO "...

« Prendiamo dunque il versetto in questione dal testo originale greco: “καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν”. La parola di interesse è “εἰσενέγκῃς” (eisenekes), che per secoli è stata tradotta con “indurre”, ed invece nella nuova traduzione vediamo “non abbandonarci” (come i cavoli a merenda).

Il verbo greco “ eisenekes ” è l’aoristo infinito di “ eispherein ” composto dalla particella avverbiale eis (‘in, verso’, indicante cioè un movimento in una certa direzione) e da phérein ( ‘portare’ ) che significa esattamente ‘ portar verso ’, ‘ portar dentro ’.
Per di più, è legato al sostantivo peirasmón ( ‘prova, tentazione’ ) mediante un nuovo eis, che non è se non il termine già visto, usato però qui come preposizione.

Tale preposizione regge naturalmente l’accusativo, caso di per sé caratterizzante il “ complemento ” di moto a luogo. Anzi, a differenza di quanto accade ad esempio in latino e in tedesco con la preposizione in, eis può reggere solo l’accusativo.

Come si vede, dunque, il costrutto greco presenta una chiara “ ridondanza ”, ossia sottolinea ripetutamente il movimento che alla tentazione conduce, per cui è evidentemente fuori luogo ogni traduzione – tipo “ non abbandonarci nella tentazione ” – che faccia invece pensare a un processo essenzialmente statico.

Il latino “ inducere ”, molto opportunamente usato da san Girolamo nella Vulgata ( traduzione della Bibbia dall’ebraico e greco al latino fatta da Girolamo nel IV secolo ), essendo composto da ‘ in ’ ( ‘dentro, verso’ ) e ‘ducere’ ( ‘condurre, portare’ ), corrisponde puntualmente al greco eisphérein; e naturalmente è seguito da un altro 'in' (questa volta preposizione) e dall’accusativo 'temptationem', con strettissima analogia quindi rispetto al costrutto greco.

Quanto poi all’italiano 'indurre in', esso riproduce esattamente la costruzione del verbo latino da cui deriva e a cui equivale sotto il profilo semantico.

Dunque la traduzione più giusta, che rimane fedele al testo è quella che è sempre stata: “ non ci indurre in tentazione ”. Ogni altra traduzione è fuorviante, e oserei dire anche grottesca.

Don Nicola Bux Mostra meno